Il Papa con i poveri a San Petronio © L'Osservatore Romano

«Di cosa parlavate a tavola con il Papa?»

Una volontaria racconta la giornata bolognese di Francesco. Soprattutto del pranzo in San Petronio con i più poveri della città. Come Nazareno, seduto proprio accanto al Pontefice: «Ci ha chiesto di noi e ci ha parlato di sé...»

Ma di che cosa si parla seduti a tavola con il Papa? Non posso trattenere questa domanda quando vedo uscire da una porta laterale gli strani ospiti che papa Francesco ha invitato a pranzo nell’imponente San Petronio. Erano in più di mille, tra poveri, soli, malati, carcerati. Ognuno aveva il proprio posto, li attendevano lasagne (anche senza glutine!), carne, patate, frutta e torta di riso. Una San Petronio come non l’ho mai vista: tavole apparecchiate come per un grande ricevimento di nozze, ma con sedie semplicissime, impagliate. Su ogni sedia un nome.

Gli invitati hanno iniziano ad accalcarsi all’ingresso verso le 9.30 di mattina. Guardandoli sembra veramente di risentire le parole di quel re del Vangelo che, poiché i suoi ospiti non avevano voluto unirsi alla festa, dice ai suoi servi: «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali».

Quando Nazareno scopre che il posto preparato per lui è esattamente quello alla destra del Papa, i suoi occhi si riempiono di stupore e pace. Si fa fotografare con in mano il cartellino che fa da segnaposto al Papa. Io avrei dato qualsiasi cosa per poterli servire mentre erano a tavola e rubare qualche frammento di dialogo. Così, quando intravedo nella folla che esce da San Petronio il volto di una francescana che era seduta nel tavolo di Francesco, non trattengo la mia domanda: «Scusi… Ma cosa vi siete detti?». E lei: «Io sono stata in silenzio. Mi sono accontentata di ascoltarlo e di guardarlo negli occhi, perché ha degli occhi tanto luminosi che c’ha dentro il Paradiso». E non stento a crederle, perché anche lei ha il Paradiso negli occhi.



E poi, Nazareno! Eccolo lì, l’amico conosciuto qualche ora prima. Gli corro dietro: «Com’è andata? Di cosa avete parlato?». «Ah, me lo chiedevo anche io… Ma cosa gli dirò?! E invece è stato semplicissimo, perché lui è proprio semplice, alla mano. Ci ha chiesto della nostra condizione, di noi… E poi ci ha raccontato di sé, di come gli è nata la vocazione, come è diventato sacerdote». Questo ragazzo dagli occhi buoni e felici mi chiede il mio nome, gli dico che pregherò per lui, lui per me. Poi, stringendomi la mano dice: «E insieme preghiamo per il Papa».

Nel salutarli in San Petronio, il Papa aveva detto: «Che gioia vederci in tanti in questa casa! È proprio come la casa di nostra Madre, la casa della misericordia, la Chiesa che tutti accoglie, specialmente quanti hanno bisogno di un posto. Siete al centro di questa casa. La Chiesa vi vuole al centro. Non prepara un posto qualsiasi o diverso: al centro e assieme. La Chiesa è di tutti, particolarmente dei poveri. Siamo tutti degli invitati, solo per grazia. È un mistero di amore gratuito di Dio che ci vuole suoi, qui, non per merito, ma per suo amore». Ecco perché Nazareno mi sarà amico per sempre, incontrandolo rivedo questo sulla mia vita: sono stata invitata al banchetto dell’incontro con Lui, sono stata invitata non per merito, ma per grazia.

Scende qualche goccia di pioggia, come già dalle prime ore della mattina: Bologna si è svegliata in una strana aria di attesa. La città, finanche nel colore cielo, ricorda la Milano di Manzoni che attendeva il Cardinal Federigo. «Il cielo piuttosto che nuvoloso, era tutto una nuvola cenerognola; ma al chiarore che pure andava a poco a poco crescendo, si distingueva (…) gente che passava, altra che usciva dalle case e s’avviava, tutti dalla stessa parte (…) tutti col vestito delle fese, e con un’alacrità straordinaria». Bologna la dotta, «e non la saccente», come poco dopo il Pontefice dirà incontrando il mondo universitario, si è fermata per accoglierlo: strade deserte all’alba, vigili a tutti gli incroci. Un misto tra il bisogno di sicurezza e il desiderio che il Papa ci trovi pronti. E se la paura dei nostri tempi non permette che in piazza ci siano più di 5.000 persone, il bisogno dei nostri cuori ci fa gustare ogni singolo sguardo dei presenti ed ogni parola del Papa, un padre che ha deciso di venire proprio a casa nostra. Un padre che indica come sia possibile amare e custodire davvero questa nostra città.

«Pater e protector», viene ricordato così il nostro San Petronio. All’ombra della sua Basilica, il Pontefice incontra il mondo del lavoro e da quella Piazza indica come sia possibile far sì che la nostra città, che le mura le ha tutte abbattute, possa continuare a respirare: «Da qui fisicamente vediamo tre aspetti costitutivi della vostra città: la Chiesa, il Comune e l’Università. Quando essi dialogano e collaborano tra loro, si rafforza il prezioso umanesimo che essi esprimono e la città - per così dire - “respira”, ha un orizzonte, e non ha paura di affrontare le sfide che si presentano. Vi incoraggio a valorizzare questo umanesimo di cui siete depositari per cercare soluzioni sapienti e lungimiranti ai complessi problemi del nostro tempo, vedendoli sì come difficoltà, ma anche come opportunità di crescita e di miglioramento. E questo che dico vale per l’Italia nel suo insieme e per l’intera Europa».



Un nuovo umanesimo, lo stesso che raccomanda, in un incontro straordinario, al mondo accademico in piazza San Domenico. Lo salutano il Rettore, Francesco Ubertini, e il rappresentate degli studenti, Dadive Leardini. È Davide ad incalzare il Papa con diverse domande: è possibile ricercare ancora la verità? È possibile farlo in università? Qual è il valore oggi dello studio? E il Papa ha indicato nella ricerca del bene la strada del vero umanesimo, una ricerca che si sviluppa in tre diritti: diritto alla cultura, diritto alla speranza e diritto alla pace.

Il diritto alla cultura, per «non farsi anestetizzare dalla banalità», diritto quindi a «cercare senso nella vita», «a non far prevalere le tante sirene che oggi distolgono da questa ricerca». E ricorda come «Ulisse, per non cedere al canto delle sirene, che ammaliavano i marinai e li facevano sfracellare contro gli scogli, si legò all’albero della nave e turò gli orecchi dei compagni di viaggio». Orfeo, invece, «per contrastare il canto delle sirene, fece qualcos’altro: intonò una melodia più bella, che incantò le sirene. Ecco il vostro grande compito: rispondere ai ritornelli paralizzanti del consumismo culturale con scelte dinamiche e forti, con la ricerca, la conoscenza e la condivisione». E solo così ci sarà vera cultura: «Cultura - lo dice la parola - è ciò che coltiva, che fa crescere l’umano». Il diritto alla speranza. Il Papa chiede che le aule dell’Università diventino «cantieri di speranza», ossia coltivino il «diritto per voi giovani a crescere liberi dalla paura del futuro, a sapere che nella vita esistono realtà belle e durature, per cui vale la pena di mettersi in gioco», il diritto «a credere che l’amore vero non è quello “usa e getta”» e che il lavoro non è un miraggio da raggiungere, ma una promessa per ciascuno, che va mantenuta.

Con questa raccomandazione lascia piazza San Domenico: «Non accontentatevi di piccoli sogni, ma sognate in grande. Voi, giovani, sognate in grande! Sogno anch’io, ma non solo mentre dormo, perché i sogni veri si fanno ad occhi aperti e si portano avanti alla luce del sole. Rinnovo con voi il sogno di “un nuovo umanesimo europeo, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia”».

Infine, la Santa Messa. Lo stadio gremito, nonostante la pioggia crescente, si è raccolto in un silenzio denso, che racconta la grandezza della giornata vissuta. La Madonna di San Luca è scesa straordinariamente in città. Viene da piangere al suo ingresso, perché ora Bologna è proprio tutta qui e sembra che questa Madre sia venuta anche Lei ad incontrare questo suo figlio.

Dopo la messa, ad ognuno viene regalata una copia tascabile del Vangelo. Con il cuore colmo di gratitudine, uscendo dallo stadio, prendo la mia copia e me la metto in tasca. Ma il Vangelo che mi porto a casa stasera più che in tasca l’ho negli occhi: «I miei occhi hanno visto, le mie mani hanno toccato il Verbo della vita».
Cecilia, Bologna