L'istituto Nautico di Genova sulla sinistra.

La maturità che mi mancherà

Per la prima volta presidente di una commissione al Nautico. L'ultimo candidato racconta la storia del porto dal Medioevo a oggi. Partono gli applausi. E tra i colleghi c'è chi dice: «Non mi è mai successo, finisco con dentro una grande nostalgia»

Anche agli esami di maturità possono accadere fatti sorprendenti… E quest’anno proprio non l’avrei detto, perché ho finito la scuola particolarmente stanca, quasi non volevo accettare la nomina a presidente in una commissione del Nautico, istituto tecnico apparentemente "lontano" per me, docente del classico. Poi sono andata e le sorprese sono state continue.

Il Nautico di Genova si è rivelato subito una scuola unica, collocata in un silos del porto ristrutturato, affacciata sul mare, traboccante di passione per la navigazione. Mi sono affidate le ultime due classi dei costruttori navali, ultime perché la riforma ha azzerato questo indirizzo, un fiore all’occhiello di Genova non ci sarà più, trasformato dal prossimo anno in Istituto della logistica e dei trasporti. Pensavo di trovare lamenti e disillusione invece ho incontrato docenti appassionati e ragazzi soddisfatti della scuola, la amano. Subito mi sono trovata a casa. Iniziano gli scritti, una commissaria esterna, mai vista prima, non so come decide di raccontarmi la sua vita, dice che sente di potermi parlare, mi dice delle sue certezze frantumate da un fatto improvviso che l’ha destabilizzata, non si sente degna della fede che aveva…

Era giovedì, avevo appena sentito la Scuola di comunità di Carrón, glielo dico, le porto gli appunti e il giorno dopo arriva commossa e me li ripete a memoria, non solo, mi dice di averli “passati” a un’amica in difficoltà, insomma il tema diventa l’esigenza di felicità, insaziabile, che cerca una risposta all’altezza, torna a messa e mi racconta la pace nel rifare la Comunione. Ripresa da Carrón senza conoscerlo né averlo mai visto. Poi gli esami vanno avanti, correzioni e colloqui, in quella convivenza stretta che il calendario serrato infligge.

E sfilano i ragazzi, ognuno diverso, tutti pieni di desiderio, tutti a giocarsi davanti a noi. Chiedo solo di essere all’altezza della loro serietà e lo chiedo alla commissione. Quindi l’epilogo: l’ultimo candidato (anche l’ultimo di una sezione “morente”, per cui al suo esame seguono foto di rito) fa un colloquio splendido, racconta la storia del porto dal Medioevo a oggi, si merita gli applausi dei presenti. Conclude e gli chiedo cosa si porta a casa di questi anni di studio e lui, come di fronte a una domanda attesa, risponde di getto: «Sono soddisfatto perché in questi anni ho imparato tanto, ma soprattutto ho imparato chi sono, attraverso successi e difficoltà mi sono conosciuto e così posso guardare avanti». Mi torna in mente il Papa, amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà e noi non abbiamo il diritto di aver paura delle realtà. Scrutini e si va via, ma sembra di non riuscirci (quando normalmente si scappa finalmente a godersi la vita…) ci attardiamo con la commissione e poi uno dice: «Non mi è mai successo, finisco con dentro una grande nostalgia, e domani mi sentirò un po’ sperso. Amo la scuola perché è un luogo di incontro nel cammino».

Una conclusione incredibile per me, la nostalgia è anche mia, persone sconosciute mi hanno resa più certa per quello che mi hanno aiutato a vedere. Non volevo andare, non ero particolarmente in forma, ma quello che fonda me si vede, non so come. E l’umanità intorno a me, se solo ci sto, rifiorisce, trova compagni di avventura e mi fa riconoscere Chi solo desidero sempre rincontrare. Anche alla maturità.

Marina, Genova