La scritta sul muro di Pozzuolo Martesana.

Quando un graffito aiuta a guardare

L'esposizione sugli apostoli portata a Pozzuolo Martesana. Una canzone di Jannacci e la scritta sul muro di un ignoto innamorato. Ecco come spiegare il metodo di Gesù ai ragazzini delle medie. Semplici sì, ma con gli occhi bene aperti

Ai tempi del liceo volevo sapere se Dio esiste e come si fa ad esserne certi. Dai miei insegnanti preti mi attendevo, anzi pretendevo, un percorso logico-razionale che mi persuadesse; aborrivo l’esortazione a conformarmi a una credenza. I preti insegnanti mi espulsero, appresi dunque che è più facile eliminare la domanda che rischiare una risposta. In compenso mi si aprì una nuova imprevista via alla conoscenza grazie all’insistente invito di certi seguaci di don Giussani - «Vieni e vedi» - che dai e dai vinse le mie resistenze in virtù della sua inoppugnabile ragionevolezza.

Mi aiutò molto in questo percorso, ovviamente a sua insaputa, il grande Jannacci, con la sua canzone Prete Liprando e il giudizio di Dio (1965) in cui si narra del popolo milanese medievale che a tutti i costi vuol vedere, e vede, il prodigio accader; e di un "ciolla" venuto da Como per niente perché era lì come tutti ma non aveva visto niente. Il ciolla non s’era applicato a vedere, così che non aveva potuto credere alcunché. Ora io, all’epoca ma devo dire anche attualmente, non intendevo essere un "ciolla".

Quasi 50 anni dopo, si dà il caso, ma non è un caso, che “Videro e credettero” sia il titolo della coraggiosa mostra che ha tanto girato l’Italia per l’anno della fede, e che abbiamo allestita anche a Pozzuolo Martesana (Milano). La scritta rossa “Videro e credettero” campeggiava sul manifesto appena affisso nella piazzetta della bella chiesa gotica di San Francesco, e proprio lì di fronte, a una decina di passi, sul vecchio sbrecciato muro lungo la via, ecco scritto in spray nero, chissà quando e da chissà chi, un cubitale supplicante “Credimi e vedrai”.

Andiamo per ordine. «Videro e credettero» è quanto riferisce il Vangelo riguardo a Pietro e Giovanni, accorsi col cuore in gola al sepolcro di Gesù dato per vuoto dal notiziario mattutino delle pie donne. «Credimi e vedrai» è la supplica di un ignoto amante, anonimo cuore infranto, sedotto e abbandonato, come si evince dai successivi: «Amore non te ne andare» e «Ti amo, Cucciola», sempre in spray nero.

Un chiasmo: vedere e credere in sequenza rovesciata. Ed è assai curioso che sul muro di Pozzuolo vedere e credere vadano a posizionarsi nel punto opposto a dove la mentalità corrente li colloca. Secondo questa mentalità il credere (senza l’esperienza del vedere) appartiene al campo della fede religiosa, mentre il vedere (senza credere ad altro che non sia visto) sta nel campo della vita concreta, insomma delle cose che contano. Sul muro sbrecciato di Pozzuolo invece succede che un’esigenza della vita concreta, l’amore, invochi un atto di fede previo e, per così dire, al buio, quindi senza ragioni plausibili («Credimi e vedrai»); e sempre lì succede che il manifesto della mostra sul cristianesimo proponga il vedere, cioè l’esperienza, come condizione necessaria della fede cristiana.

Da Pozzuolo (che è fin più piccola di Nazaret) può mai venire qualcosa di buono? Beh, intanto con un manifesto e uno spray nero abbiamo messo in crisi l’illuminismo utilitaristico per cui la religione si sposerebbe con il fideismo e la vita seria con il razionalismo.
Sono venute in visita alla mostra tutte le classi della scuola media, una decina. E così la scritta in spray nero sul muro sbrecciato - ovviamente stuzzicante per degli adolescenti per via del «Cucciola ti amo» - è stato un ottimo termine dialettico per spiegare la mostra e il metodo di Gesù.

Nessuno di quei ragazzi però aveva notato per conto suo quella scritta: non uno su duecento e passa. Gli ho spiegato allora che i due discepoli che andarono al sepolcro non erano due bighelloni a zonzo, ma erano tutti tesi, con il cuore palpitante, correvano con il vento nei capelli e perciò quando giunsero «videro» («e credettero»). Ma mettiamo anche Zaccheo: era piccinino, e così si arrampicò su un albero perché era davvero deciso a vedere Gesù. Il "ciolla" di Como della canzone di Jannacci invece… non ha mosso un dito. Sono venuto per niente… Vedere non è operazione che avvenga senza il bruciore della ferita e senza l’impegno della libertà. L'ho detto in parole povere ai ragazzini, ma il concetto era questo.

Ma non ho potuto finirla lì. Ho dovuto riferire quello che aveva detto Julián Carrón predicando gli Esercizi della Fraternità di Cl, e cioè che Gesù stesso (si badi: Gesù Risorto!, cioè un Gesù clamoroso, prodigioso, impossibile non accorgersene…) ha dovuto lottare con l’incapacità dei discepoli di vedere: «I discepoli non si erano accorti che era Gesù». Deludente? Lo sarebbe sì, se non fosse che… «provando una volta dopo l’altra a farli uscire dalla propria misura, attraverso un certo modo di dire: "Maria", oppure attraverso un miracolo: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete", Gesù vuole far venire fuori la fede, la certezza dei suoi discepoli: "È il Signore". Si può ripartire sempre perché Lui è vivo. Il Vivente. Per far loro riprendere vita non si accontenta di restare una presenza inattiva. È una presenza che prende iniziativa per rispondere al loro bisogno».

Queste cose i ragazzini di Pozzuolo le hanno capite: non saprei dire quanto, ma certo molto più del “ciolla“ di Como. Quelli di Pozzuolo sono tradizionalmente detti “martol”, cioè un po’ sempliciotti. Martol ma non ciolla.

Maurizio Vitali
, Milano