«Un nuovo inizio»

Da Tracce - aprile 2005, pp. 1-7.
Appunti dall’intervento al Consiglio Nazionale di CL del 19 marzo 2005, in seguito alla sua nomina a Presidente della Fraternità
Julián Carrón

Il 19 marzo 2005 si è riunita a Milano la Diaconia centrale della Fraternità di Comunione e Liberazione per procedere alla nomina del nuovo presidente, successore di don Luigi Giussani (scomparso il 22 febbraio 2005). All’incontro hanno partecipato tutti i componenti della Diaconia, 27 di persona e 2 per delega. Le operazioni elettorali si sono svolte a votazione segreta ed il seggio è stato presieduto dal vescovo eletto monsignor Luigi Negri. È risultato eletto all’unanimità, con una sola scheda bianca, don Julián Carrón, con cui don Giussani aveva voluto condividere da ormai un anno la propria responsabilità di guida dell’intero movimento di Comunione e Liberazione, chiamandolo dalla Spagna con piena approvazione del suo arcivescovo, il cardinale Rouco Varela.
Gli appunti dell’intervento di don Carrón all’inizio del Consiglio Nazionale di Cl, che si è svolto a Milano il 19 marzo.


«E il Verbo si è fatto carne e abita in mezzo a noi». Questo gesto dell’Angelus, che abbiamo appena compiuto, richiama l’inizio sempre presente di una storia che ci arriva e ci travolge anche oggi. È proprio Lui - sì, è proprio Lui -, Cristo, che è entrato nella storia con questa novità che ci trascina anche oggi. È a questo Cristo che voglio dire con tutta la mia commozione «grazie», perché senza di Lui la vita sarebbe piatta, sarebbe veramente brutta da vivere, sarebbe senza respiro. È proprio con Lui che è entrata un’intensità umana, una pienezza del vivere, davanti alla quale non possiamo non stupirci.
Questa storia ci ha raggiunti - oggi è il primo pensiero che mi è venuto - attraverso la persona a noi carissima di don Giussani. Noi non avremmo potuto dire - io, almeno, non so voi - con questa intensità «Cristo», senza di lui, senza l’incontro con lui, senza essere stati trascinati in questa voragine, in cui io mi sono trovato, che oggi acquista la sua portata, senza questa preferenza che il Signore ha suscitato davanti a me e davanti a tutti noi. Don Giussani ci ha trascinati tutti con lui, facendoci sperimentare in modo reale cosa è veramente Cristo: è stato proprio lui, è stato nella convivenza con lui, nella condivisione della vita con lui, che Cristo ha commosso fino al midollo la nostra vita, portandovi un’intensità che mai avremmo pensato.

Perciò, in questo momento così decisivo della nostra storia, non possiamo incominciare - non sarebbe giusto, non esprimerebbe il nostro cuore - senza dire grazie (grazie!), commossi, a don Giussani per il suo «sì», per la sua testimonianza di vita, che ci ha travolti tutti.
Per noi non è mai stato come vivere un’associazione: per noi è stato partecipare alla sua febbre di vita. È tutto il contrario del formalismo: è proprio partecipare a questo vortice di carità con cui Cristo ci ha raggiunti. Quanto più uno è consapevole del proprio limite, del proprio niente, tanto più non può non commuoversi davanti a questo. Perciò chiediamo a don Giussani che continui a trascinarci con lui, adesso che non è più limitato dal tempo e dallo spazio, adesso che partecipa della padronanza di tutto, della signoria di Cristo, come già abbiamo incominciato a sperimentare. Adesso opera - lo vediamo già, tutti i giorni - più che mai. Possiamo guardare questo momento tranquilli, certi, senza paure, senza spaventi, non perché siamo bravi, non perché possiamo essere all’altezza, ma per la certezza che lui non ci abbandonerà mai, come non ha “mollato” nessuno di noi - uno a uno - lungo tutti questi anni. Ognuno di noi oggi sa meglio di qualsiasi altro fino a che punto è vero che ha dato tutta la vita - tutta la vita! - per noi, fino all’ultimo momento.

È in tutto questo mistero che si inserisce il mio povero io, da quando don Giussani ha preso la sua responsabilità davanti a Dio facendomi venire qui. Erano anni (come tutti sapete, perché l’ha raccontato lui stesso lo scorso anno, l’ultima volta che è stato qui al Consiglio Nazionale; io non c’ero quella volta) che desiderava questo. Io pensavo - come alcuni di voi mi avevano detto - che fosse da cinque anni. Invece era da ancora più tempo, perché nell’estate del 1997, alla fine degli Esercizi dei Novizi, don Giussani disse davanti a tutti: «Signore, fammi dire a tutti che, se Carrón prendesse la funzione che ho io, sarei lietissimo». Me ne ero dimenticato, come al solito, e siete stati voi a farmelo notare. Questo vuol dire che era da tempo che lui ci pensava.
Come mi ero dimenticato di questo, mi ero dimenticato di tante altre cose, perché pensavo che non ce la si sarebbe mai fatta. Mettere tutti d’accordo, fino al mio Cardinale, era veramente difficile, come avevo detto al Gruppo Adulto qualche mese fa. Per questo non mi ero molto sbilanciato durante tutto questo tempo: pensavo che non ce la si sarebbe fatta. Ma quando don Giussani - come vi ho raccontato - decise di scrivere al Papa facendo a lui la richiesta, incominciai a pensare che forse ce la si sarebbe fatta.

Se vi racconto questo, è perché tutti questi particolari circostanziali, attraverso cui il Mistero svolge il suo disegno, sono stati presi da me proprio così, come il Mistero che agisce, perché mettere tutti d’accordo è soltanto opera dello Spirito Santo. Perciò mi sono trovato a decidere non soltanto su qualcosa di secondario (spostamento, non spostamento di Paese, o una carica): mi sono trovato a rispondere al Mistero, che attraverso quelle circostanze mi chiamava. Rispondendo all’invito di don Giussani a venire qui, io, durante tutti questi mesi, ho avuto la consapevolezza che rispondevo al Mistero presente. Senza questo non ci sarebbe stata ragione adeguata per una simile decisione, perché se non c’è il Mistero di mezzo non c’è la ragione adeguata.

Vi racconto questo perché quello che è successo a me succede adesso a voi. Tutti noi siamo davanti a questo fatto misterioso che ci troviamo a vivere oggi, che acquista la portata che ha dopo quello che purtroppo abbiamo vissuto insieme: la malattia e la morte di don Giussani. È come se tutto fosse all’interno di un disegno misterioso. Il precipitarsi della malattia di don Giussani e la sua morte ci hanno fatto sperimentare la sua paternità: tutti, trascinati dall’affezione a lui, siamo stati veramente generati come figli, perché abbiamo dovuto arrenderci a quel disegno misterioso che si svolgeva in lui. Io sono stato testimone privilegiato dello svolgersi della sua malattia negli ultimi mesi, nei quali, istante dopo istante, dovevamo arrenderci alla modalità con cui il Mistero lo conduceva al compimento. Abbiamo cioè dovuto imparare l’obbedienza al Mistero nella modalità con cui Lui ha compiuto la vita di don Giussani, e lo abbiamo fatto pieni di commozione per quello che ci legava a lui. Perciò ci ha generato come figli del Padre, che aveva questo disegno su di lui e su di noi. E questo è stato riconosciuto da tutti, anche da coloro che non appartengono al movimento: in quanti si sono avvicinati, per farci le condoglianze per la morte di don Giussani, con la consapevolezza che noi avevamo perso il padre! Anche loro riconoscevano questo in noi, questa paternità sua. Allo stesso tempo abbiamo avuto, insieme al dolore dello strappo, l’esperienza della sua permanenza, mai così potente come adesso.

Per questo momento, è come se ci avesse lasciato tutto, come un padre che lascia tutto pronto per aiutare i figli. Rileggendo il testo Il sacrificio più grande è dare la propria vita per l’opera di un Altro, è come se fosse stato preparato per noi adesso.
«Dare la vita per l’opera di un Altro; questo “altro” storicamente, fenomenicamente, come apparenza, è una determinata persona, sono io - diceva don Gius -, ma questo io è destinato a scomparire: appena pronunciata, la parola “io” sfuma, si perde in lontananza; perché il fattore storico descrivibile, fotografabile, indicabile con nome e cognome è destinato a scomparire dalla scena su cui inizia una storia. Perciò questo è un momento di una responsabilità gravissima - diceva -, perciò questo è un momento in cui la presa di coscienza della responsabilità per ognuno è gravissima come urgenza, come lealtà e come fedeltà. è il momento della responsabilità che del carisma si assume ciascuno». Cos’è il carisma? L’essenza del nostro carisma è riassumibile - diceva - in tre cose: «Prima di tutto l’annuncio che Dio è diventato uomo (lo stupore e l’entusiasmo di questo); in secondo luogo l’affermazione che questo uomo è presente in un “segno” di concordia, di comunione, di unità di popolo» e, terzo, che «solo nel Dio fatto uomo, perciò solo nella Sua presenza e, quindi, solo attraverso la forma della Sua presenza, l’uomo può essere uomo e l’umanità può essere umana». Perciò moralità e missione.

Davanti alla tentazione, sempre in agguato, per la nostra fragilità e per il nostro male, di ridurlo, di parzializzarlo, per evitare di «ridurlo, parzializzarlo, accentuarne aspetti a danno di altri (rendendolo mostruoso), piegarlo a un proprio gusto di vita o a un proprio tornaconto», occorre - ci diceva - «un paragone con il carisma». «Il paragone col carisma è, quindi, la preoccupazione più grande che metodologicamente e praticamente, moralmente e pedagogicamente si deve avere. Altrimenti il carisma diventa pretesto o spunto per quello che si vuole; copre e avalla qualcosa che si vuole noi. Rendere comportamento normale il paragone con il carisma come correzione e come ideale continuamente risuscitato. Dobbiamo rendere tale paragone abitudine, habitus, virtù. Questa è la nostra virtù: il paragone con il carisma nella sua originalità».

Perché sia possibile questo, occorre un ultimo passaggio: «A questo punto ritorna l’effimero, perché Dio si serve dell’effimero. Ritorna l’importanza dell’effimero: per ora, il paragone ultimamente con la persona determinata con cui tutto è cominciato. Io posso essere dissolto, ma i testi lasciati e il seguito ininterrotto - se Dio vorrà - delle persone indicate come punto di riferimento, come interpretazione vera di quello che in me è successo, diventano lo strumento per la correzione e per la risuscitazione; diventano lo strumento per la moralità. La linea dei riferimenti indicati è la cosa più viva del presente, perché un testo può essere interpretato anch’esso; è difficile interpretarlo male, ma può essere interpretato così. Dare la vita per l’opera di un Altro implica sempre un nesso tra la parola “Altro” [con la A maiuscola] e qualcosa di storico, concreto, tangibile, sensibile, descrivibile, fotografabile, con nome e cognome. Senza questo si impone il nostro orgoglio, questo sì effimero, ma effimero nel senso peggiore del termine. Parlare di carisma senza storicità, non è dire un carisma cattolico».
Vengono i brividi anche soltanto a leggerlo, adesso, perché adesso possiamo veramente capire la portata di quello che ci aveva detto anni fa.

Il carisma stesso ha lasciato detto come permane: i testi e il punto di riferimento. Perciò la elezione di oggi (si fa riferimento alla elezione di don Julián Carrón a presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione avvenuta tramite votazione dei membri; ndr) è la prima occasione offerta a noi di mostrare la nostra figliolanza: con questa votazione vi siete dimostrati figli, perché avete seguito quello che don Giussani aveva indicato come punto di riferimento. E questo è un buon inizio per la permanenza di tutta la nostra storia. La nostra obbedienza è una promessa, perché tutto dipende dall’obbedienza a Colui che attraverso don Giussani ci ha generati, ci genera e continuerà a generarci. Impossibile che non venga alla mente quella parola di san Paolo ai Romani: «Come per la disobbedienza di uno tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti». Dall’obbedienza è nata una storia, dalla disobbedienza un’altra; dall’inizio della storia, è stato sempre un atto di disobbedienza o un atto di obbedienza: Adamo e Cristo. Perciò, che a noi sia stata data la grazia dell’obbedienza oggi - c’è sempre di mezzo la libertà! - è già un bel segno, una bella promessa per tutti quanti noi.

In questo sta tutto il programma che abbiamo davanti: che quello che abbiamo fatto con la votazione oggi coincida con noi, diventi habitus, affinché il nostro esistere coincida con il nostro essere. Perché con la votazione non finisce tutto e tutto continua come prima: non è cambiato soltanto qualche dettaglio, qui una mutazione c’è stata!
In quel ritiro del ’97, a cui facevo riferimento, don Giussani commentava la frase di san Giovanni: «Vi conviene che io me ne vada». Diceva: «Quando carnalmente muta, visivamente muta, quando sensibilmente muta un amico con cui abbiamo fatto un pezzo di strada, anzi, che ha raccolto tutta la nostra fatica dopo la confidenza del nostro inizio, questo diventa una ragione negativa per la propria vocazione e a uno gli viene il pensiero: “Adesso saremo meno aiutati, saremo meno sicuri, saremo meno…”. Il venir meno della contingenza che Cristo ha usato per entrare nella nostra vita ci fa paura. Se viene meno la persona attraverso cui ci siamo dati, che ci ha accompagnati, questo diventa sorgente di paura, di timore». E lui, seguendo Gesù, diceva: «È meglio che succeda questo. Quando perdiamo l’attaccamento alla modalità con cui la verità ci si comunica - diceva -, perciò quando noi assumiamo un atteggiamento di libertà di fronte alla modalità con cui ci sono state dette le cose, è allora che la verità della cosa incomincia ad emergere chiaramente». Allora a un certo punto si supera la carnalità, questa contingenza storica? No! Continuava infatti don Giussani: «Cristo ci raggiunge, il Mistero ci raggiunge attraverso cose concretissime, attraverso una umanità, attraverso una realtà umana, ma non dipende da chi è capace di parlare in un certo modo o da chi vi fidate, non dipende da questo, da come è, non è legata a lui la sicurezza da cui traete sostanza nel camminare, ma dipende da Gesù, questa è la nostra tranquillità: dipende da Gesù, siete entrati in rapporto diretto col mistero di Gesù, il mistero di Cristo, che governa la storia attraverso le esistenze che Lui afferra».

Perciò, nella sequela a questo punto contingente, è il rapporto con Gesù che è in gioco. Non si tratta di riempire l’organigramma: è il rapporto con Cristo, è la nostra vita che è in gioco! Come me, tutti noi siamo davanti al Mistero in questo frangente di circostanze così effimere; e tutti adesso abbiamo davanti lo strumento per la moralità - come leggevo prima -, che è il punto di riferimento, davanti a cui si muove la nostra libertà. Questo è il percorso della vita che ci aspetta, perché il metodo sacramentale è sempre lo stesso: seguire uno che il Mistero afferra in un modo così palesemente misterioso, perché è la permanenza dello stesso in una modalità storica nuova, non è una riproduzione di quello che c’era: le forme espressive sono cambiate, io sono io, con tutto il mio effimero, e questo è veramente un nuovo inizio, in un certo senso.
Abbiamo davanti tutta l’avventura di conoscerci e di diventare veramente compagni al destino. Io desidero essere il vostro compagno al destino, non mi interessa altro. Non mi interessa l’organigramma, mi interessa camminare al destino, mi interessa Cristo, perché solo Lui è in grado di farmi sperimentare il fremito di una intensità del vivere che nessuna organizzazione mi può dare. Non mi interessa altro. E mi interessa il rapporto con voi per questo: mi interessa avere rapporti veri, leali, non formali, per questo. Non mi interessa altro, non riesce a interessarmi altro, anche se posso cedere per il mio male; ma quello a cui devo arrendermi, come consapevolezza e come giudizio, per l’esperienza che faccio, è che non c’è altro che interessi la mia vita come Cristo. Perciò, io vi invito a questo, a un rapporto per questo.

Per caso l’altro ieri mi sono trovato tra le mani un testo che mi piace da morire, perché indica veramente qual è il compito che abbiamo: «È venuto un momento - diceva don Giussani nel 1991 - in cui l’affezione fra noi ha un peso specifico immediatamente più grande che neanche una lucidità dogmatica, l’intensità di un pensiero teologico o l’energia di una conduzione. L’affezione che è necessario portarci tra noi ha una sola urgenza: la preghiera, l’affezione a Cristo. Infatti è venuto il momento in cui il movimento cammina esclusivamente in forza dell’affezione a Cristo che ognuno di noi ha, che ognuno di noi invoca allo Spirito di avere».
«Il movimento cammina esclusivamente in forza dell’affezione a Cristo»: questo è il nostro programma, non c’è altro. Questa è la nostra sfida: il movimento cammina esclusivamente in forza del «sì» a Cristo di ognuno di noi, della propria affezione a Cristo. Se questo cresce, questa è la speranza per noi e per il mondo, per l’umanità intera, perché noi continueremo, allora, attraverso l’esperienza, come don Giussani, a rendere presente al mondo chi è Cristo: non come parola, ma come esperienza.

«Tutta la concezione morale di Gesù - come dice la Scuola di comunità - si basa come legge dinamica su una forza unitiva conseguente a una preferenza, una scelta». Tutta la moralità è lì. Per questo, dandoci questo punto di riferimento - questa preferenza e questa forza unitiva - Dio ci dà lo strumento per la moralità. Davanti a questo metodo di Dio, «il problema degli uomini è quello di resistere alla Sua logica». E noi, che siamo peccatori come tutti, non siamo diversi. Perciò occorre la domanda, il grido al Mistero, come don Giussani concludeva quel ritiro dei Novizi: «Pregate Dio che siate fedeli anche alla contingenza di cui questa compagnia di Cristo si serve per entrare nella nostra vita e, attraverso di noi, nel mondo». Domandiamo questa semplicità di adesione, che è all’origine dell’unità. Perché è Dio - come studiamo nella Scuola di comunità - a riunire coloro che sono Suoi; l’unità non è l’esito del nostro metterci d’accordo: per questo è il rispondere, ognuno di noi, a Cristo, è l’affezione a Cristo che genera questa unità.
Mettiamo nelle mani della Madonna, «di speranza fontana vivace», la nostra storia, e domandiamo anche a don Giussani - lui che ha avuto a cuore ognuno di noi e il mondo - che, in questo frangente storico da lui definito come «solitudine brutale», ci tenga la mano, per il bene nostro e per il bene del mondo.