Mosè e lo Shuttle. Riflessione religiosa su una tragedia della modernità

Il 1º febbraio 2003 la navicella Space Shuttle Columbia si disintegrò nei cieli del Texas durante la fase di rientro nell'atmosfera terrestre. Don Giussani scrisse un articolo comparso in prima pagina sul «Corriere della Sera»
Luigi Giussani

Caro direttore,
osservando le immagini dello Shuttle che precipita, si impone una domanda: con tutto quel che accade, è giusta la vita? Se non rispondessimo, tutto rimarrebbe nella disperazione, come se la tragedia dello Shuttle capitasse centomila volte in un giorno, lasciando centinaia di milioni di persone disperate.

Eppure nella sua ricerca di una risposta che affermi la libertà o la bontà o la giustizia, l’uomo incontra un limite, si scopre limitato per natura, così che tutto sembra senza fiato, e appare impossibile a chiunque compiere una sola azione di vita senza commettere ingiustizie o contraddizioni.

Siamo tutti come Mosè, cha aveva accompagnato per centinaia di chilometri i suoi; arrivato al confine di quello che sarebbe diventato poi lo Stato di Israele, dall’alto del monte guarda da lontano la Terra Santa senza poterla toccare, poiché Dio gli aveva detto: «Per punizione del tuo timore, del tuo non avermi reso giustizia, tu morirai prima di giungere nella Terra promessa». Infatti sarà Giosuè a fare entrare le truppe per la conquista. Ecco, noi stessi ogni ora siamo come sul limitare di una terra tanto desiderata quanto irraggiungibile. E per questo la domanda sulla riuscita della vita domina le giornate di chiunque abbia respiro umano.

Ora, c’è un’unica spiegazione cha dà ragione di tutto ciò che è accaduto: la croce di Cristo; la Sua morte è la risposta di Dio ai nostri limiti e alle nostre ingiustizie. Ci sarebbe un orizzonte di mancanza di ragione in tutte le cose. Qualsiasi evento capiti non troverebbe mai risposta adeguata, se non ci fosse Cristo: Lui segna l’ultima vittoria di Dio sulla realtà umana; qualsiasi cosa accada, è la «misericordia» che legge tutto ciò che è umano. La misericordia: Dio compie la vittoria sul male dentro la storia come positività, è questo che dà la ragione a ciò che accade.

Ma l’uomo non riesce a capire questa spiegazione. L’unica possibile spiegazione perché il danno e il male non siano il segno ultimo della storia. Allora avviene una cosa impossibile, la più impossibile: l’uomo si fa giudice di Dio. Mi mette le vertigini pensare al futuro, a quel che l’uomo può fare se giudica ingiusto Dio per qualcosa che accade e che egli non riesce a comprendere. L’uomo non può. Dio può fare e può permettere quello che vuole (è il mistero di Dio, in cui l’uomo non può entrare se Dio non gli apre la porta) e l’uomo che giudicasse Dio - per pura presunzione - compirebbe il vero cataclisma. La tragedia di Gesù è questa! Invece la morte e il destino di Cristo sono la resurrezione della vita: la vittoria sul male. Chi accetta questo fatto, partecipa della resurrezione della vita. Chi, non comprendendolo, non lo accetta, distrugge il mondo.

Ma dire che Cristo «ha vinto» è un’espressione strana per l’uomo e così giungiamo ad essa come ad un’uscita misteriosa, che rimane mistero fin quando il Padre lo vuole, finché il mistero di Dio non si riveli. E quando si rivelerà, sarà la fine, la fine del mondo. Per potere dire: «Ha vinto», l’uomo deve fare una scelta: la scelta che il bene trionfi sul male. La scelta del bene e non l’insistente sottolineatura del male. E questo è innegabile che sia giusto: a priori è giusto, non è una spiegazione che possiamo dare noi, ma qualcosa che riconosciamo.

Proprio per questo la storia dell’America ci insegna una positività della vita che è di esempio a tutto il resto del mondo. E ci insegna anche che se manca il senso del tutto, questo fa diventare infinita la possibilità di ribellione e di massacro.

Dio, il Signore mi fa giungere alla certezza della fede: che l’amicizia di Dio con me, con l’uomo, non può essere messa in discussione da nulla (fin dall’inizio Dio è venuto in terra scegliendosi un popolo, una nazione prediletta per portare il mondo a un compimento che altrimenti non avrebbe mai avuto). Pensare che poco prima di morire Gesù abbia detto: «Amico!» a Giuda che lo tradiva, è una cosa dell’altro mondo. Dice il Salmo 117: «Lodate il Signore perché è buono, eterna è la Sua misericordia». È una cosa dell’altro mondo. Pensavo in questi giorni a Massimiliano Kolbe, che dice al capo tedesco: «Tu ne devi ammazzare dieci, io ne sostituisco uno che ha figli…». E il tedesco accetta l’offerta. Se Hitler fosse stato lì in quel momento, non avrebbe certo premiato quel capitano… il capitano tedesco aveva applicato un’idea di giustizia che non era quella di Hitler; accettando lo scambio, aveva espresso il sentimento naturale di un uomo che poteva avere figli come il condannato. La Chiesa ha fatto santo padre Kolbe perché ha reso giustizia a se stesso davanti a Dio. Come fu per la Madonna, che per me rimane il vertice di quell’evoluzione dell’io che si chiama santità. Per cui di fronte a qualsiasi disastro o limite, un uomo può affermare con sicurezza che la vita è giusta perché va misteriosamente ma sicuramente verso il suo destino di positività.