L'uomo, ovvero il metodo della pace

La discussione in classe sui fatti di Parigi evolve in un dialogo al centro culturale islamico. Una stretta di mano, un tè, una fetta di torta e... qualcosa che accomuna: «Le stesse domande e lo stesso desiderio di vita»

Giovedì 26 novembre, assieme a due studenti di una classe terza sono andato al centro culturale islamico A-Rahma ("Misericordia") di Abbiategrasso. Abbiamo preso questa iniziativa dopo aver parlato in classe dell’attentato di Parigi ed esserci fermati a discutere della questione della religione islamica, se venga o non venga dal Corano l’incitamento ad usare la violenza.

Avevamo delle domande da porre, ma ciò che è accaduto è stato di più delle risposte che pur ci hanno dato su come interpretare i passi spesso “incriminati” del Corano o su come analizzare il fenomeno dell’Isis che con la religione non c’entra proprio nulla. Che cosa è accaduto? Siamo arrivati al centro islamico e abbiamo trovato delle persone che ci hanno accolto: come poi ci ha detto uno di loro, la stessa stretta di mano è già tutto, perché quando uno ti stringe la mano afferma che tu ci sei, che tu sei presente a lui.

È quello che abbiamo avvertito immediatamente: essere accolti da persone che erano interessate a noi, che ci guardavano con una grande simpatia e non con la diffidenza che invece spesso determina i rapporti. Ci siamo seduti ad un tavolo e abbiamo cominciato a parlare di quello che è accaduto a Parigi, delle domande sulla religione islamica che sorgono dentro la scuola, dell’esigenza di capire le origini del terrorismo, dell’urgenza di risolvere tante e drammatiche situazioni del Medio Oriente. E più si entrava nei problemi, più emergeva che eravamo tutti tesi nello stesso modo a cercare un punto positivo che ci permettesse di trovarne la soluzione. Finché uno di loro ha fatto una osservazione decisiva: «Il fatto che siate venuti qui che abbiate fatto questa mossa umana è già metà della soluzione dei problemi che mettono a soqquadro il mondo».

Un'osservazione che mi ha molto colpito, perché ha fissato il valore che ha oggi un gesto umano, che un problema anche grave lo si può affrontare solo in forza di un gesto umano. Aver incontrato persone di fede islamica, aver parlato con loro del terrorismo e di Dio, di Cristo e di Maometto, ci ha fatto capire che la questione oggi non è parlare sull’islam, ma incontrare la persona che ha fede in Allah. Noi, semplicemente, abbiamo fatto questo, abbiamo incontrato delle persone, abbiamo bevuto con loro un tè e mangiato una fetta di torta, siamo stati con loro mentre pregavano il loro Dio: li abbiamo incontrati e loro ci hanno incontrato. E abbiamo scoperto che abbiamo le stesse domande e lo stesso desiderio di vita.

Questo ci ha colpiti: aver trovato in loro gli stessi "perché?" che abbiamo noi, di aver scoperto che ci accomuna una tensione incontenibile a scoprire il senso dell’esistenza. Questa esigenza di significato è il punto di forza della loro e della nostra umanità. È in questo riconoscerci insieme uomini che ci si è trovati in perfetta sintonia a chiedere, oggi e per tutto il mondo, passi concreti di pace. Nel gesto umano che abbiamo fatto, di incontrarci come uomini, sta il metodo della pace: per questo è vero che la soluzione di questa terza guerra mondiale a pezzi dipende tutta dal puntare sull’uomo, sul suo cuore che vuole la pace e non la guerra.

Gianni, Abbiategrasso