Il Papa con gli indigeni a Villavicencio

Colombia. «Siete la prova che è possibile spezzare l'odio»

Villavicencio è la città simbolo del conflitto armato, scelta per l'incontro di Riconciliazione con il Papa. Qui la giornata vista con gli occhi di chi era lì. E la testimonianza di una donna a cui sono stati uccisi il padre, il marito e due figli

Per la prima volta nella storia un Papa visita gli Llanos orientali. «Vilavicencio è la porta a tutta la valle dell’Orinoco», come dice il nunzio apostolico Ettore Balestrero: «Andare lì è farsi vicino agli indigeni, ai campesinos, a tutti gli abitanti delle zone rurali in questa immensa regione e rendere facile a tutti l’incontro con il Papa». E aggiunge: «Villavicencio è rappresentativa come polo di sviluppo e paradossalmente è il simbolo del dramma del conflitto armato, perché si stima che più della metà della sua popolazione ne sia stata vittima. Anche qui confluiscono gli indigeni, i campesinos e i gruppi armati illegali. Essendo uno degli scenari del conflitto, ha un significato in termini di riconciliazione».

La giornata inizia a mezzanotte, quando viene aperto il Campo Catama, dove sarà celebrata la messa con 650mila persone, arrivate dopo cinque chilometri a piedi sotto la pioggia e una congiuntura di circostanze che di primo acchito fanno chiedere: cosa aspetto da questa giornata?

Dopo l’attesa, arriva al Campo, alle dieci della mattina, il Papa, con la sua presenza partena, umile e serena che inmediatamente attrae tutti, bambini, poliziotti, autorità civili, anziani, adulti, che arrivano all’incontro con lui per esprimere un amore corrisposto totalmente e una gratitudine senza fine.

In preghiera davanti al Cristo di Bojayá

«Questo popolo di Colombia è popolo di Dio», ci dice il Papa: «Anche qui possiamo fare genealogie piene di storie, molte piene di amore e di luce; altre di scontri, di offese, anche di morte… Quanti di voi possono raccontare esperienze di esilio e di desolazione! Quante donne, in silenzio, sono andate avanti da sole, e quanti uomini per bene hanno cercato di mettere da parte astio e rancore volendo coniugare giustizia e bontà! Come faremo per lasciare che entri la luce? Quali sono le vie di riconciliazione? Come Maria, dire “sì” alla storia completa, non a una parte; come Giuseppe, mettere da parte passioni e orgoglio; come Gesù Cristo, farci carico, assumere, abbracciare questa storia, perché qui ci siete voi, tutti i colombiani, qui c’è quello che siamo… e quello che Dio può fare con noi se diciamo “sì” alla verità, alla bontà, alla riconciliazione. E questo è possibile solo se riempiamo della luce del Vangelo le nostre storie di peccato, violenza e scontro».

Parla della riconciliazine in questa terra così ferita: «La riconciliazione non è una parola che dobbiamo considerare astratta (…). Riconciliarsi è aprire una porta a tutte e ciascuna delle persone che hanno vissuto la drammatica realtà del conflitto. (…) Bisogna che alcuni abbiano il coraggio di fare il primo passo in questa direzione, senza aspettare che lo facciano gli altri. Basta una persona buona perché ci sia speranza! Non dimenticatelo: basta una persona buona perché ci sia speranza! E ognuno di noi può essere questa persona! Ciò non significa disconoscere o dissimulare le differenze e i conflitti. Non è legittimare le ingiustizie personali o strutturali».

ll Papa con Mira García, una delle vittime

Al pomeriggio, c’è l’incontro con le vittime. La Liturgia della riconciliazione. La vedova Pastora Mira García, 61 anni, racconta al Papa la sua storia: «Quando avevo sei anni, mio padre è stato ucciso. Anni dopo, mi sono presa cura dell’assassino, che era malato, vecchio e abbandonato. Quando mia figlia aveva due anni, il mio primo marito è stato ucciso. Sono subito andata a lavorare nella polizia, ma ho dovuto dimettermi per le minacce dei guerriglieri e dei paramilitari che si erano già stabiliti nella zona. Con grandi sforzi, ho aperto un negozio di giocattoli, ma continuavano le ritorsioni degli stessi gruppi, guerriglieri e paramilitari. E quindi ho donato tutto ciò che dovevo vendere. Nel 2001 i paramilitari hanno rapito mia figlia Sandra Paola. Ho trovato il suo cadavere solo dopo averla pianta per sette anni. Tutta questa sofferenza mi ha reso molto sensibile di fronte al dolore altrui e dal 2004 accompagno e lavoro con le famiglie vittime dei sequestri e degli allontanamenti forzati. Ma non è tutto. Nel 2005 il blocco Eroi di Granada dei paramilitari hanno assassinato Jorge Aníbal, il mio figlio minore. Dopo tre giorni dalla sepoltura ho accolto un giovane ferito e l’ho messo a riposare nella casa di Jorge Aníbal. Quando questo giovane ha visto le foto nella nostra casa, ci ha detto che era uno dei suoi assassini. Ci ha anche detto come era stato torturato prima di morire. Ora metto il dolore e la sofferenza delle migliaia di vittime della Colombia ai piedi di Gesù, del Gesù crocifisso, affinché possa aderire a Lui e attraverso la preghiera della sua santità essere trasformata in benedizione e in capacità di perdono, per rompere il ciclo di violenza che la Colombia ha sofferto negli ultimi cinquant’anni. Come segno di questa offerta del dolore depongo ai piedi del Cristo di Bojayá la camicia che mia figlia Sandra Paola, rapita, aveva regalato a mio figlio Jorge Aníbal, assassinato, e che noi custodiamo in famiglia come augurio che tutto questo non accada mai più. E che la pace trionfi in Colombia».

L'abbraccio a Juan Carlos Murcia Perdomo, ex guerrigliero delle Farc

«Fin dal primo giorno desideravo che venisse questo momento del nostro incontro», ha detto il Papa: «Voi portate nel vostro cuore e nella vostra carne delle impronte, le impronte della storia viva e recente del vostro popolo, segnata da eventi tragici ma anche piena di gesti eroici, di grande umanità e di alto valore spirituale di fede e di speranza. Lo abbiamo ascoltato. Vengo qui con rispetto e con la chiara consapevolezza di trovarmi, come Mosè, a posare i piedi su una terra sacra. (…) Io sono qui non tanto per parlare, ma per stare vicino a voi e guardarvi negli occhi, per ascoltarvi e aprire il mio cuore alla vostra testimonianza di vita e di fede. E, se me lo permettete, vorrei anche abbracciarvi e, se Dio me ne dà la grazia - perché è una grazia - vorrei piangere con voi, vorrei che pregassimo insieme e che ci perdoniamo - anch’io devo chiedere perdono - e che così, tutti insieme, possiamo guardare e andare avanti con fede e speranza».

Poi ha aggiunto: «Pastora Mira, tu lo hai detto molto bene: vuoi mettere tutto il tuo dolore, e quello di migliaia di vittime, ai piedi di Gesù Crocifisso, perché si unisca al Suo e così sia trasformato in benedizione e capacità di perdono per spezzare la catena della violenza che ha regnato in Colombia. E hai ragione: la violenza genera violenza, l’odio genera altro odio, e la morte altra morte. Dobbiamo spezzare questa catena che appare ineluttabile, e ciò è possibile soltanto con il perdono e la riconciliazione concreta. E tu, cara Pastora, e tanti altri come te, ci avete dimostrato che questo è possibile. Con l’aiuto di Cristo, di Cristo vivo in mezzo alla comunità, è possibile vincere l’odio, è possibile vincere la morte, è possibile cominciare di nuovo e dare vita a una Colombia nuova. Grazie, Pastora; che gran bene fai oggi a tutti noi con la testimonianza della tua vita! È il Crocifisso di Bojayá che ti ha dato la forza di perdonare e di amare, e ti ha aiutato a vedere nella camicia che tua figlia Sandra Paola ha regalato a tuo figlio Jorge Aníbal, non solo il ricordo della loro morte ma la speranza che la pace trionfi definitivamente in Colombia».

Non ho niente da aggiungere a tutto questo. Solamente guardo la mia esperienza di questi giorni e quello che prevale è la gioia di essere stata lì, di incontrarlo. La fatica e il sacrificio di quella giornata diventano una stanchezza e un bel dolore, come abbiamo visto con la beatificazione dei martiri e, come loro, offriamo il dolore e il sacrificio per la gloria di Cristo. Sono molto colpita da come Cristo continui a generare, attraverso il Papa, questo desiderio e questo amore per dare il meglio di noi stessi: continua a generare con più forza nei nostri cuori il desiderio di ascoltare parole di vita eterna, come all’inizio.
Sandra, Villavicencio