Cristo, la compagnia di Dio all’uomo

Da Avvenire, 14 marzo 1982. Testo del primo Volantone di Pasqua (1982). Ripubblicato in Uomini senza patria (1982-1983), BUR 2008, pp. 8-12.
Luigi Giussani

Incontri di Quaresima per l'uomo d'oggi: don Luigi Giussani e Claudia Mori.
Proseguiamo nel cammino quaresimale insieme con la comunità cristiana di Seregno. Domenica scorsa abbiamo presentato la riflessione di don Bruno Maggioni e l'esperienza di Liliana Cosi e di Ambrogio Fogar, il navigatore solitario. Oggi è la volta di don Luigi Giussani e di Claudia Mori.
Don Luigi Giussani, il fondatore del Movimento di Comunione e Liberazione, ha svolto la sua lezione sulla persona di Cristo.
A Claudia Mori la nostra collaboratrice Adelaide Anzani Colombo ha posto alcune domande sulla sua fede cristiana, proposta anche alla comunità di Seregno nel corso della serata di meditazione.



Cristo è un uomo che si è detto Dio.
Alla domanda di Filippo «Mostraci il Padre», interprete dell’interrogativo degli apostoli che, pur seguendo da alcuni anni Gesù, non capivano bene (come noi non capiamo bene quando sentiamo la parola Dio o la parola mistero), Gesù risponde: «Chi vede me vede il Padre».
Cristo è l’unico uomo nella storia che si è identificato con Dio, l’unico che ha osato dire: «Io sono la via, la verità e la vita». Noi, distratti dalle vicende quotidiane e dalla superficialità del nostro vivere, non realizziamo la sconfinata sproporzione, la lontananza infinita che separa l’uomo da Dio. Ma un animo profondamente religioso, un genio religioso è colui che questa sproporzione sente enorme e la insegna a tutti gli altri: che Dio solo è Dio.
Così hanno fatto tutti i grandi nomi nella storia delle religioni, anche Budda, anche Maometto. Mosè, aveva un tale senso della propria piccolezza davanti a Dio da supplicarlo che investisse della missione un altro al posto suo.
Unico fra tutti, unico caso al mondo, questo uomo che è Cristo si dice Dio.
Come è bello percorrere il Vangelo e sorprendere come i primi uomini, uomini come noi, che hanno seguito Gesù, sono arrivati non ad accorgersi che quell’uomo era Dio, ma a dire, a ripetere certe affermazioni che Lui faceva di sé. È questa la loro professione di fede.
Perché gli Apostoli non hanno scoperto che Gesù era Dio, ma, stando con Lui, ne hanno avuto un’impressione grande, tale da «dover» dire: se non dobbiamo credere a questo uomo non dobbiamo credere neppure ai nostri occhi. È per questa evidenza che, pur senza capire bene, hanno ripetuto le sue parole, quelle parole che hanno poi investito la storia e il nostro cuore. Nel primo capitolo del Vangelo di San Giovanni vediamo Gesù che si inoltra nel mondo e nella storia come un qualsiasi altro uomo, andando a sentire il Battista, confuso tra la gente. Ma l'istante di illuminazione profetica strappa a Giovanni Battista il grido rivolto a Lui che se ne sta andando: «Ecco l'Agnello di Dio. Ecco colui che toglie il peccato del mondo». Forse la gente presente non fa caso alle parole, abituata a sentire dal profeta frasi strane. Ma ci sono lì due, attentissimi a tutte le mosse del Battista. La sua frase strana li muove al seguito di Gesù: Maestro, dove stai di casa? E Lui: venite a vedere. Vanno e rimangono tutto quel giorno. Chi scrive era uno dei due, Giovanni: egli ricorda di quell'incontro anche l'ora perché è l'ora, l'ha capito dopo, che gli ha sconvolto la vita.
L'annuncio dei due agli amici è la partecipazione di una certezza: «abbiamo trovato il Messia». E gli amici vanno, lo vedono, gli parlano, stanno un po' con lui. Pietro, Andrea, Filippo, Natanaele... Storie come le nostre, incontri semplici e sconvolgenti la vita. Tutta nasce così, da una conoscenza, uno sbocciare d'amicizia, una sempre più intensa comunione di vita: e quanto più gli stanno insieme tanto più vedono emergere in Lui una forza ed una intelligenza che li lascia senza fiato, una bontà straordinaria e ignota, una padronanza di sé e della sua storia (al tribunale dei suoi nemici lancerà la sfida: chi di voi mi può rimproverare di una sola contraddizione, di un solo errore?), un potere sulla natura come se questa fosse un congegno nato dalle sue mani, la capacità di vincere la morte: «Donna, non piangere», dice alla vedova di Naim, e le risuscita il figlio.
Ma soprattutto quell'altro potere: «Confida, figlio, dice al paralitico, ti sono rimessi i tuoi peccati». Sussultano i farisei: «Chi è quell'uomo che può rimettere i peccati? I peccati li può rimettere solo Dio». E Gesù: «E' più facile dire a costui: ti son rimessi i tuoi peccati o dirgli: alzati, prendi il tuo letto e cammina? Perché sappiate che io ho il potere di rimettere i peccati, dico a te: alzati e cammina.»
Chi è quotidianamente spettatore di cose così grandi, il gruppetto degli amici, uomini e donne che lo seguono, sente nascere la domanda insopprimibile: chi è costui? Sanno donde viene, conoscono sua madre, e i suoi parenti, tutto sanno di lui, ma è così sproporzionato il potere che quell'uomo dimostra, egli è così grande e così diverso nella sua personalità che anche la domanda ha un senso diverso: chi è mai costui?
La stessa domanda gli faranno, esasperati, i suoi nemici: «Fino a quando ci tieni col fiato sospeso? Dì da che parte tu vieni e chi sei». E avevano tutti i suoi dati all'anagrafe, ma non davano la risposta esauriente. La risposta la dà Gesù stesso a Caifa che lo interpella: «Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il figlio di Dio». In quel momento Cristo non può più tacere, perché è questa la testimonianza per cui è venuto. Il suo sì alla domanda di Caifa sconvolge il Sinedrio: ha bestemmiato! Si è detto Dio. Ma lo aveva già detto: «Prima che Abramo fosse, io sono».
E, allora, passando con i suoi sotto la roccia di Cesarea di Filippi aveva chiesto agli apostoli: «La gente chi dice che io sia?... ».
E voi chi dite «che io sia»? L'impeto della risposta di Pietro giunge sino a noi. Non è parola sua, ripete una frase che gli ha sentito dire. «Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente». E la risposta di Gesù coinvolge tutti noi: «Fortunato Pietro, perché questa parola non l'hai detta da te, ma il Padre te l'ha ispirata. Ora io ti dico che tu sei come questa roccia e come su questa roccia c'è questa cittadella imprendibile, così su di te io costruirò la mia Chiesa e nessuno mai varrà a sterminarla».
La domanda che Cristo fa agli Apostoli è la domanda della nostra vita. Nessuna altra domanda che l'uomo possa pensare è più grave, più grande e più decisiva di questa; tutta la vita nostra, come valore, dipende dalla risposta a questa domanda: se egli sia esistito come uomo qualsiasi, o se egli esista come uomo-Dio.
Se osserviamo la differenza tra la risposta degli amici che hanno creduto in Gesù e quella della folla che lo ha rifiutato, notiamo che il gruppo degli apostoli e delle donne lo ha seguito, è stato con Lui.
È questa la grande strada dell’evidenza, della ragione: è la strada della vita, del rapporto continuo, dell’esperienza quotidiana spartita. Per questo potevano dire: se non crediamo a questo uomo non possiamo aver fiducia neanche nei nostri occhi. La folla invece seguiva Gesù quando aveva interesse e curiosità. E restava colpita perché la parola era vera e la verità porta con sé la propria evidenza. Ma la dissipazione era immediata; la folla lo seguiva anche per passione di sentirlo, ma senza impegnare il fondo del proprio animo, senza coinvolgimento vitale.
Nel sesto capitolo di Giovanni, Gesù commosso perché la gente lo segue ha l’intuizione più affascinante della sua vita; «Voi mi seguite perché vi ho sfamato con un po’ di pane. Ma io vi darò la mia carne da mangiare, vi darò il mio sangue da bere». La sproporzione del divino appare, si fa evidente e proprio lì si instaura la resistenza di chi non vuole capire, di chi è scandalizzato perché i criteri e le modalità di quell’uomo scompaginano il suo modo di pensare.
«È pazzo, chi può dar da mangiare la sua carne e da bere il suo sangue?». Le insinuazioni si fanno rumore, si fanno vociare intero della folla che abbandona la sinagoga. Il Cristo rimane solo con i suoi, nel silenzio della sera. E rompe quel silenzio con un’altra sconvolgente domanda: «Anche voi volete andarvene?» «Maestro - grida all’improvviso, grida impetuoso, ancora, Pietro - anche noi non comprendiamo quello che tu dici, ma se andiamo via da te dove andiamo? Tu solo hai parole che danno senso alla vita».
È questa la risposta di chi ha l’umiltà, la fedeltà, l’umanità di seguire Gesù attratto dall’evidenza della verità delle sue parole.
Ma chi non sa seguirlo, chi non osa lo sforzo di una familiarità, di una consuetudine di vita non arriva ad evidenziare la verità e non troverà risposta vera, personale e matura all’interrogativo fondamentale, definitivo che Gesù gli rivolge: e tu, chi dici che io sia?
Come possiamo rispondere a questa domanda noi che non siamo stati alle nozze di Cana, che non abbiamo visto il paralitico guarire, che non abbiamo assistito al funerale di Naim, che non lo abbiamo seguito per tre giorni nella steppa, dimenticando persino il cibo?
La familiarità con Lui da cui nasce l’evidenza della sua parola come unica che dia senso alla vita, come possiamo viverla?
Il modo c’è: la compagnia che da Cristo è nata ha investito la storia: è la Chiesa, suo corpo, cioè modalità della sua presenza oggi. È perciò una familiarità quotidiana di impegno nel mistero della sua presenza entro il segno della Chiesa.
Di qui può nascere l’evidenza razionale, pienamente ragionevole, che ci fa ripetere con certezza ciò che Lui, unico nella storia dell’umanità disse di sé: Io sono la via, la verità, la vita.