Rinascere è possibile
I giessini di Piemonte, Valle d'Aosta e Francia. "L'annuncio a Maria", l'incontro con Domenico Quirico, lo stupore di fronte alle montagne. E alla domanda "Che cosa cercate?", si risponde senza reticenze. Affrontando tutto il dramma umanoUna vacanza di GS all’insegna del sovvertimento. A metà luglio ci si aspetta bel tempo e invece fa freddo e il Cervino coperto non annuncia niente di buono. Invece che con una lezione introduttiva, si incomincia con un’assemblea. “Che cosa cercate?”. Gli interventi si accavallano: non una serie di aspettative, ma tanto dolore. Senza reticenze e con una libertà che ci ha spiazzati, molti hanno consegnato il proprio dramma personale o familiare le loro fatiche e la loro attesa. Impressionante l’intervento di Ludovica: «Io cerco la serenità, la cerco disperatamente da tre anni. Tre anni fa ho preso coscienza del dolore che provavo in seguito alla morte della mia gemella, Vittoria; un dolore che senza saperlo avevo covato da anni e che, diventando io più grande, è scoppiato, ed è uscito prepotentemente senza che ci potessi fare nulla. Perché lei e non io? È umiliante sentire un mostro che mi strizza la gola mentre rido, perché dice che non ho il diritto di essere felice visto che sono maledettamente incompleta».
Prima sera: lettura recitata dei dialoghi più significativi de L’annuncio a Maria di Paul Claudel. Un testo apparentemente lontano nel tempo, che in realtà pone questioni decisive: l’esigenza di essere amati e di amare, l’urgenza di costruire, di lasciare un segno nel tempo, il desiderio di abbracciare il mondo, il bisogno che il proprio male sia perdonato.
I 250 ragazzi del Piemonte e della Valle d’Aosta e il piccolo gruppo di francesi poco per volta realizzano che il problema è l’io, non la circostanza, il gruppo di amici o la morosa, ma la persona col suo bisogno di mettersi in gioco.
E le gite, bellissime, non solo perché il tempo finalmente si riprende e il Cervino incombe con la sua maestosità proprio davanti a noi, ma perché anche la natura, osservata attraverso questa nostalgia, rivela qualcosa di essenziale e profondo: «Ho visto un ruscello ed ho creduto di individuarne la sorgente. Poi ho continuato la salita e ho notato che la sorgente era più su. Così è la felicità: non è generata da qualcosa che puoi vedere o che pensi di poter controllare, viene sempre dall’alto». E il testo de L’annuncio a Maria diventa carne. È sempre più evidente che si sta parlando di noi, del nostro cuore.
Poi l’incontro con due genitori di Cuneo, il cui unico figlio a 16 anni si è ammalato di tumore. Enrico ha testimoniato che si può vivere la malattia con serenità, accettando la circostanza più terribile come il compimento del proprio destino. Un segno potente e generativo non solo per i suoi genitori, ma per tutti coloro che lo hanno conosciuto. «Enrico non si è rassegnato, si è consegnato», sono le parole disarmate dello psicologo che dovrebbe sostenerlo nel suo inesorabile declino.
A questa posizione umana richiama Alberto Bonfanti nell’incontro di presentazione del libro sulla Vita di don Giussani, che vede riunite le comunità di Liguria e Piemonte.
Nell’obbedienza tutto, anche il gioco, il cantare o il mangiare insieme, assume uno spessore diverso. Ma niente può sottrarsi al confronto. Lo ribadisce don Andrea Marinzi, missionario della Fraternità di San Carlo, sfidandoci a prendere sul serio la nostra umanità e a consegnarla, tutta intera, ad un rapporto autorevole: solo così è possibile un cammino che chiarisca nel tempo la vocazione di ciascuno.
La sera l’incontro con l’inviato de La Stampa Domenico Quirico, che ci ha fatto notare come due terzi del mondo non conosce due gesti banali: aprire un rubinetto e accendere un interruttore. Un mondo in cui il genocidio ha fatto un salto di qualità, da meccanico a personale: non era mai successo nella storia recente che interi popoli si sterminassero guardandosi negli occhi. Non ha parlato di sé, dei 152 giorni che ha trascorso come ostaggio in Siria. Con la sua conoscenza della situazione internazionale ci ha testimoniato che non possiamo volgere lo sguardo altrove se, non lontano da noi, l’orrore della guerra è penetrato a tal punto nell’animo degli uomini da trasformare un Paese intero in una terra desolata.
Partendo dal massacro consumatosi in Ruanda durante la guerra civile fra hutu e tutsi, Quirico ha spiegato che il giornalista ha il dovere assoluto e impegnativo di raccontare la verità prima che sia troppo tardi: «Il giornalismo è un rapporto di responsabilità morale fra me e ciò di cui scrivo. In Ruanda noi giornalisti siamo arrivati quando il massacro era già stato compiuto. E non abbiamo saputo evitarlo».
Ha poi ricordato un episodio risalente alla guerra di Cipro combattuta negli anni Settanta fra greci e turchi quando, incappando nel corpo dilacerato di una ragazza, il fotografo Steve McCurry si era messo a piangere. «È attraverso la commozione che si sviluppa il passaggio fra la conoscenza e l’esperienza. Se non condivido non capisco, e non ho il diritto di raccontare. Noi occidentali ci vergogniamo di commuoverci. Ma io posso raccontare solo ciò che ho attraversato. Io racconto il dolore degli uomini, che è qualcosa di straordinariamente delicato, che posso toccare solo con la punta delle dita… In Siria, Nigeria, Ruanda, Cecenia, Afghanistan, io ero con te, ho condiviso il tuo rischio, le tue speranze. Il giornalista non ha scelta, se no è un approssimativo, un ciarlatano».
Come quando, nel marzo del 2011, si trovava in Tunisia dove i giovani, che avevano appena fatto la rivoluzione, attraversavano il Mediterraneo su barconi fatiscenti per raggiungere «il Paese delle meraviglie», un mondo che li ha ricacciati indietro, «un paradiso avaro che non vuole essere disturbato. Per intervistarli l’unica soluzione eticamente accettabile era imbarcarsi con loro».
Il giornalista - ma potremmo dire ogni uomo vero - ha un compito inderogabile: testimoniare la verità contro la menzogna e l’ipocrisia.
E il cristiano sa che il Male non è l’opzione definitiva: è possibile rinascere, l’abbiamo visto accadere in questi giorni.
«Se sarete ciò che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo» (santa Caterina da Siena), incalza Francesco nell’assemblea che mentre chiude la vacanza apre alla sfida della vita.
Patrizia, Torino