"Crocefisso", W. Congdon.

«Ma il mio dolore è fecondo»

Va alla sua prima Scuola di comunità dopo un anno difficile. «C'ero solo io e il mio vuoto». La morte improvvisa della madre. Poi quel «lasciamoci fare da Dio». E l'accorgersi che «era sempre esistito un lato buono della vita, anche se non lo vedevo»

Faccio parte del movimento da un paio di anni ormai eppure in tutto questo tempo, per un motivo o per l’altro, non avevo mai partecipato a una sola Scuola di comunità. Ma la prima volta è arrivata anche per me. La domanda di quella Scuola era se ciascuno, con l’inizio della scuola, fosse riuscito a ritrovare nella vita di tutti i giorni la gioia e l’entusiasmo sperimentati durante la vacanza di Gs.

Per me l’anno passato è stato molto difficile. Prima del Triduo ero insoddisfatta, arrabbiata per la sensazione di vuoto che sentivo nel mio cuore. Ho smesso di seguire il mio talento, cioè scrivere, ho perso la voglia di fare qualsiasi cosa, mi dimenavo per cercare una soluzione.

Avevo una sola speranza: la tre giorni di Pasqua a Rimini. E lì, la prima sera, si è parlato dell’insoddisfazione come punto di partenza considerando quanto l’uomo sia, per natura, desiderio. Così ho smesso di concentrarmi sui miei progetti, lasciando che fosse Lui a crearmi. Mi sentivo più felice, sollevata. Poi, non so perché, il vuoto ha cominciato di nuovo a insinuarsi dentro di me. L’insoddisfazione scavava dentro, e io mi arrabbiavo, diventavo intrattabile, c’ero solo io e il mio vuoto.

Sono andata alla vacanza di Gs, e lì ho riassaporato l’entusiasmo del vivere, di fare le cose. Ho sentito di nuovo quella felicità smisurata che si ha quando si ringrazia Qualcuno di essere al mondo. Ma avevo paura del ritorno a casa, di non poter portare via con me tutta quella meraviglia. Perché, se una cosa mi fa stare così bene, permetto che scivoli via come sabbia fra le dita? Il tentativo disperato di trattenere ogni sorriso, ogni gesto, ogni parola, sfumava in una rassegnazione disarmante e così è accaduto di nuovo: ho passato tutta la settimana arrabbiata, stanca, insoddisfatta, era insostenibile.

Poi, il 29 luglio, il mondo mi è crollato addosso. Un infarto mi ha portato via la mia mamma, durante la notte. Ricordo che la sera prima io e lei avevamo litigato per le solite cose, diceva di non riconoscermi più e io, per tutta risposta, non ho fatto altro che prendere la mia roba ed uscire. Mi sentivo distrutta, ma al contempo ero quasi fiera di quello che avevo appena fatto, sono tornata a casa tardissimo. Il mattino dopo le urla di mio padre che cercava di svegliarla. Aveva gli occhi chiusi, come se stesse dormendo. Da quel sonno, però, non si è più svegliata.

Credevo di non avere più uno scopo nella vita, mi sentivo finita, non sapevo cosa fare. Ho ripensato a tutto quello che si era detto alla vacanza, ho ricercato quello per cui ero stata felice, ho considerato la frase «lasciamoci fare da Dio». C’era, esisteva un lato buono della vita. C’è sempre stato anche se io non lo vedevo mai. La vita poteva davvero essere l’occasione di assaporare a pieno quello che Lui ci ha dato. Rimane, anche ora, un grande dolore. Ma è un dolore fecondo. È come se, con le mie lacrime, avessi annaffiato il mio cuore per farlo diventare rigoglioso e bello, e per poter riscoprire e dare agli altri qualcosa di grande.
Maria Pia, Genova