Caterina (felpa rossa) con un gruppo di amici (foto da "Il Mattino di Padova").

L'esame? Non è una questione di voti

Caterina, cento e lode alla maturità. Intervistata da un quotidiano locale, scrive una lettera ai suoi insegnanti per spiegare meglio i suoi cinque anni di liceo. E la sua «gratitudine immensa da portare nel mondo come tesoro»

Carissimi insegnanti,
quando una giornalista mi ha intervistato per il mio 100 e lode iniziando il dialogo con un «e così tu sei la migliore», io le ho detto molto chiaramente che no, non mi sento in alcun modo migliore degli altri. Sono fermamente convinta che non sia un voto a stabilire il valore di una persona. Indubbiamente un voto dice molte cose, ma ci sono alcuni miei amici usciti con un 77, un 80, un 83… tutti guadagnati e degni di lode tanto quanto me.

Ma che cosa è stata la scuola per me in questi cinque anni e anche nei precedenti otto? Innanzitutto, il confronto personale. Mi è sempre stato chiesto di confrontarmi con quello che ho studiato. Scoprire che cosa quella pagina del libro ha da dirmi. Ho in mente soprattutto dei dialoghi di quest’anno durante le lezioni di italiano in cui il prof faceva leggere a uno di noi la poesia, e poi dialogavamo. Sempre a partire dal testo, ognuno ci metteva del suo. C’era quello che rimaneva colpito dalle rime e dai suoni, quello che notava le analogie con altre poesie e altri autori, quello che andava concretamente a cercare come sono fatti “il mandorlo e il melo” di cui parla Pascoli nell’Assuiolo. E poi c’era quello che, non sapendo che pesci pigliare, si aggrappava a qualcosa detto l’ora prima in un’altra materia e così involontariamente venivano fuori i più incredibili collegamenti.

Una visione a tutto tondo. Sicuramente la grande creatività della mia classe è stata fondamentale in questo, ma anche il modo in cui ci sono sempre state proposte le cose: non ci è mai stato detto «è così, funziona, adeguati e usalo». Ci sono sempre stati dati gli strumenti per poter capire se una cosa è vera o no, se siamo d’accordo o no. Perché se rifaccio io l’esperienza che ha portato quel filosofo o quel fisico ad arrivare a quelle conclusioni, allora quell’esperienza diventa mia. È stato questo che mi ha permesso di appassionarmi allo studio e capire quale sarà la mia strada l’anno prossimo. La conoscenza di un metodo critico.

Quindi, fondamentale è stata l’esperienza. E in questo il top sono state le gite di istruzione. In tutti e cinque gli anni, abbiamo visitato posti spettacolari e le cose che ho visto sono diventate mie per sempre. L’esempio forse più clamoroso è come dalla gita in trincea: tutta la classe è rimasta talmente entusiasmata che abbiamo voluto andare ancora più a fondo, con la mostra per l’open-day. È stata una delle poche volte in cui ci siamo trovati tutti d’accordo. Perché come dice la professoressa di Storia dell’arte la nostra è una classe di menti estremamente creative ma potenzialmente distruttive, nel senso che nel giro di poche ore riuscivamo a far fuori tutte le idee appena pensate. Ma io credo che la mostra di quest’anno sia stata la conquista del metodo e dell’esperienza.

Soprattutto, tanta creatività non avrebbe portato a molto se non fosse stata guidata. Dei professori che si fermino ad ascoltare le nostre proposte, con sincero interesse, e poi si fermino a lavorare con noi il pomeriggio a montare assi di legno per costruire piani inclinati, imbiancare le aule della nuova bellissima biblioteca, progettare l’allestimento della classe, impaginare pannelli, cronometrare paracaduti di nylon, insegnarci a recitare, ascoltare le prove di esposizione, correggere le tesine, sono stati la cosa più bella. Il personale rapporto di reciproca stima e fiducia, non ha prezzo. Ho in mente un dialogo, la sera alla fine dell’open day, con una ragazza di quarta, in cui ci siamo proprio dette: «Che splendidi lavori. Che splendidi professori. Che splendida scuola».

Per me, personalmente, i rapporti personali sono stati l’esperienza più bella di questi anni e la cosa che mi porto più cara nel cuore. Tanto con i prof che con i compagni, anche delle altre classi. Il rapporto con i compagni è diventato fondamentale per lo studio soprattutto quest’anno. Trovarsi a studiare, a fare matematica, a ripetere prima della simulazione di terza prova. Spesso mi chiedevano un aiuto a fare sintesi, o diversi pomeriggi mi trovavo ad aiutare le mie amiche con fisica, e la volta dopo una di loro ci aiutava a ripetere storia, perché poi ognuno mette in campo le proprie doti.

Per me questi anni sono stati questo continuo rapporto stimolante ad andare a fondo in quello che facevo, cosa che non ha eliminato la fatica dello studio, ma ci ha dato un senso. Per questo, quello che mi resta dopo questo esame è una profonda gratitudine. Verso questa storia e queste persone.

Giovedì dopo l’aperitivo, mentre eravamo in macchina io e le mie amiche ripercorrevamo un po’ gli ultimi episodi, ognuna dal suo punto di vista, ognuna con la sua storia personale, le sue difficoltà, e la conclusione unanime è stata: «Caspita, ci vogliono veramente bene».

Credo che il modo più bello per esprimere questa gratitudine sia andare nel mondo facendo tesoro di tutto quello che ho visto e quello che ho imparato. Ed è quello che intendo fare.

Caterina, Padova