«Abbiamo tutti bisogno di qualcuno che osi»

Da una parte e dall'altra della cattedra si può riscoprire il valore del proprio lavoro. Ricominciando sempre, «un centimetro alla volta». Un professore milanese racconta il ritorno davanti ai suoi alunni

Che cosa mi sono sentito dire il primo giorno di scuola dai miei colleghi e dai miei studenti? Molto di più di quello che mi sia mai aspettato da studente, e soprattutto molto di più di quello che mi sarei aspettato dai miei studenti.

Nei giorni precedenti l’inizio della scuola, pensavo alle classi che avrei rivisto, ai nuovi arrivati che avrei conosciuto, a ciò che avrei potuto fare, dire e sperimentare per farli appassionare al mistero dell’uomo, così come alla Commedia o all’Orlando Furioso. E, pensando a loro, il mio entusiasmo cresceva, e anche la mia voglia di ricominciare. Ma quando li ho visti entrare in teatro per il saluto iniziale della preside il primo giorno di scuola, ho visto delle facce diverse da quelle che ricordavo, o comunque da quelle che la mia immaginazione aveva sublimato. Erano le loro facce; erano facce vere e reali. Alcune già distratte, altre tutte tese, alcune belle, altre brutte. Alcune che mi rendevo conto solo ora di non volerle rivedere. Altre che, inaspettatamente, mi hanno fatto sobbalzare. E mi sono sentito mancare la terra sotto i piedi. In un attimo mi è sembrato di non sapere più chi fossero quei ragazzi e di non essere più così sicuro di sapere cosa volessero. E ho pensato che forse non sono io che darò loro ciò di cui hanno bisogno.

Così, dopo questo shock, ho ricominciato a guardarmi intorno e ad ascoltare. Mi sono accorto che la mia preside, introducendo l’anno, stava ricordando ai ragazzi che imparare i linguaggi dell’arte, la storia, la matematica serve a scoprire un po’ di più chi sono io. Poi ha proiettato il video che ci hanno regalato i maturati, un video in cui ciascuno pronunciava a suo modo un pezzetto di quel memorabile discorso di Al Pacino in Ogni maledetta domenica, alternando le loro voci di studenti che si dovevano preparare all’esame a quelle di tutto il consiglio di classe. Uno stralcio di frase a testa. Per ricordarci che davanti ai centimetri della vita siamo soli, e che dobbiamo dare tutto noi stessi per “risorgere” ogni giorno. Ma anche che la scuola è un’avventura in cui ci si sostiene a vicenda, e i docenti imparano ogni giorno dai loro studenti.

E così, entrato in classe, ho letto loro le stupende pagine iniziali del romanzo di Colum McCann, Questo bacio vada al mondo intero, in cui si racconta del giorno in cui un uomo decise di camminare su una fune tesa tra le torri del World Trade Center, a centodieci piani di altezza, senza alcuna imbragatura e sospeso nel vuoto, ma pieno di desiderio di cose grandi. E tutti coloro che lo videro sul bordo della torre sud, prima che iniziasse la sua passeggiata nel vuoto, pensavano fosse un matto o un suicida. Ma quando lui iniziò a danzare sulla fune, fu «come una parola a tutti nota, sebbene nessuno l’avesse mai udita».

E così alcuni studenti mi hanno insegnato che nella vita la realtà è ben più stupefacente delle proprie immaginazioni, che siamo fatti per camminare a quattrocento metri di altezza, che c’è bisogno di qualcuno che osi per far comprendere a tutti la misura e la profondità dell’essere, che ciò che ci mette insieme è l’accadere di qualcosa di “magnifico e misterioso”. E che questo non è che l’inizio.
Daniele, Milano