Gli amici del Banco di solidarietà "Madre Teresa" a Castione della Presolana

Brianza. Chi può rendere possibile l'impossibile?

Gente che fa caritativa e gente aiutata. Insieme in montagna, a Castione, per tre giorni. È la vacanza del Banco di Solidarietà "Madre Teresa". Per vivere il centuplo...

Durante il weekend tra il 13 e 15 aprile, centocinquanta persone si sono date appuntamento a Castione della Presolana, nella Bergamasca, per una convivenza tra famiglie: sono i soci del Banco di solidarietà “Madre Teresa” della Brianza.
L’idea era stata di Martino, responsabile del Banco: dopo le vacanze estive trascorse con la comunità di Giussano ad Asiago, aveva pensato di fare una proposta simile per i soci del Banco. Ne aveva parlato agli amici, il suo entusiasmo li aveva contagiati.

E si arriva a Castione. Tutto è ben pensato e organizzato. Nulla è lasciato all’improvvisazione perché ognuno si possa sentire a casa. Dopo la cena, i cento volontari del Banco e cinquanta assistiti (italiani, bulgari, rumeni, albanesi, marocchini, senegalesi), con quaranta bambini tra loro, si radunano nel salone per alcuni canti e un’introduzione. Una gigantografia del Volantone di Pasqua di CL fa da sfondo, mentre Martino dice a tutti il motivo della vacanza: «Il desiderio di approfondire la nostra amicizia guardando e seguendo ciò che ci ha fatto incontrare, “la presenza di Gesù di Nazareth che rinverdisce la nostra aridità e rende possibile l’impossibile. Così che un’appena accennata umanità nuova per chi ha l’occhio e il cuore sinceri, si rende visibile attraverso la compagnia di coloro che lo riconoscono presente, Dio-con-noi”, come recita il Volantone. Seguire è semplice: lasciare le nostre misure e farci condurre, attirare da ciò che Gesù ci chiede oggi», continua Martino. È così che l’umanità rinverdisce: «Seguendo quanto vi proponiamo in questi giorni. Per che cosa? Per vivere il centuplo! A noi guardarlo, scoprirlo».



Sabato è giorno di gita. Un’ora di cammino ed ecco la chiesetta del 1200, la più antica della valle. Chi non ce la faceva a piedi è salito con le jeep degli Alpini. Uno di loro ci racconta una storia: durante la Seconda Guerra mondiale, una donna, i cui due figli erano sotto le armi, spesso, a piedi scalzi, con scopa e scala, dal paesino saliva alla chiesetta dove, mentre puliva, implorava il loro ritorno. Un giorno, in un sogno vide il figlio tornare, e poco dopo, lo riabbracciò davvero.

Mentre si cammina in mezzo alla natura un signore si confida: «Era tanto che non parlavo più, ero diventato muto, oggi invece parlo, sarà la nuova pastiglia che sto prendendo…». Si ferma: «Parlo perché sono con voi». Ancora, una signora, sulla strada del ritorno: «È la prima volta che faccio una gita in montagna: è una meraviglia». E un ragazzo bulgaro di 17 anni: «Sono stato a diverse vacanze, ma qui è più bello. Qui tutto è per me». La sera a tavola con una famiglia senegalese, un amico spiega che la loro bambina era tornata da un mese dal loro Paese, dove era rimasta con la nonna per più di un anno. Si era chiusa a riccio, non parlava e non sorrideva più: «Da quando sono qui, è rifiorita e balla gioiosa. I suoi genitori sono contenti».

Un altro racconta di una bambina bulgara ortodossa che, sollecitata dalla maestra, decide di frequentare il catechismo della Prima Comunione. Alcuni amici le propongono di festeggiare insieme quando la farà. Maria è gioiosa: «Voglio conoscere Gesù».



Dopo cena, la testimonianza di Giovanni, venuto dalla Brianza a raccontarci la sua vita, di quando, diciassettenne, dopo una vacanza in montagna a Campitello di Fassa, nel 1965, si era coinvolto con Gioventù Studentesca a Carate. «Era una novità continua ed ero come travolto dalla bellezza di quella esperienza». Tanti gli facevano notare che era cambiato. La caritativa alla domenica, il gioco e i compiti con i bambini, il portarli a fare gite: «Cose mai successe prima». Come anche la "decima" per gli amici partiti per la missione in Brasile, le Lodi e i Vespri… «E poi si cantava, quanto si cantava!». Anche a casa, tra i dieci fratelli, a volte glielo chiedevano: «Se sucet cus’è? Cosa succede?». «Era l’incontro con la bellezza della vita della comunità cristiana», spiega Giovanni: «Cristo non era ancora incontrato personalmente, Cristo era presentito come artefice di tutta quella straordinaria bellezza. Come nei volti di Giovanni e Pietro del Volantone, c’era, tra una folla di sentimenti, il presentimento che Cristo fosse ancora vivo». Quel volto, racconta ora, è stato il motore di tutta la vita, dello sposarsi, fare figli, insegnare. Ma soprattutto lo è ora, nello stare di fronte alla moglie malata.

Domenica, durante tutta l’assemblea a conclusione della vacanza, seppur in modo diverso, tanti di quelli che intervengono (ma lo si legge anche sui volti di chi rimane seduto) sembrano dire: «Grazie, grazie, grazie. Qui è come tornare a casa». Ma perché questa gratitudine? «Bisogna riconoscerne l’origine», ricorda Martino: «Bisogna guardare o, come diceva don Giussani, sgranare gli occhi. Invece a volte li chiudiamo, lasciando spazio alla tristezza e alla solitudine. Ma ci sono persone che, se vogliamo, ci aiutano, ce li fanno aprire davanti a quello che accade». Come in questi giorni: quello che accade è il “centuplo” promesso da Cristo ai suoi discepoli e, oggi, a noi.

Gli amici del BdS “Madre Teresa” della Brianza