Mi dica: cos'è «Comunione e liberazione»?

Milano 1975. A colloquio con don Giussani, l'ispiratore. «Il Giorno», p. 3
Giorgio Bocca

Che posto ha don Giussani nella Milano 1975? Il sacerdote che diede vita venti anni fa a «Gioventù studentesca» nega di essere il padre di «Comunione e liberazione»: «Sono i miei discepoli che l'hanno fatta, oggi sono il discepolo dei miei discepoli». Ma si può essere certi che don Giussani conta molto nel movimento cattolico giovanile che con cinquemila aderenti a Milano e ventimila in Italia si presenta oggi come il più vivo e di grinta.

Don Giussani, gli dico, una costante della politica italiana, anzi della cultura italiana è che i laici sanno poco o niente dei cattolici e viceversa. Vi conosco poco, non so se siete o meno degli integralisti, se pensate o meno a uno Stato cattolico. Dai vostri documenti risulta una avversione netta verso la società radical-liberale e verso le sue false libertà, come le chiamate. Nel 1945 De Gasperi pose termine all'antico conflitto fra cattolici e liberali e, in senso più lato, fra cattolici e laici. Vi sembra giusto riaprirlo adesso?
«Non nascondo la mia netta avversione per il capitalismo liberale e per le sue false libertà. Ma non credo che "Comunione e liberazione" possa essere accusata di integralismo. Come cristiani ricerchiamo la collaborazione di tutti coloro che credono nella comunione degli uomini. Ai ragazzi cito una frase del Vangelo: "Chi mi segue conoscerà la vita eterna e il centuplo quaggiù". Non la ricchezza, non il Bengodi, ma l'in più che dà la fede.»

Mi è stato detto che in un vostro volantino distribuito agli operai in lotta si dice che non lo sciopero ma la libertà in Cristo risolve la condizione operaia.
«Non ho mai visto un volantino simile e non lo approverei».

Ho sentito parlare i ragazzi di "Comunione e liberazione". Hanno un linguaggio difficile, per formule, che tende a confondersi con quello della sinistra studentesca, con quello degli extraparlamentari. Quali sono secondo lei le ragioni?
«Lei dice linguaggio difficile, ma sarebbe più giusto dire linguaggio in disuso nella cultura laica. Noi riportiamo il discorso religioso sulla presenza e sul mistero di Cristo, annunciamo, in certo senso, la novità che c'è già stata. Ecco perché i nostri ragazzi parlano per formule. La formula può essere una prigione, un guscio vuoto, come può essere uno scrigno per la difesa di idee scomode, diverse».

Se lei dovesse spiegare a un uomo di poche letture questo concetto della novità che c'è già stata, del cristianesimo che ritorna nella società attuale, come si esprimerebbe?
«Direi: ma come pensi di poter lottare contro il padrone, contro lo sfruttamento se tu stesso sei un padrone, se non hai amici, se tratti tua moglie e i tuoi figli come dei servi».

E il linguaggio di sinistra?
«Voglio raccontarle un episodio dei tempi di "Gioventù studentesca". Al convitto Rinascita insegnava il professor Raimondi, un comunista che si prendeva gioco di noi. Propongo un dibattito, Raimondi ci sta e io spiego che la tradizione cristiana, il modo di vivere cristiano non va inteso come un dogma, ma come una ipotesi di lavoro, che deve essere misurata, verificata nella realtà attuale. "Non è valido" – diceva Raimondi – "lei usa la nostra logica, il nostro metodo". E perché non avrei dovuto usarli? Se l'analisi marxista mi serve a illuminare le mie idee io la uso».

Vede, don Giussani, la cultura laica ha certamente prevenzioni, pregiudizi, ma anche esperienze, diffidenze giustificate. I gesuiti non sono una nostra invenzione. Io per esempio non ho capito che cosa significhi la collana che la vostra editrice, la Jaca Book, dedica alle rivoluzioni nel Terzo Mondo. Che cosa vuole dimostrare? Che il capitalismo liberale è il padre degli imperialismi?
«La nostra casa editrice si interessa di tutto. Segue la lotta contro l'imperialismo occidentale, come si occupa del capitalismo di Stato sovietico. La repressione del cristianesimo in Russia non ci impedisce di vedere la repressione più morbida ma più subdola che esso subisce nell'Occidente industrializzato».

So che è ingenuo e in un certo senso ingiusto chiedere a un movimento: dimmi come sarà la società per cui lavori. Ma posso chiederle qual è il progetto di società che ha «Comunione e liberazione»?
«Intanto diciamo che i più vecchi di "Comunione e liberazione" hanno trent'anni. Devono ancora compiere la loro traiettoria. Fanno proposte pratiche, consigliano, influenzano. Il progetto per le autonomie locali del vicesindaco Borruso è il frutto di questo lavoro collettivo. Siamo un movimento che studia. Nel nostro Istituto per la transizione si fanno gli studi che non hanno uno scopo immediato, di strumenti. Ai problemi dell'oggi si pensa nella nostra redazione culturale».

Mi può dire qualcosa della vostra organizzazione? Fuori si parla di diaconi che fanno voto di castità e di povertà.
«Fuori si dicono tante cose sul nostro conto. L'organizzazione è semplice: la cellula iniziale è un gruppo di amici. Quando il gruppo si allarga viene non guidato, ma servito da una diaconia. Diaconia. Diacono vuol dire servizio, servitore. Nessun diacono fa voto di castità, ci sono molti sposati. Alcuni versano, questo è vero, anche la metà del loro stipendio. Tutti si pagano le spese per l'attività politica».

Dicono anche che sareste la nuova Azione cattolica.
«Per l'amor di Dio. Siamo stati emarginati dall'Azione cattolica, ce ne siamo andati per avere una cultura diversa, per dire no alla divisione tra fede e politica».

E gli uomini politici incominciano a seguirvi con attenzione, si direbbe che ambiscano il vostro appoggio.
«Ah questo sì, da quando l'anno scorso hanno visto il nostro convegno al Palalido con seimilacinquecento universitari hanno incominciato a tenerci d'occhio».

Ma è vero che Moro e Fanfani hanno seguito il vostro recente convegno di Roma?
«La cosa sta esattamente così. È tradizione del movimento di invitare ai suoi convegni i professori universitari. Moro e Fanfani sono stati invitati in qualità di professori. Fanfani non si è visto, Moro è venuto spesso alle nostre riunioni. Ascolta, segue e non dice mai niente».

Posso chiederle che cosa ne pensa di don Milani?
«Sono pronto a sottoscrivere tutto ciò che ha scritto. Ma per carità non mi faccia altri nomi».

E che cosa pensate dei cattolici contestatori?
«Riconosciamo a queste esperienze di contestazione cattolica una autentica sincerità religiosa. Ci duole molto di non poter condividere la loro posizione nei confronti della Chiesa, per noi la Chiesa rimane l'interprete del Cristo».

Com'è il vostro proselitismo?
«Cristo aveva una sua precisa metodologia. Diceva: "Vieni e seguimi". Noi diciamo: prova, guarda chi siamo».

Don Giussani dice che i giovani di «Comunione e liberazione» devono compiere la loro traiettoria e noi siamo vivamente interessati a vedere in quale direzione essa si muove. Ho detto a don Giussani: «Mi è quasi impossibile capirvi, abbiamo due culture diverse, parliamo due lingue diverse. Non so come possiate mettere assieme un ritorno al Pio IX del "liberalismo empio" con le aperture a tutti, dunque anche ai laici, sui temi della vita contemporanea; come possiate essere dei neo cristiani contestatori e al tempo stesso gli obbedienti figli della Chiesa gerarchica». Don Giussani sorrideva e diceva salutandomi: «La ringrazio per l'umanità di questo incontro».
Ci sono aspetti di «Comunione e liberazione» che non si capiscono se non si capisce la dimensione religiosa, misterica. Ma ci sono degli aspetti politici molto chiari. «Comunione e liberazione» segna un ritorno notevole dell'attivismo cattolico nelle scuole, il movimento ha una notevole capacità di richiamo e di suggestione sui giovani. Nonostante le assicurazioni di don Giussani, direi che la sinistra laica può tranquillamente considerarlo un avversario pericoloso, però ha il dovere di informarsene, non può cavarsela favoleggiando della CIA e immaginando riti da società segreta. Siamo tipi curiosi noi laici: dopo venti secoli di ecclesia e trenta anni di governo democristiano ogni tanto scopriamo che i cattolici esistono.