Il sacrificio più grande è dare la propria vita per l'opera di un Altro

Tratto da L’avvenimento cristiano. Uomo Chiesa Mondo
BUR, 2003, pp. 65-70.
Luigi Giussani

1. In uno degli inni delle Lodi cantiamo: «Al nostro raduno concorde un Ospite nuovo s’aggiunga». Concorde: è soltanto una unità di popolo il vero soggetto protagonista di storia. La parola concordia ha un valore metafisico, ontologico e un valore etico, morale; bisogna tener presente e approfondire questi due aspetti nel rinnovarsi quotidiano del nostro impegno, della nostra memoria. Ricordiamoci che la parola memoria indica un presente, la coscienza di un presente che è incominciato in un passato. La memoria è un investimento della storia; e il Benedictus segna la traiettoria di questa storia.

«Un Ospite nuovo s’aggiunga»; il valore metafisico e ontologico della nostra concordia sta nella profondità che la nostra unità assume dalla grande presenza di Cristo, che è l’unica cosa che noi sappiamo. Noi siamo così graziati, che nella nostra ingenuità riusciamo a superare tutta la contraddizione della nostra distrazione e dei nostri peccati e a percepire giorno per giorno la grande presenza di Cristo. Siamo così graziati che chiunque e comunque siamo, possiamo sinceramente, ingenuamente ripetere che non conosciamo altro che Cristo. Infatti la nostra concordia non conosce altro che Cristo.

Da questo valore ontologico della compagnia sprizza il suo valore morale: è frutto di una libertà. La nostra concordia è frutto della libertà: frutto della Sua presenza come radice, ma frutto della nostra libertà come riconoscimento e consenso.

Da questo accenno nasce la formula morale più intensamente riassuntiva e più indicativa per la prassi della nostra vita: «Il sacrificio più grande è dare la vita per l’opera di un Altro». Questa frase è analogica con quella che ha detto Cristo: «Nessuno ama tanto i propri amici come chi dà la vita per i propri amici». Ma più profondamente ancora - come tutto il Vangelo di san Giovanni afferma - questa frase ricorda l’esperienza stessa di Cristo che dà la vita per l’opera del Padre.

Dare la vita per l’opera di un Altro, detto non astrattamente, per noi vuol dire che tutto quello che facciamo, tutta la vita nostra è per il Movimento. Dire che quello che facciamo è per l’incremento del carisma, che ci è stato dato di partecipare, è dire qualche cosa che ha un riferimento preciso, storico; che ha una sua cronologia, una sua fisionomia descrivibile e addirittura fotografabile; che indica nomi e cognomi e, all’origine, un nome e un cognome. Se dare la vita per l’opera di un Altro non indica un nome e cognome, svanisce la sua storicità, si deprime la sua concretezza e non si dà più la vita per l’opera di un Altro, ma si dà la vita per la propria interpretazione, per i propri gusti, per il proprio tornaconto o per il proprio punto di vista.

Dare la vita per l’opera di un Altro; questo «altro», storicamente, fenomenicamente, come apparenza, è una determinata persona; per quanto riguarda il nostro Movimento, ad esempio, sono io. Mentre dico così è come se scomparisse tutto quanto è il mio io (perché l’«Altro» è Cristo nella sua Chiesa); resta un punto storico di riferimento e tutto il flusso di parola, tutto il fiume di opera che è nato dal primo momento nella scuola Berchet.

Perdere di vista questo accenno è perdere il fondamento temporale della concordia, dell’utilità del nostro agire, è come mettere delle crepe in un fondamento.


2. Appena pronunciata, la parola «io» sfuma, si perde in lontananza; perché il fattore storico descrivibile, fotografabile, indicabile con nome e cognome è destinato a scomparire dalla scena su cui inizia una storia. Ognuno ha la responsabilità del carisma; ognuno è causa di declino o di incremento dell’efficacia del carisma; ognuno o è un terreno in cui il carisma si sperpera, o è un terreno in cui il carisma dà frutto.

Perciò questo è un momento in cui la presa di coscienza della responsabilità per ognuno è gravissima come urgenza, come lealtà e come fedeltà. È il momento della responsabilità che del carisma si assume ciascuno.

Oscurare o diminuire queste osservazioni vuol dire oscurare e diminuire un’intensità di incidenza che la storia del nostro carisma ha sulla Chiesa di Dio e sulla società di oggi.

L’essenza del nostro carisma è riassumibile in due cose:
- prima di tutto l’annuncio che Dio è diventato uomo (lo stupore e l’entusiasmo di questo);
- in secondo luogo l’affermazione che questo uomo è presente in un «segno» di concordia, di comunione, di unità di comunità, di unità di popolo.

Potremmo aggiungere una terza cosa fondamentale per descrivere definitivamente il nostro carisma: solo nel Dio fatto uomo, perciò solo nella Sua presenza e, quindi, solo attraverso - in qualche modo - la forma della Sua presenza, l’uomo può essere uomo e l’umanità può essere umana. È quindi dalla Sua presenza che scaturiscono con sicurezza moralità e passione per la salvezza dell’uomo («missione»).


3. C’è una immedesimazione personale, una versione personale che ognuno dà del carisma cui è stato chiamato e a cui appartiene. Inevitabilmente questo carisma, quanto più uno ne diventa responsabile, tanto più passa attraverso il suo temperamento, attraverso quella vocazione irriducibile a qualsiasi altra che è la sua persona. La persona di ciascuno ha una sua concretezza, la concretezza della sua mentalità, del suo temperamento, delle circostanze in cui vive e soprattutto del movimento della sua libertà.

Perciò ognuno, del carisma e della sua storia, può fare ciò che vuole: ridurlo, parzializzarlo, accentuarne aspetti a danno di altri (rendendolo mostruoso), piegarlo a un proprio gusto di vita o a un proprio tornaconto, abbandonarlo per negligenza, per caparbietà, per superficialità, abbandonarlo a un accento in cui la propria persona si trovi più a suo agio, trovi più gusto e faccia meno fatica.

Il carisma, identificandosi con la responsabilità di ognuno, assume una flessione varia e approssimativa nella misura della generosità di ognuno. L’approssimazione è misurata dalla generosità, dove si fondano capacità, temperamento, gusto, eccetera. Il carisma si flette secondo la generosità di ognuno. Questa è la legge della generosità: dare tutta la propria vita per l’opera di un Altro.

Questo terzo punto arriva a imporre la grande questione: ognuno, in ogni suo atto, in ogni sua giornata, in ogni suo immaginare, in ogni suo proposito, in ogni suo agire, deve preoccuparsi di paragonare i criteri con cui agisce con l’immagine del carisma come è emerso alle origini della storia comune. Il paragone col carisma così come ci è stato dato tende a correggere la singolarità della versione, della traduzione ed è correzione e suscitazione continua.

Il paragone col carisma è, quindi, la preoccupazione più grande che metodologicamente e praticamente, moralmente e pedagogicamente si deve avere. Altrimenti il carisma diventa pretesto e spunto per quello che si vuole; copre e avalla qualcosa che si vuole noi. Così diventiamo radicalmente impostori, perché diciamo di fare Comunione e Liberazione e invece facciamo quello che vogliamo noi di Comunione e Liberazione. La menzogna, secondo il linguaggio di san Giovanni, è sinonimo di peccato, perciò è un tradimento.

Per limitare questa tentazione, che è di ognuno di noi, dobbiamo rendere comportamento normale il paragone col carisma come correzione e come ideale continuamente risuscitato. Dobbiamo rendere tale paragone abitudine, habitus, virtù. Questa è la nostra virtù: il paragone col carisma nella sua originalità.
 

4. A questo punto ritorna l’effimero, perché Dio si serve dell’effimero. Ritorna l’importanza dell’effimero: per ora, il paragone ultimamente con la persona determinata con cui tutto è cominciato. Io posso essere dissolto, ma i testi lasciati e il seguito ininterrotto - se Dio vorrà - delle persone indicate come punto di riferimento, come interpretazione vera di quello che in me è successo, diventano lo strumento per la correzione e per la risuscitazione; diventano lo strumento per la moralità. La linea dei riferimenti indicati è la cosa più viva del presente, perché un testo può essere interpretato anch’esso; è difficile interpretarlo male, ma può essere interpretato così.

Dare la vita per l’opera di un Altro implica sempre un nesso tra la parola «Altro» e qualcosa di storico, concreto, tangibile, sensibile, descrivibile, fotografabile, con nome e cognome. Senza questo si impone il nostro orgoglio, questo sì effimero, ma effimero nel senso peggiore del termine. Parlare di carisma senza storicità, non è dire un carisma cattolico.