«Ma noi siamo libertà»

La vicenda di Dj Fabo ha riempito per settimane le pagine dei giornali tra dolori, polemiche e tante domande aperte. Ecco cosa ha scritto una donna dal suo letto d'ospedale

Caro Julián, in questo periodo per me bello, denso e tosto, la mia attenzione si è soffermata sulla questione di cronaca di dj Fabo. Mi sono chiesta che: posizione ho io davanti a questo ragazzo che, amplificato a mille, dà voce alle mie piccole insoddisfazioni e recriminazioni quotidiane dovute ai miei discreti problemi di salute?

Sia ben chiaro che non voglio essere, e non mi sento in alcun modo, paragonata a lui ed al suo dramma infinitamente più grave. Quello che ci accomuna, forse è la condizione "obbligata"!

Poi, mi capita tra le mani l’intervista a Matteo, ragazzo tetraplegico, di cui riporto un estratto: il problema dei tanti che la pensano in un certo modo, dice, è che «vedono la disabilità come un’assenza di qualcosa, invece è una diversa presenza». Insomma, i disabili non sono persone che devono diventare il più possibile uguali agli altri, «cambiate lo sguardo e lasciateci la libertà di restare noi stessi, allora noi saremo liberi quanto voi...». Non è questione di leggi in Parlamento, ma proprio di sguardo: «Se le persone vengono misurate per ciò che fanno, è ovvio che uno come me o dj Fabo vuole solo morire. Ma se venissero capite per quello che sono, tutto cambierebbe. Ci vedete come mancanza di libertà, ma noi siamo libertà, se ci viene permesso di essere diversi». Secondo me è declinabile ad ogni ambito della nostra vita in cui ci sentiamo “diversi” dal mondo o dal nostro ideale di normalità. Figli, lavoro, studio, marito, vocazione e malattia.

Dalla mia poltrona in ospedale col sempre simpaticissimo tubicino che mi costringe a vedere e vivere una dipendenza, mi sento consolata da una carezza dolce e dalla forza disarmante di questo ragazzo.

Chiedo anche io di avere questi occhi sul mio piccolissimo limite e sul mio cuore meschino.

Valentina, Milano