«Costruite la civiltà della verità e dell’amore». L'intervento di Giovanni Paolo II al Meeting di Rimini

A conclusione della terza edizione del Meeting, dal titolo «Le risorse dell’uomo»
Giovanni Paolo II

Carissimi fratelli e sorelle.

1. Sono assai lieto di trovarmi qui, in mezzo a voi, per concludere questo terzo «Meeting per l’amicizia tra i popoli». Già solo il pronunciare queste parole rallegra il cuore: «Incontro»! «Incontro di amicizia»! «Amicizia tra i popoli»! Parole che acquistano un particolare significato in queste ore, spesso drammatiche, della storia del mondo.
Vi saluto perciò con la gioia dei Salmi, è la gioia stessa di Dio: «Ecco, quant’è bello e quant’è soave, che i fratelli vivano insieme!» (Sal 132 [133], 1).

Viviamo oggi un’ora privilegiata, che occorre comprendere a fondo. I motivi sono tanti.

2. Anzitutto, stiamo vivendo un incontro.

Ognuno di voi, in questi giorni, ha potuto fare questa esperienza. Ha avuto incontri non solo con le centinaia e migliaia di altre persone che hanno affollato le sale di ascolto, ma anche con varie personalità, che qui hanno portato il contributo della loro riflessione e della loro creatività.

Ma questo incontro è stato reso possibile e quasi necessario da un altro incontro. Il Meeting è nato infatti dall’amicizia di un gruppo di cristiani di questa città. Come ho saputo, esso è nato dalla passione di comunicazione, di creatività, di dialogo che la fede cristiana, vissuta integralmente, sempre porta con sé.

Sì, la fede vissuta come riverbero e in continuità con quei primi incontri che il Vangelo documenta, la fede vissuta come certezza e domanda della presenza di Cristo dentro ogni situazione e occasione della vita, rende capaci di creare nuove forme di vita per l’uomo, rende desiderosi di comunicare e conoscere, di incontrare e valorizzare.

L’incontro con Cristo, che si rinnova in modo permanente nella memoria sacramentale della Sua Morte e Risurrezione, abilita e spinge all’incontro con i fratelli e con tutti gli uomini. Veramente, le parole di san Paolo ai Tessalonicesi possono essere qui riprese, a conclusione e a insegnamento di questo vostro tentativo: «Vagliate ogni cosa, trattenete ciò che è buono» (1 Ts 5, 21).

Mi fa piacere che l’iniziativa sia espressione della vitalità del laicato cattolico in Italia: un tale laicato, «consapevole ed attivo, è una ricchezza inestimabile per ogni Chiesa locale», come ho detto ai vescovi della Liguria, l’8 gennaio scorso (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Liguriae episcopos occasione oblata ad Limina visitationis coram admissos, 4, die 8 ian. 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 1 [1982] 60).
Un laicato consapevole, cioè cosciente della comunione che lo lega a Cristo e alla Chiesa, e attivo, cioè desideroso di esprimere nella libertà delle iniziative la bellezza e l’umanità di ciò che ha incontrato. Questa è la bella realtà di questo incontro.

3. Quest’anno avete focalizzato la vostra attenzione su un tema particolarmente stimolante: «Le risorse dell’uomo». Vogliamo rifletterci insieme?

In generale, risorsa dell’uomo è tutto ciò che viene in suo aiuto nello sforzo per mantenersi in vita e per dominare la terra. Le cose, tuttavia, divengono veramente risorse dell’uomo solo quando l’uomo le incontra attraverso il lavoro. Attraverso il lavoro l’uomo domina la natura e pone al suo servizio tutte le cose. Attraverso il lavoro l’uomo si prende cura della terra, usa le sue ricchezze per la propria vita ed al tempo stesso migliora e difende la terra. Mi piace pertanto constatare come il vostro tema abbia il suo riferimento anzitutto alla grande ed attuale preoccupazione della Chiesa per il lavoro umano, che ha trovato espressione anche nella mia recente enciclica Laborem exercens. L’uomo infatti comunica con la realtà esterna soltanto attraverso la sua interiorità.
Sono le risorse interiori della sua mente e del suo cuore a permettergli di elevarsi al di sopra delle cose e di dominare su di esse. L’uomo vale non in quanto «ha», ma in quanto «è». Per questo è necessario meditare con particolare profondità su quella decisiva risorsa dell’uomo che è il lavoro, per comprendere il momento disinteressato, puro, non utilitario che sta al fondo del lavoro umano e gli conferisce il suo significato.

4. Questo però si collega – e facciamo un passo avanti – con un’altra fondamentale risorsa dell’uomo: la famiglia.

L’uomo lavora per mantenere se stesso e la propria famiglia. Se lavorare è prendersi cura dell’essere, collaborando all’opera creatrice di Dio, questo principio generale diventa evidente ed esistenzialmente concreto per la maggior parte degli uomini nel fatto che, lavorando, l’uomo si prende cura della persona dei propri cari. Se certo è vero che l’uomo avverte come tutti gli animali l’istinto di autoconservazione, è anche vero che non è giusto porre al principio del lavoro una intenzione solo utilitaristica ed egoistica. Anche l’istinto di autoconservazione esiste nell’uomo in forma specificamente umana, personalistica, come volontà di esistere come persona, come volontà di salvare il valore della persona in se stesso e negli altri, cominciando dai propri cari.
Questo fatto definisce il limite di ogni interpretazione utilitaristica ed economicistica del lavoro umano.

Il lavoro, attraverso il quale l’uomo domina la natura, è opera dell’intera comunità umana attraverso tutte le generazioni. Ognuna di queste generazioni ha il compito di avere cura della terra per consegnarla alle generazioni future, ancora e sempre più adatta ad essere casa dell’uomo. Mi sia permesso ricordare, in questo contesto, sia pure incidentalmente, che quando si rompe il vincolo della solidarietà, che deve legare gli uomini fra loro e con le generazioni future, questa cura per la terra viene meno. E allora, la catastrofe ecologica, che oggi minaccia l’umanità, ha una profonda radice etica nella dimenticanza della vera natura del lavoro umano soprattutto della sua dimensione soggettiva, del suo valore per la comunità familiare e sociale. È compito della Chiesa richiamare l’attenzione degli uomini su questa verità.

5. Ma bisogna scendere maggiormente in profondità.
Le risorse, pur sacrosante e primarie, di cui abbiamo parlato, toccano ancora abbastanza in superficie l’uomo. Occorre fare principalmente attenzione alle risorse che l’uomo porta in se stesso: nella sua natura umana, nella dignità dell’immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 27), che l’uomo reca impressa nell’essenza della sua personalità. Vengono ancor sempre alla mente le note parole del grande sant’Agostino, di cui ieri abbiamo celebrato la festa: Fecisti nos ad te: «Signore, ci hai fatti per te; e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confessioni 1,1).

Sì, fratelli e sorelle, siamo fatti per il Signore, che ha stampato in noi l’orma immortale della sua potenza e del suo amore. Le grandi risorse dell’uomo nascono di qui, sono qui, e solo in Dio trovano la loro salvaguardia. L’uomo è grande per la sua intelligenza, mediante la quale conosce se stesso, gli altri, il mondo e Dio; l’uomo è grande per la sua volontà, per cui si dona nell’amore, fino a raggiungere vertici di eroismo. Su tali risorse trova fondamento l’anelito insopprimibile dell’uomo: quello che tende alla verità – ecco la vita dell’intelligenza – e quello che tende alla libertà – ecco il respiro della volontà. Qui l’uomo acquista la sua grande, incomparabile statura, che nessuno può calpestare, che nessuno può irridere, che nessuno può togliergli: quella dell’«essere», a cui ho già accennato.

Questo valore, proprio dell’uomo, per cui ogni uomo è veramente uomo, poggia sul fondamento della cultura: è soprattutto nella cultura che si manifestano le risorse essenziali dell’uomo: come ho detto alla sede dell’Unesco, a Parigi, «l’uomo vive una vita veramente umana grazie alla cultura... La cultura è ciò per mezzo di cui l’uomo in quanto uomo diventa più uomo, “è” di più, eccede di più all’“essere”... La cultura si situa sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che l’uomo è, mentre la sua relazione a ciò che ha, al suo “avere” è non solo secondaria, ma totalmente relativa... Nell’ambito culturale, l’uomo è sempre il primo dato: l’uomo è il dato primordiale e fondamentale della cultura. E questo, l’uomo lo è sempre: nell’insieme integrale della propria soggettività spirituale e materiale. Se la distinzione fra cultura spirituale e cultura materiale è giusta in funzione del carattere e del contenuto dei prodotti nei quali la cultura si manifesta, bisogna in pari tempo constatare che, da una parte, le opere della cultura materiale fanno sempre apparire una "spiritualizzazione" della materia, una sottomissione dell’elemento materiale alle forze spirituali dell’uomo, cioè alla sua intelligenza e alla sua volontà e che, d’altra parte, le opere della cultura spirituale manifestano, in modo specifico, una “materializzazione” dello spirito, una incarnazione dello spirituale» (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III,1 [1980] 1639 ss).


Ecco, la cultura diventa così fondamento delle capacità dell’uomo di scoprire e valorizzare tutte le risorse, quelle concesse al suo essere materiale. Purché le sappia scoprire! Purché non le distrugga! Fratelli e sorelle, pensate alla enorme responsabilità che avete nelle mani! Non sciupatela, non trascuratela! Avete bisogno di tutte le vostre forze per far questo. Ma soprattutto avete bisogno di Colui che è la forza di Dio e dell’uomo: «Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio» (1 Cor 1,24).

6. Eccoci perciò al punto fondamentale, impreteribile della questione. La più grande «risorsa» dell’uomo è Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. In Lui si scoprono i lineamenti dell’uomo nuovo, realizzato in tutta la sua pienezza: dell’uomo per sé. In Cristo, Crocefisso e Risorto, si svela all’uomo la possibilità ed il modo secondo cui assumere in profonda unità tutta quanta la sua natura.
Qui sta, direi, il principio unificatore del vostro Meeting, dedicato alle risorse dell’uomo; vi è come un filo conduttore tra tutti i diversi momenti del vostro programma di lavoro: Cristo Risorto, sorgente inesauribile di vita per l’uomo. Cristo, risorsa dell’uomo: così avete voluto annunciare la celebrazione del Sacrificio Eucaristico.

Dell’uomo, Egli non ha disdegnato di assumere la natura, e non in modo astratto, poiché «spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo... umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte, alla morte di Croce» (Fil 2,7.8). L’umanità di Cristo, attraverso il mistero della Croce e della Risurrezione, è diventata il luogo in cui l’uomo, vinto ma non annichilito dal peccato, ha ritrovato la propria umanità.

Forte di questa esperienza, unica ed irrepetibile, del suo fondatore, la Chiesa ha potuto definirsi per bocca di Paolo VI «esperta in umanità». È a questo titolo, fondato sull’autorità del Maestro e consolidato da duemila anni di vita, che la Chiesa si presenta oggi sulla scena della storia, desiderosa di riproporre all’uomo il nucleo centrale del proprio messaggio: Cristo primizia e radice dell’uomo nuovo.

Del resto, proprio qui a Rimini, avete avuto la testimonianza viva di persone che si sono date pienamente a Cristo, nell’esercizio della loro professione, e il cui esempio continua a irradiarsi sempre più: l’ingegner Alberto Marvelli, del quale è avviata la Causa di beatificazione, e il dottor Igino Righetti, collaboratore del futuro Paolo VI di venerata memoria, e con lui fondatore e primo presidente dei laureati cattolici. Due laici, due apostoli, due uomini che sapevano come si attinge dalla «risorsa Cristo». Essi hanno attinto per se stessi – nel lavorio interiore, nella preghiera, nella vita sacramentale – e hanno lasciato per gli altri un modello e una chiamata.

7. Parlare di Cristo come risorsa dell’uomo è testimoniare che ancora oggi i termini essenziali della civiltà sono di fatto, in modo consapevole e inconsapevole, riferiti all’evento di Cristo, divenuto annuncio quotidiano, confessato dalla Chiesa.

L’uomo di oggi è fortemente impegnato a riformulare il rapporto con il mondo che lo circonda; con la scienza e con la tecnica. Vuole scoprire risorse sempre nuove per la sua vita per la convivenza tra i popoli; tende a realizzare un processo che tutti vorrebbero pacifico e ad esaltare l’arte come espressione della propria libera creatività. Nonostante questo, la pace oggi è gravemente minacciata, la scienza e la tecnica rischiano di generare uno squilibrio carico di conseguenze negative nel rapporto tra uomo e uomo, tra l’uomo e la natura, tra nazioni e nazioni. Da questa contraddizione, che sembra inarrestabile perché strutturalmente connessa al mistero del male, è necessario che lo sguardo si volga «all’artefice della nostra salvezza» per generare una civiltà che nasca dalla verità e dall’amore. La civiltà dell’amore! Per non agonizzare, per non spegnersi nell’egoismo sfrenato, nell’insensibilità cieca al dolore degli altri. Fratelli e sorelle, costruite senza stancarvi mai questa civiltà!

È la consegna che oggi vi lascio. Lavorate per questo, pregate per questo, soffrite per questo!

E con tale auspicio, tutti vi benedico, nel nome del Signore.

(© Copyright - Libreria Editrice Vaticana)

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Il Santo Padre si è poi intrattenuto con i giovani rispondendo ad alcune domande rivoltegli.

«Fin dall’inizio del pontificato lei ha definito i giovani speranza della Chiesa. Cosa vuol dire questo per la nostra vita?»

La vita dei giovani vuol dire scoprire le risorse dell’uomo: questo è proprio della giovinezza e si fa specialmente negli anni giovanili della vita. La speranza del futuro è legata a questa scoperta. Se i giovani della nostra epoca hanno scoperto bene le risorse dell’uomo – perché le si può scoprire anche nel male –, se le hanno scoperte nella verità, se le hanno scoperte nell’amore, allora possiamo essere pieni di fiducia, pieni di speranza nell’avvenire.

«Vivendo quotidianamente i nostri problemi, nella famiglia, nel lavoro, nella scuola, constatiamo dei problemi drammatici. Ma anche i problemi economici, sociali degli uomini del nostro tempo implicano una profonda insicurezza esistenziale. Che cosa significa questo per i cristiani?»

È una constatazione certamente profonda e giustissima: la constatazione della drammaticità della esistenza umana.
E noi dobbiamo e possiamo riflettere su questo fenomeno, un fenomeno multilaterale. Sono diverse le ragioni, potrei dire che è diversa l’essenza stessa del dramma umano.
Ma riflettendo sui diversi modi di questa drammaticità della umana esistenza si arriva a una constatazione centrale: il dramma fondamentale dell’uomo è di non sentire il senso della sua esistenza, di non avere il senso della sua esistenza, di vivere senza senso. Qui tocchiamo di nuovo la tematica delle risorse. Non scoprire il senso della vita umana vuol dire non sapere quali sono le risorse dell’uomo.
Tutte le risorse, le risorse aperte all’uomo dalla natura esterna, offerte all’uomo dalla natura umana, la sua personalità, e finalmente le risorse soprannaturali aperte all’uomo in Cristo. Ecco come possiamo aiutare gli altri.
Noi molte volte ci troviamo senza possibilità, non troviamo il modo di come aiutare gli altri nei diversi drammi della vita umana. Ma penso che in questo dramma che mi sembra centrale, fondamentale, noi forse possiamo fare di più, possiamo cercare di dare agli altri il senso della vita, possiamo cercare di far scoprire agli altri le risorse dell’uomo, e così dare il senso della vita. Penso che questo costituisca anche il vostro apostolato: aiutare gli altri nella scoperta del senso dell’esistenza umana.

«Santità, fin dagli inizi del suo pontificato ha instancabilmente spronato popoli e nazioni alla pace.
Quali sono oggi gli elementi fondamentali per questa costruzione?»


Devo fare prima una osservazione metodologica.
Mi hanno detto: «Tu devi venire a Rimini e noi ti ascolteremo. Invece la realtà è un po’ diversa: tu devi venire a Rimini e noi ti ascolteremo, ma ti faremo anche un esame».
Della pace io ho parlato molte volte.
Naturalmente le parole non sono le cose più importanti, ma sono importanti anche le parole. Ripeterei quello che forse era essenziale del mio discorso alla Organizzazione delle Nazioni Unite dove, seguendo la tradizione dell’insegnamento della Chiesa, specialmente degli ultimi Papi, di Papa Giovanni, di Papa Paolo, ho cercato di convincere la grande Assemblea: se noi vogliamo vincere la pace dobbiamo rispettare pienamente i diversi diritti dell’uomo. Essi presentano molti aspetti: sono nel senso stretto della parola i diritti della persona, ma poi questi diritti si ampliano e diventano i diritti della famiglia, diventano i diritti dei popoli. Secondo una giusta teoria, osservando tutti questi diritti si esclude la guerra, si crea la pace. Allora un programma c’è. Dall’altra parte sappiamo che, nonostante il programma esistente, ci sono ancora le guerre e ci sono le minacce.

«Santo Padre, la preoccupazione nostra fondamentale è stata ed è quella di dare testimonianza del fatto cristiano. Una iniziativa come questa del Meeting perché e in che modo contribuisce a questa testimonianza?»

Sono convinto che contribuisce a dare una testimonianza cristiana. Anzi, direi, contribuisce a mostrare una dimensione della Chiesa, appunto quella dimensione che noi abbiamo così meditato e lasciato per il futuro nell’insegnamento del Concilio Vaticano II. Si pensava alla Chiesa, prima, in un modo piuttosto statico, come qualcosa di definitivamente costituito: questo era e rimane vero. La Chiesa è un’istituzione divina. Il Vaticano II però ci ha mostrato la Chiesa come un popolo che cammina, il popolo di Dio.
Ci ha mostrato la Chiesa soprattutto come una missione che viene dalla Santissima Trinità e entra a far parte di ogni battezzato, di ogni cristiano, anzi, in un certo senso, di ogni uomo di buona volontà. Questa grande missione del vero, del bene, della verità e della carità, è diventata il costitutivo della nostra visione della Chiesa. Io penso che voi, voi che siete un movimento, e che con questo Meeting date espressione al vostro movimento, alle finalità di questo movimento, cercate di esprimere con questo Meeting il carattere proprio, la missione propria della Chiesa.
La missione propria della Chiesa è sempre una missione storica, benché trascendente, benché divina. È storica, storica del nostro tempo. Voi con il vostro Meeting cercate di mostrare il cammino della Chiesa, dei giovani nella Chiesa del nostro tempo. Voi cercate di esprimere che cosa vuol dire il mistero della salvezza, l’opera della salvezza. Voi intendete, con diversi metodi e specialmente con questo Meeting, incarnare quest’opera della salvezza, farla presente tra gli uomini. Ecco, brevemente, così, per non moltiplicare le parole.