Una sussidiarietà troppo timida

Giorgio Vittadini

L'8 marzo il Senato ha approvato per la seconda volta la riforma costituzionale sul federalismo, in un testo che riproduce sostanzialmente i contenuti di quanto a suo tempo maturato all'interno della Bicamerale. A differenza del testo della Bicamerale, però, nella nuova legge di revisione della Costituzione compare un timido riconoscimento del principio di sussidiarietà orizzontale. Questo dato rappresenta un progresso rispetto ai pregiudizi che accesero la polemica intorno all'articolo 56 della Bicamerale, ma indica anche come la strada da compiere sia ancora molto lunga. L'introduzione del principio di sussidiarietà in una Costituzione assume un valore simbolico importante, ma non ci si deve dimenticare che anche la previsione dell'articolo 2 della Costituzione attuale, dove si riconosce il valore delle formazioni sociali, sia stata una delle disposizioni costituzionali maggiormente lasciate sulla carta. La stessa legge Bassanini degli ultimi anni ha previsto la sussidiarietà orizzontale tra i suoi principi fondamentali. Al momento dell'approvazione della legge, infatti, il Parlamento impose quell'aggiunta al testo proposto dal Governo. L'esito tuttavia non è stato quello che si poteva sperare. La cartina tornasole di quanto in realtà è avvenuto, sta nel fatto che quando si è trattato di trasferire le funzioni alle Regioni, alle Province e ai Comuni (con conseguente aumento del personale), probabilmente potrebbe aumentare il costo dell'intervento publico (moltiplicando gli enti preposti alla formazione, all'assistenza, alla sanità, al territorio). Il test trova poi confronto in altri segnali: basti pensare alla trasformazione delle Prefetture negli Uffici Territoriali del Governo: si cambiano i nomi, ma si è ancora lontani dallo snellimento della macchina amministrativa statale. Le maggiori aperture verso la sussidiarietà si sono avute invece grazie alla legislazione di alcune Regioni, che hanno colto l'occasione del decentramento per introdurre strumenti innovativi come il buono della scuola (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna) o il buono anziano, o rivendendo le proprie normative sulla famiglia secondo criteri non assistenzialistici (Lombaria, Abruzzo). Si tratta d'interventi mirati a favorire sia una reale libertà di scelta, in settori cruciali come l'educazione, sia la possibilità di soluzioni umane nei confronti di problemi incalzanti (quello dell'aumento della popolazione anziana). Pochi gli interventi analoghi a livello nazionale: si deve tornare alla mai troppo clogiata legge Tremonti sulla desficalizzazione degli investimenti o alcuni interventi del ministro Bersani all'industria e alcuni timidi tentativi di Livia Turco. Queste soluzioni hanno due vantaggi: creano di fatto i presupposti per un sistema misto, ove il cittadino ha finalmente la possibilità di scegliere avendo risorse a disposizione tra i servizi statali, privati e privati non a fine di lucro. Così può succedere che anche il povero possa studiare in una scuola qualificata, fare un esame specialistico, fondamentale per la sua salute, senza aspettare mesi, cioè morire. Così è possibile anche la soluzione di problemi insolubili da uno Stato che deve diminuire la spesa pubblica e da un privato che non investe se non per un ritorno economico (la cura del cronico e un insegnamento che non sia solo di formazione ai fini produttii ma anche umanesimo integrale). Diminuiscono le tasse? Sì, ma diminuisce anche la spesa pubblica. Aumenta l'efficienza e la competitività. Aumenta la Welfare society, aumenta quell'investimento in cultura o in natura che già avviene in settori in cui anche le fondazioni di privato profit possono intervenire con esenzioni fiscali. Permettere la nascita di realtà come le Inlus o di profit di public utilities come già in altri Paesi, caratterizzate dalla loro azione per tutti e da una qualità accreditata secondo criteri chiari quali la sanità della Joint Commission americana. Favorire investimenti di fondazioni non profit di grandi imprese in settori ritenuti utili socialmente. E' non è una rivoluzione? Anzi è l'unica vera rivoluzione.