Il faro, la fiaccola e l'occasione da non perdere
Un lettore alle prese con l'editoriale di settembre invia queste domande, che pubblichiamo insieme alla risposta del direttoreCari amici ciellini,
domenica mattina, sollecitato da un amico, ho acquistato l’ultimo numero di Tracce.
Desidero condividere alcune mie considerazioni sull’editoriale in terza pagina.
Punto primo: la Santa Chiesa, nella sua istituzione, è sia faro fisso fondato sulla Roccia, sia, nella testimonianza dei fedeli, fiaccola che cammina insieme all’uomo. Et, et, cari amici ciellini.
Ma a cosa serve una fiaccola? Che senso ha l’affiancamento dei nostri fratelli in difficoltà? Ha senso aspettare di essere sul bordo del baratro per avvertirli all’ultimo istante, con il pesante rischio di precipitare entrambi?
Avere una fiaccola per illuminare il cammino e non indicare la strada è più che inutile, è un’occasione persa.
Cari amici, armati di fiaccola, si deve indicare il faro che guida al porto della salvezza, sempre nel rispetto della libertà e dei tempi altrui: non siamo noi che convertiamo, ma lo Spirito Santo.
Punto secondo: scendendo nel concreto, non conosco il caso della ginecologa che accompagna le coppie che decidono di adire la nefasta via della produzione extra corporea (altro che fecondazione assistita) di esseri umani, ma la domanda sorge spontanea: e se avessero continuato fino in fondo? La dottoressa ha accompagnato mai, fino in fondo al baratro dell’omicidio dei propri figli, coppie venute da lei? Se fosse così, anche lei sarebbe in fondo al baratro…
C’è, forse, bisogno di spiegarlo? Si chiama cooperazione al male…
Con amicizia
Andrea Mondinelli
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Caro Andrea,
grazie di cuore per la sua mail. E per l'attenzione con cui ci segue, oltre che per la sua amicizia.
Capisco le sue preoccupazioni, mi creda. Soprattutto, capisco che nascono da un'affezione grande al Vero e alla Chiesa, e gliene sono grato.
Ma proprio per questo le chiedo di rileggere quell'editoriale per intero e con calma, perché mi pare che contenga già gran parte delle risposte alle domande che lei stesso pone.
"Faro" e "fiaccola" non sono affatto in alternativa, non lo si dice da nessuna parte (anzi, si ribadisce: «È verissimo. È una roccia, la Chiesa. Indefettibile, da sempre»). Ma è un accento diverso quello sottolineato da padre Spadaro e ripreso nell'editoriale. Un accento dettato dai tempi, da questo momento storico.
«Affiancare i fratelli in difficoltà», ovvero accompagnarli - come dice il Papa -, serve proprio a far luce là dove sono. Che di questi tempi coincide sempre più di rado con il «dove vorremmo che fossero» o «dove sarebbe bello e giusto che fossero».
Nessuno parla di «aspettare che siano sull'orlo del baratro», ci mancherebbe. Né tantomeno di finirci dentro (prospettiva che pure, ammetterà, manca un poco di senso della Provvidenza, non trova? Come se la storia non fosse nelle mani di Dio…).
Ma essere lì, dove vivono gli uomini, accompagnarli a fare i conti con la propria esperienza, sfidare «la loro libertà e i loro tempi» (come lei stesso osserva giustamente) con la domanda che Gesù fa di continuo in mille modi nel Vangelo («che cosa cercate davvero? a cosa serve guadagnare tutto se perdi te stesso?») è l'unica possibilità per «strapparli dal baratro, facendoglielo vedere». Lo scriviamo chiaramente. Ma è una frase che lei non ha evidenziato.
L'alternativa è aspettare in porto. Oppure, se preferisce un'altra immagine efficace usata dal Papa e ripresa da Spadaro, restare nell'ovile a prendersi cura dell'unica pecora rimasta, mentre ormai le altre 99 sono in fuga...
Se rilegge in questa prospettiva anche la vicenda della dottoressa, ci trova proprio questo: la compagnia che lei ha fatto a quella coppia (che aveva già scelto la fecondazione assistita, si noti bene), le domande che ha posto loro, la cura con cui ha accolto il disagio che vedeva, hanno aiutato loro ad accorgersi della natura di quel disagio, di che cosa fosse quella stonatura che pure già sentivano. Fino a far venir fuori dalla loro stessa esperienza - e quindi in maniera infinitamente più efficace - il Vero.
È «cooperare al male», questo? Giudichi lei. Veda lei se è più efficace - se cambia di più - accompagnare l'altro a scoprire il Vero nella propria carne - con tutto il travaglio e la fatica che questo comporta anche per quella dottoressa - o limitarsi a ripetere la dottrina giusta.
Ribadisco, per evitare equivoci: «Limitarsi a ripetere la dottrina giusta». Perché anche qui le cose non sono in alternativa: non è che per fare quella strada assieme a quella coppia la dottoressa in questione abbia smarrito la percezione di ciò che è giusto e sbagliato e di ciò che insegna la Chiesa, anzi.
Il fatto, caro Andrea, è che siamo davanti a sfide inedite. Il vero, ciò che vale - l'umano, appunto -, va proprio riconquistato, perché non si può più darlo come un valore acquisito. È una bella provocazione. Ma vale la pena viverla, non pensa?
Grazie di nuovo di tutto. E buon lavoro.
Con altrettanta amicizia
Davide Perillo