Francesco e il gruppo di Tigullio, in visita a Torino.

Caterina, Sidrit e due disegni che dicono tutto

Cronaca del viaggio di una "combriccola" a Torino, tra le domande dei più piccoli e una strana allegria, nell'attesa di presentarsi davanti al volto di Gesù. La sorpresa? «Uno pensa di venire a guardare, e invece scopre di essere guardato»

Con un gruppetto di amici del Tigullio, abbiamo avuto il desiderio di andare a vedere la Sacra Sindone a Torino. Trovata la data, abbiamo prenotato subito la visita: una strana "combriccola" la nostra, fatta di bambini, ragazzi e adulti.

Ci aspettano tre ore di viaggio in treno. Sull’Intercity la carrozza è vuota, non c’è problema se facciamo confusione. Qualcuno ha preparato quella visita, tenendo conto anche della presenza dei tanti bambini che sono con noi: leggiamo insieme un libretto per i più piccoli sulla Sindone, interessante per tutti. Inoltre c'è chi ha stampato alcuni brevi appunti e immagini, e qualcuno pone delle domande. In quella carrozza a nostra disposizione, invece del solito rumore e delle chiacchiere per riempire il tempo, si legge e si discorre, mentre i bambini disegnano e fanno domande su Gesù, su quella figura sul telo di lino.

Arrivati a Torino, ci presentiamo all’accoglienza. Intorno a noi stanno convergendo tantissime combriccole come la nostra: sono poche le persone da sole. Ci mettiamo in fila e, alla coda per i metal detector, ci colpiscono le facce contente dei volontari, i loro modi gentili. Sono veramente tanti e vengono da diverse parti: sembrano lì solo per te, quasi ti stessero aspettando.

Più avanti il percorso diventa una "scoppiettante" galleria di santi e beati, venerabili e servi di Dio, torinesi e piemontesi, religiosi e laici dell’Ottocento, che hanno fatto di Torino un esempio unico. Quello che impressiona è il numero, la loro umanità, la loro fede e la fantasia nella carità. «Ecco dove Dio stava operando in quegli anni! Lui parte sempre dal basso», dice improvvisamente una di noi. Ripenso alla frase che ci ha lasciato il Papa in piazza San Pietro: «Don Giussani non vi perdonerebbe mai se perdeste la libertà e vi trasformaste in guide da museo o adoratori di ceneri. Tenete vivo il fuoco della memoria di quel primo incontro e siate liberi!». Liberi e capaci di amare come don Bosco, che faceva il clown e il giocoliere per conquistare i bambini di strada; e come tutti gli altri volti che affiancano il nostro cammino verso la Sindone.

La fila riparte. Si entra nella sala preparata per la proiezione di un video. I più piccoli, seduti davanti per terra, sono tantissimi: non è cosa di tutti i giorni trovarsi in mezzo a tanti bambini così attenti, silenziosi, interessati. Poi, si entra in chiesa. Davanti alla Sindone ogni sguardo è preso, attratto, nel silenzio. Un silenzio che continua anche quando usciamo. Solo un commento tra di noi: «Uno pensa di venire a guardare, e invece scopre di essere guardato». È vero: siamo venuti in visita, ma è stata la visita di un Altro a noi, che ci stava solo aspettando.

Pranzo al sacco nei giardini vicino al Duomo. Poi si riparte a piedi verso il Parco del Valentino. Il tempo di un gelato e ci imbattiamo in una comunità filippina: è il giorno della loro festa nazionale e religiosa. Stanno preparando una coloratissima processione, infiorando le loro auto. Qualcuno fa una foto, mentre io ripenso a quel «sono ubriachi?» dopo la Pentecoste, citato da Carrón. È veramente risorto, è presente, e non smette mai di sorprenderci.

L’Intercity parte puntuale, e a Genova saliamo sul regionale. I bambini fanno l’ultimo disegno: «Perché non disegnate quello che vi ha colpito oggi?». Sidrit, sette anni, raffigura il viaggio in treno insieme alla sua nuova amica Caterina, affacciati al finestrino. Caterina, nove anni, disegna la Sindone, la struttura che abbiamo percorso con i volontari all’ingresso che ci accolgono e i suoi nuovi amici: tutti noi in fila, ciascuno con il proprio nome scritto sopra la testa. E lei in mezzo a noi. In entrambi i disegni tutti hanno il sorriso e c’è il sole, eppure è stata una giornata nuvolosa. Nel salutarci, mi accorgo che nonostante la giornata sia stata intensa non c’è mai stata stanchezza, e che i bambini non si sono mai lamentati. Una strana allegria in me: ed io ripenso a quel «non ci ardeva forse il cuore nel petto, mentre conversava con noi lungo il cammino?». È accaduto e accade, come oggi.

Francesco, Milano