Storia di una passione per la storicità dei Vangeli

Tratto da Il primo miracolo è la scoperta del «Tu», cioè dell'«Altro». Appunti da una conversazione con adulti di Milano, 27 maggio 1995. In «Tracce Litterae Communionis», 1995, n.7, pp. IV-X.
Julián Carrón


Julián Carrón. All'origine della nostra ricerca ci fu l'entusiasmo ideale per lo studio della storicità dei Vangeli...

Cesana. Scusami, Julián, scusate se insisto, ma chi sta parlando è Julián Carrón, che è qui in rappresentanza di un vero e proprio gruppo di scienziati - perché tali sono - di Madrid. Questo gruppo di scienziati ha creato una scuola che è unica nel mondo, una scuola di esegesi e interpretazione linguistica, l'unica in grado di opporsi all'egemonia altrimenti incontrastata del protestante tedesco Bultmann (come vedremo poi nell’intervento che farà). L' incontro suo e del suo gruppo con il movimento ci ha trovati abbracciati nel corpo e nell'anima.

Carrón. Dicevo che all'origine ci fu l'entusiasmo ideale per lo studio della storicità dei Vangeli che un nostro professore, don Mariano Herranz, seppe infondere in un gruppo di amici quando eravamo studenti di teologia nel Seminario di Madrid. Le sue lezioni erano un avvenimento: tutto era molto accurato. Non perdeva un minuto. Ci comunicava i contenuti con un rigore e una solidità che riuscirono a risvegliare in noi la passione per lo studio serio e rigoroso delle Scritture. In queste lezioni si trovava realizzato quello che il Vaticano II, nella Costituzione Dei Verbum, proponeva come metodo di esegesi veramente cattolica: la fedeltà alla ragione e alla tradizione. Per questo don Mariano utilizzava tutti i metodi moderni di indagine della Bibbia, al fine di mettere in evidenza la verità della tradizione ricevuta dalla Chiesa. Era cosciente che, nell'ambito del dibattito esegetico moderno, la fede cristiana ricevuta nella tradizione si poteva difendere solo mediante un lavoro rigoroso, lontano dal pietismo superficiale e dalla critica razionalista, Ricordo ancora l'emozione che provavamo quando ci documentava la storicità dei miracoli, del giudizio davanti al Sinedrio, o della resurrezione, rispondendo con precisione a tutti gli attacchi mossi da parte di determinati studiosi nella storia della ricerca sulle Scritture.
Per questo, per noi, lo studio dei Vangeli, invece di introdurre il sospetto sui contenuti, ci confemava nella fede e ci procurava adeguati argomenti per dar ragione di essa. Con questi argomenti combattevamo nelle altre classi. La lotta incominciò, infatti, già in seminario.
Durante il corso il professor Herranz ci ordinava di svolgere lavori, che in quel periodo consistevano nella traduzione di articoli di figure di primaria importanza della ricerca esegetica. «Cosi» diceva «imparate guardando come lavorano i maestri». Non ci faceva perder tempo con cose di secondaria importanza, ma fin dal principio voleva che entrassimo in contatto con lavori di alta qualità sia a livello divulgativo sia a livello tecnico. In questo modo nasceva in noi il gusto per il lavoro serio. Egli correggeva la traduzione a tutti, perché imparassimo. Questa passione incominciò a radicarsi nel nostro gruppo di antici, perché vedevamo che questi studi ci interessavano ogni volta di più. Alla fine del corso, per esempio, chiedevamo ai compagni i lavori svolti e trascorrevamo l'estate copiandoli a macchina (non esistevano ancora le fotocopie). Man mano che il tempo passava prendeva forma ai nostri occhi la figura di un maestro, eccezionale per gratuità (ci comprava o regalava libri, ci prestava i suoi), per disponibilità (quando andavamo a trovarlo sempre ci riceveva con piacere), per paternità e incitamento al lavoro perseverante, in un amore sempre più grande alla Scrittura. Quando terminammo i nostri studi in Seminario, incominciammo a seguire i Corsi di Laurea alla Facoltà di Teologia. Egli revisionava il nostro lavoro e ce lo correggeva perfino nell'espressione e nello stile. Voleva che, oltre ad essere serio e rigoroso nel contenuto, fosse ben espresso nella forma, in buono spagnolo. Per questo ci raccomandava la lettura di buona letteratura castigliana per imparare a scriver bene, con eleganza e chiarezza.
Egli riuniva in sé dei magnifici requisiti per questo lavoro. Quando era giovane, il suo Vescovo gli aveva fatto studiare lingue. Aveva acquisito una eccellente preparazione in ebraico, aramaico, siriaco, arabo, greco, ecc., indispensabili per lo studio delle Scritture. A questo univa la sua passione per la letteratura. Conosceva a meraviglia i grandi autori della letteratura spagnola. Lo attraevano le novelle e i racconti brevi della letteratura di altri Paesi, che dicevano cose vere in modo semplice e accessibile a tutti. Questo gli dava una intuizione letteraria nel leggere le Scritture, nell'individuare le difficoltà di un testo o nell' intuirne una soluzione. Col tempo mi sono anche resoconto che era un maestro di realismo: osservazione completa, appassionata, insistente della realtà, in questo caso del testo dei Vangeli. Leggeva una volta e un' altra ancora il testo e, così, individuava quello che a tutti gli altri passava inosservato, quello che non funzionava, le contraddizioni, e trovava il modo di risolverle con rigore scientifico e in accordo con la tradizione della Chiesa.
Nel gruppo di amici nel quale si radicò questa passione, godevamo di questo lavoro. Il contenuto della nostra amicizia, il centro del nostro interesse e delle nostre conversazioni, era il desiderio di vivere per Cristo, di comunicarLo a tutti e di studiare ogni volta meglio queste cose. Senza questo aiuto e vicinanza reciproca sarebbe stato impossibile mantenere vivo il sacro fuoco della passione per lo studio.
Poi iniziammo a frequentare la Scuola Biblica di Gerusalemme. Questo luogo offriva due vantaggi indiscutibili: ci permetteva di familiarizzare con lo scenario dei fatti che studiavamo, e disponeva di una splendida biblioteca per realizzare questo tipo di studi. Molti di noi si recavano all'estero per la prima volta. Immediatamente notammo la differenza con i nostri compagni. La maggioranza aveva già compiuto studi in altri centri di prestigio (Roma, Parigi, ecc...). Noi, però, il giorno dopo il nostro arrivo eravamo già in biblioteca con un tema perfettamente identificato davanti a noi. Altri compagni, invece, si disperdevano durante il primo trimestre, o addirittura lungo tutto il corso, cercando di identificare nella loro mente un tema da presentare alla fine. Noi ci sentivamo privilegiati di avere qualcuno da seguire. I nostri compagni si meravigliavano anche della capacità e libertà di giudizio che avevamo anche davanti a grandi studiosi. Non ci sentivamo schiacciati davanti alla loro fama internazionale. Ci era stato insegnato di dar valore alle opinioni per il peso delle loro ragioni, e non per il peso dell'autorità di chi le difendeva. E mano a mano che conoscevamo personalità rilevanti, cresceva ai nostri occhi la grandezza del nostro maestro, che non impallidiva davanti a maestri tanto insigni, ma, al contrario, faceva apparire maggiormente la sua eccezionalità. Persino queste grandi figure restavano sorprese che giovani inesperti come noi potessero discutere con esse portando ragioni ed argomenti che non potevano non stimare. Il professor Herranz continuava a guidarci da Madrid. Ognuno di noi conserva 30 o 40 lettere dell'anno trascorso a Gerusalemme, mediante le quali egli ci sosteneva con consigli di ogni tipo, stava al passo con le nostre difficoltà o ci forniva gli elementi necessari per chiarire i testi che stavamo studiando. Le lettere erano dei veri gioielli letterari. Ci raccomandava ai santi, soprattutto a san Gerolamo e a sant'Agostino, studiosi delle Scritture, perché potessimo superare le difficoltà che incontravamo.
L'oggetto delle nostre ricerche era sempre il substrato ebraico-aramaico della tradizione cristiana del Nuovo Testamento, in particolare dei Vangeli. Dal principio, il nostro maestro ebbe l'intuizione, ancora imprecisa all'inizio, del forte arcaismo della tradizione evangelica. Se dietro il greco dei Vangeli si poteva dimostrare un originale aramaico, questo fatto rendeva manifesta la loro antichità. In questo la sua posizione coincideva con quella di un altro grande studioso, Jean Carmignac, che andammo a incontrare a Parigi, alla conclusione della nostra ricerca. Però, qual è l'importanza della nostra ricerca?

Importanza della ricerca
Per capire l'importanza del nostro lavoro è necessario collocarlo nel panorama della storia della ricerca sulla storicità dei Vangeli. Fin dagli inizi la Chiesa ha creduto che i Vangeli avessero tratto la loro origine dalla persona storica di Gesù di Nazareth, dai suoi detti e dai suoi fatti, dalla sua morte e dalla sua resurrezione. Ha sempre considerato tali avvenimenti, dunque, come testimonianze di un fatto accaduto nella storia (DV 19). Da qualche secolo, invece, a partire da un determinato momento, per alcuni studiosi questa interpretazione dell'origine dei Vangeli non è più credibile e viene, così, introdotto il sospetto sul loro valore storico. Nonostante ciò, però, nessuno poteva né può mettere in dubbio un dato: l'esistenza dei Vangeli e il fatto che in essi si afferma che un uomo, Gesù di Nazareth, è considerato Figlio di Dio da parte di un gruppo di giudei della Palestina nel primo secolo della nostra era. Non essendo più in grado di riconoscere la spiegazione della loro origine, data fino ad allora dalla Chiesa, risultò necessario offrire una spiegazione alternativa. Questa interpretazione si può riassumere in una parola: "mitizzazione". cioè rendere l'avvenimento cristiano un mito. Secondo questa interpretazione i Vangeli sarebbero il risultato di un processo di mitizzazione della persona di Gesù di Nazareth, per cui colui che non era che un profeta viene trasformato alla fine nel Figlio di Dio. Perché questo processo potesse verificarsi era necessario postulare un lasso di tempo sufficientemente lungo perché potesse aver luogo. D'altra parte, siccome risultava inconcepibile che questa mitizzazione fosse stata operata da giudei - visto il loro rigido monoteismo -, si doveva postulare allo stesso tempo l'influsso dell'Ellenismo, della moltitudine dei suoi culti e delle sue religioni, e questo poteva aver luogo solo fuori della Palestina. Si spiega così l'urgenza di datare i Vangeli il più tardi possibile e fuori dalla Palestina. Così si poteva tranquillamente alla fine affermare che «la vera critica al dogma è la sua storia» (Strauss).
Per contro, se si dimostra che gli attuali Vangeli in lingua greca non furono redatti in questa lingua, ma che essi sono invece traduzioni di originali scritti in aramaico, è necessario ammettere che furono scritti in una data molto vicina agli avvenimenti cui si riferiscono e che ebbero luogo in Palestina; certamente mentre erano viventi gli apostoli, cioè i testimoni diretti dei fatti e delle parole di Gesù. Siamo così agli antipodi rispetto all'affermazione dell'esegeta protestante tedesco Strauss. Per lui era sufficiente raccontare la storia per mettere in evidenza la falsità del dogma. Noi, adesso, possiamo affermare giustamente il contrario: la miglior difesa del dogma, cioè di quello che la Chiesa ha sempre affermato di Cristo, è raccontare la sua storia. Per affermare che i Vangeli furono redatti in aramaico non è necessario dimostrarlo per tutte le loro pagine. Per poterlo sostenere con certezza basta documentare un certo numero di casi particolarmente significativi, la cui unica spiegazione sia l'aramaico. Così come, ad esempio, non è necessario trovare fossili marini ovunque per dimostrare che in un'epoca remota un determinato territorio fu interamente coperto dalle acque.
Questi studi, cui ho accennato, si sono realizzati e si stanno realizzando in totale indipendenza dalle ricerche papirologiche condotte dal professor José O'Callaghan o dal professor Carsten Peter Thiede. Nonostante questo, il risultato cui si giunge è identico: la Chiesa nascente disponeva di testi, che possiamo chiamare Vangeli, scritti in un tempo molto prossimo alla morte di Gesù, redatti o direttamente dagli apostoli o da collaboratori degli apostoli, e usati fin dagli inizi per la loro missione. Volendo fissare una data approssimativa, possiamo affermare che ciò accadde entro i primi dieci anni - non dopo i primi dieci anni, ma entro i primi dieci anni! - dalla morte di Gesù.
Conferma ulteriore di quanto affermato si trova nei passaggi delle Lettere di san Paolo, che sarebbero del tutto incomprensibili se non si ammettesse che, nelle comunità da lui fondate, durante la celebrazione liturgica delle domeniche fossero già letti alcuni scritti che contenevano i fatti e i detti di Gesù.

Ragioni della ostilità
Ma allora, perché esiste tanta ostilità contro qualsiasi ricerca che porti davanti ai nostri occhi un dato che conferma la storia delle origini cristiane, così come le presenta la Fede cristiana? Perché è un attacco contro il dogma indimostrato dell’esegesi moderna, cioè contro la teoria di un lungo tempo occorso per scrivere i Vangeli.
1) È ovvio che per coloro che sostengono che il cristianesimo non è un avvenimento storico, ma il risultato di un processo di mitizzazione, questa ricerca costituisce uno scoglio decisivo: porrebbe in questione la loro ricostruzione della storia delle origini cristiane. Non c'è stato tempo perché questa mitizzazione potesse verificarsi: qui risiede il motivo principale dell'ostilità contro qualsiasi tentativo che costituisce una minaccia contro questa ricostruzione. Questa ostilità non fa altro che portare alla luce l'assenza di un vero desiderio di conoscere la verità storica. Manifesta ciò che è accertato dalla osservazione dell'esegeta protestante tedesco A. Schweitzer, cioè che molti studiosi non ricostruiscono la storia per vero interesse alla storia, ma utilizzano la storia come strumento per lottare contro il dogma. Questo si rende evidente nel modo con cui si squalifica qualsiasi altra spiegazione: non si discutono gli argomenti. Nella discussione della tesi dottorale di uno dei miei amici, uno dei membri della Commissione si oppose alla spiegazione di alcuni passaggi complicatissimi della Lettera agli Ebrei a partire dal substrato semitico, dicendo che «l'autore della Lettera agli Ebrei non sapeva l'ebraico». Come poteva saperlo lui? Nella misura in cui questa mentalità anti-storica penetra anche nella Chiesa, tale ostilità si riproduce dentro di essa.
2) Però, a mio giudizio, l'ostilità dentro la Chiesa è di impronta bultmanniana: si afferma, cioè, che la storia nutre scarso interesse per la fede. Qualsiasi tentativo di presentare un dato storico a conferma della storia cristiana, viene condannato come apologia della fede. Si crede che non si faccia vera storia, vera ricerca; si crede che siano una storia e una ricerca al servizio della fede; un intento di dimostrare la fede con la storia. Con questo la si squalifica. Questo, però, implica che l'unica storia non meritevole di questa squalifica sia quella contraria alla fede. Con questo disinteresse per la storia, questi studiosi concludono difendendo ciò che pretendevano di evitare: che l'unica storia veritiera, l'unica storia che non si può qualificare come apologetica sia quella che si fa in alternativa a quella della Chiesa.
In fondo, le due posizioni sono più vicine di quello che sembra: sia l'una sia l'altra condividono il presupposto che storia e Mistero sono incompatibili, cioè il pregiudizio che il Mistero non sia entrato nella storia. Da qui, l'irrazionalità delle due posizioni: i primi rifiutano la fede cristiana in nome della storia, una storia costruita sull'ipotesi dell'impossibilità che sia avvenuto ciò che la fede afferma, l'Incarnazione; i secondi aderiscono alla fede indipendentemente dalla storia e senza che si possa affermare nulla sulla sua storicità, rendendo così irragionevole la fede.
È la natura stessa della ragione che impone di riconoscere determinati dati linguistici o storici. Se questi dati sono autentici, nessun pregiudizio può eliminarli. Come il pregiudizio dei farisei non poteva sopprimere determinati fatti della vita di Gesù, tanto da vedersi costretti a dare altre spiegazioni (stregoneria, possessione diabolica, ecc.). Lo stesso accade oggi. Non si può negare l'autenticità dei fatti semplicemente in nome di un pregiudizio. I suoi avversari dovranno presentare i loro argomenti davanti al tribunale della ragione. Squalificare i dati che testimoniano la storia cristiana, senza neanche averli presi in considerazione, è una dimostrazione dell'incapacità della ragione moderna di misurarsi con la realtà dei fatti.
Noi crediamo per l'incontro che abbiamo fatto nel presente con l'Avvenimento di Cristo nella Chiesa. Non abbiamo necessità di fare apologetica. La nostra fede si fonda sul miracolo della Presenza di Cristo nella nostra vita all' interno della Chiesa. Però ci rallegriamo quando incontriamo nella storia dati che confermano ciò che già oggi viviamo. Questo tipo di studi non pretende, dunque, di dimostrare la fede, bensì di rimuovere le obiezioni che la storia moderna ha accumulato contro di essa. Come dice san Tommaso nella Summa contra Gentiles (I, 9): quando si tratta di verità che superano la ragione non si deve pretendere di convincere l'avversario con ragioni (perché l'insufficienza delle ragioni lo confermerebbe nel suo errore, consentendogli di pensare che la nostra adesione alla verità si appoggi su motivazioni così deboli), ma si devono risolvere le sue obiezioni alla verità della fede con argomenti dimostrabili e autorevoli. Gran parte della ricerca moderna ha strutturato tutto un edificio di obiezioni contro il cristianesimo, inteso come avvenimento storico fatto di mezze verità. Il ruolo di una vera ricerca è di verificare il valore di tali obiezioni e di dimostrare la loro inconsistenza.

Esempio di nuova cultura
Questa ricerca è un esempio di cultura nuova, di ecumenismo. É l'applicazione del principio di san Paolo: «Provate tutto e trattenete il buono». Una ragione che non si chiude a priori alla possibilità che il Mistero entri nella storia, cioè una ragione che sia fedele alla sua natura, è l'unica capace di valorizzare, tutto ciò che c'è di valido nella ricerca moderna sui Vangeli. Perciò, noi usiamo tutti gli strumenti, che la ricerca moderna pone a nostra disposizione (storia, filologia, archeologia, papirologia), che possano servire alla conoscenza più esauriente dei Vangeli e della tradizione cristiana primitiva. Riconoscendo ciò che è buono, senza escludere nulla, si può ricavare una immagine più compiuta e più veritiera dell'Avvenimento cristiano. Avendo incontrato voi provvidenzialmente, cioè casualmente, abbiamo trovato una mentalità culturalmente identica e questo ci ha subito messo insieme come un unico movimento.