«Davanti ai suoi tre anni, non c'è discorso che tenga»

Lunedì mattina. Marcella deve andare al lavoro. Sulla porta dell'asilo la figlia più piccola non vuole staccarsi da lei. Ma dietro a quei lamenti Marcella scopre qualcosa di più grande

Lunedì mattina. L’inizio della settimana è il momento peggiore per lasciare i figli a scuola: reduci da due giorni di completa casalinghità, la separazione del lunedì è sempre uno strappo. Accompagnati di corsa i due fratelli più grandicelli alle elementari, non mi resta che portare Maddalena fin dentro la sua classe alla scuola materna. Lei ha ancora sonno, e non le basta sapere che a pranzo c’è il gelato al posto della pera per convincerla ad iniziare la giornata con entusiasmo. Le tolgo la giacca a fatica perché lei blocca il corpo come una statuina e oppone resistenza: il fatto che abbiamo addosso due strati diversi di vestiti è per lei un segno incombente che ci stiamo per separare fino al pomeriggio. E lei non lo vuole proprio. «Mamma, voglio te!» Mi si aggrappa alla gamba e in un attimo il mio pantalone gessato scuro è intrappolato dal suo grembiulino rosa. Penso di potercela fare comunque. Tiro fuori il mio approccio scientifico alla vita e le spiego con grande raziocinio: «Lo so, amore bello. Ma ora non devi pensarci. Sì, perché ora la mamma non può tenerti con sé». E vado giù con la lista delle incombenze più noiose e snervanti del pianeta: «Devo andare in banca, in ufficio, a fare la spesa, e poi a casa lavo-stiro-spazzo-cucino…». Quando credo di averle dipinto uno scenario abbastanza raccapricciante di ciò che mi aspetta, mi fermo. Ma lei non si scoraggia. «Voglio te!!!» urla questa volta molto più forte di prima. Come se la mia lunga sfilza di incombenze non potesse avere un qualche significato per lei… Io, che non ho carte migliori da giocare, tengo duro su questa linea. Le ripeto il discorsetto in forma più concisa e la affido a quella santa donna che è la maestra, prima di sgattaiolarmene via. Per farla breve, la mollo lì. Passa una settimana. Ad aspettarci sulla porta dell’asilo c’è ancora il lunedì mattina. Provo ad entrare con fare più pimpante del solito, mentre canticchio una filastrocca e sfodero sorrisi a trentadue denti ad ogni genitore che incrocio… Forse è la volta buona che riesco ad accomiatarmi senza troppe storie. Ma appena mi aggiusto la borsa sulla spalla per indirizzarmi verso l’uscita, Maddalena in un balzo felino si aggroviglia al mio femore, con morsa da tiro alla fune. «Mamma, voglio teeeee!!». Questa volta sento tremare le scenografie di tutte e tre le classi. Mi rendo conto solo ora che per far fronte a tale e tanta disperazione occorre una risposta ad un livello diverso. «Ascoltami bene. Lo so che vuoi me. Ed è giusto così. Fai bene a volermi, tesoro. Io sono la tua mamma, ed è giustissimo che tu desideri stare con me». I suoi occhi lucidi affondano nei miei con aria incuriosita, ma non più atterrita. Questa non se l’aspettava. «Ti dirò di più. Anche io voglio te, figlia mia. Allora, sai cosa facciamo?». Le premo la mia mano sul suo piccolo petto e aspetto un attimo in silenzio. «Ci teniamo questo desiderio stretto stretto nel cuore, fino alle tre di oggi». Qualcosa ha fatto centro. Ora che il suo desiderio non è più censurato, mia figlia sembra si stia tranquillizzando. Il singhiozzo si attenua, la presa si allarga e il battito rallenta. È il fremito dello stesso cuore che fino a poco fa domandava una sola cosa: non chiedeva di essere domato, ma di essere ascoltato. Sì, perché non potrebbe essere altrimenti: davanti ad un urlo di assoluto che viene dal cuore non c’è ragionamento che tenga. Poco lontano, una piccola bagarre tra “pulcini” per un paio di cavallucci in cartapesta distrae entrambe. «Ciao mamma…», borbotta lei, mettendo assieme tutta la sua forza di volontà e un mezzo sorriso. «Mi saluti dalla finestra quando esci?».
Marcella