Il campo profughi a Nuoro, in Sardegna.

Quei ragazzi arrivati a scomodarci

La chiamata di suor Pierina, la scoperta delle more e la festa di Natale. La nascita di un'amicizia con dei ragazzi nigeriani del campo profughi. Ecco come le periferie esistenziali ci raggiungono in modo inaspettato

Chiamata in arrivo, è suor Pierina: «Ciao, c’è un gruppo di ragazzi nigeriani qui in parrocchia: parlano inglese, mi serve un aiuto. Puoi venire?». Certo non me l’aspettavo, in questo tranquillo pomeriggio di sabato, dopo ferragosto. "Verso le periferie del mondo e dell’esistenza": è l’invito di papa Francesco agli amici del Meeting dell’Amicizia tra i popoli. Ma quel sabato pomeriggio di agosto le “periferie” geografiche ed esistenziali sono giunte direttamente a scomodarmi a casa mia.

Li raggiungo: sono dei ragazzi dai ventiquattro ai trent’anni, sbarcati a Lampedusa, trasportati a Siracusa e poi in Sardegna. «Come siete arrivati qui a Nuoro?». «Noi vogliamo raggiungere Roma, il centro di Roma. Come possiamo prendere un pullman da qua, dalla periferia?». Silenzio. Forse ho capito male. «Ma no, siete in Sardegna, non a Roma... Guardate, vi faccio vedere la cartina». Lo sgomento nei loro occhi quando scoprono che altro mare li separa dal raggiungimento dei loro cari o della meta dei loro sogni, dopo quello che già hanno passato per arrivare a Lampedusa.

Sono arrivati il giorno prima, in un campo di accoglienza al centro della Sardegna, in mezzo alla campagna. Loro sono gli unici che provengono dall’Africa, di preciso dalla Nigeria, e sono cristiani, le altre sessanta persone sono bengalesi, pachistane e del Bangladesh, tutte musulmane. Oggi si sono allontanati per alcune dispute sorte all’interno del campo e non vogliono farvi ritorno. Alla sera li riaccompagniamo. Arriviamo, ma nessuno vuole scendere dal pulmino, ci hanno già ripensato. Si riparte, noi con la nostra preoccupazione di quello che ne sarà e i ragazzi con la loro rabbia. Poco più giù dalla collina faccio fermare il pulmino. «Ma cosa fate? Non capite che se ve ne andate da là dopo tre giorni siete clandestini e vi rimpatriano? Dove andate? Abbiate pazienza per qualche giorno...».

Scendiamo, la campagna è bellissima e ci sono i rovi stracarichi di more. Con le parole non è possibile dire, ci guardiamo negli occhi: «Venite, si mangiano, assaggiate....». E lì, gustando insieme le more, si convincono, o meglio, si fidano e decidono di far rientro al campo risalendo per la collina a piedi.

Due settimane più tardi, io, Anna, e suor Pierina riusciamo a tornare da loro. Corrono subito incontro ad abbracciarci. E noi subito a scusarci: «Scusate, non siamo riuscite a venire prima, eravamo impegnate». Ma subito Anero mi interrompe: «Oh, no no, you are here now. It’s not too late, you are here now». Siete qui. Non è troppo tardi, ciò che importa è che voi siete qui ora.

Che contraccolpo! Loro profughi tra tanti in terra straniera hanno qualcuno da poter abbracciare, un legame, qualcuno a cui appartenere, non più estranei a tutti. E che lezione: quello che conta è "ora", la distanza, il tempo passato nell’attesa di qualcuno è vinto dalla sua presenza ora, dalla Tua Presenza ora.

Da allora, ogni lunedì, il pulmino di suor Pierina parte puntuale con un gruppo molto variegato di persone, insegnanti, infermiere, medici, studenti, cooperanti e qualcuno in attesa di occupazione alla volta del campo per fare lezione d’italiano. In piccoli gruppi ci si conosce, si solidarizza, si inizia ad affezionarsi gli uni agli altri. I cristiani ci chiedono anche di poter venire la domenica a messa con noi in città. Sappiamo che ci aspettano e il responsabile del campo ci fa sapere che dopo la nostra visita il clima nel campo è diverso.

Prima di Natale piccola festa a sorpresa. C’è tutto il campo riunito. Ci mettiamo tutti in cerchio per cantare, salutarci e dar loro i regali. Anero deve dare un annuncio, si mette al centro: «Penso di parlare a nome di tutti quelli del campo. Grazie, perché voi ogni settimana lasciate le vostre case e i vostri impegni per venire qua... Da quando ci siamo incontrati vi prendete cura di noi. Noi abbiamo passato tante difficoltà, ma ora ci fate sentire a casa. Grazie!».

Giovanna, Nuoro