Maria Cristina e Maria al "gabbiotto".

Volontaria al Meeting. Miracoli al gabbiotto

Alzare e abbassare una sbarra del parcheggio. Poteva essere una settimana difficile. E invece, «le prugne di Loris, le lasagne dei napoletani...». E una domanda che torna ogni mattina

Quando mi hanno detto che quest’anno, come volontaria al Meeting, avrei lavorato ai parcheggi, ero contenta perché mi sembrava una bella sfida. Tuttavia, man mano che si avvicinava il Meeting e ricevevamo le prime indicazioni, il mio entusiasmo si spegneva: saremmo stati all'"Est", il varco riservato ai volontari e al carico-scarico merci. E per di più al pomeriggio, quando ormai è raro avvistare macchine anche in lontananza.

All’incontro volontari, poi, io e Maria, una compagna di Lettere con me al Meeting, scopriamo di esser state assegnate addirittura al "gabbiotto", uno dei quattro angoli della Fiera dove bisogna far passare i lavoratori, per lo più non del movimento, premendo un pulsante che alza la sbarra. Ci siamo guardate e, ridendo per incredulità ci siamo dette: «Sarà un Meeting difficile!». Mentre i nostri amici ci davano pacche sulle spalle. Ma quel pomeriggio sono andata a parlare con un’amica che l’aveva fatto due anni fa, e ne era uscita contenta: «Il gabbiotto è un lavoro umile e nascosto, una grande scuola di vita. È come le guglie del Duomo di Milano: perfettamente scolpite, ma a 80 metri di altezza, dove nessuno le vedrà mai. Nella vita uno vorrebbe essere sotto i riflettori, invece deve stare nel posto dove gli è chiesto di stare, dove c'è bisogno. Il Meeting aveva bisogno di me a fare quel lavoro umile e io l’ho fatto nella maniera migliore possibile». Questo ci ha aiutate ad alzare lo sguardo: come era stato bello per lei, così poteva esserci qualcosa per noi.



Il primo giorno abbiamo iniziato a "servire" lì, con grande semplicità: sorridevamo, ci alzavamo all’arrivo di qualcuno, salutavamo. Finché due poliziotti si sono fermati a chiacchierare, un volontario in bici ci ha salutate, un dipendente della ristorazione ci ha chiesto i nostri nomi... Il secondo giorno, Loris, che lavorava a Radio Maria, è sceso dalla macchina e, porgendoci un sacchetto di prugne raccolte da casa sua, ci ha detto: «Vi ho viste ieri. Questo è per voi». Quel gesto di gratuità ci ha aperto il cuore e ha generato un mondo: siamo corse a darne agli altri parcheggiatori. E poi a chi entrava e usciva dalla Fiera. Sui loro volti assistevamo allo stesso stupore che aveva preso noi. Ne abbiamo date ai ragazzi napoletani di "‘Na Pizza", e in cambio ci hanno regalato i loro panini, che poi abbiamo donato a Giovanni delle pulizie, che col suo camioncino avrebbe lavorato fino alle 5 del mattino.

Si è creata una catena sorprendente di gratuità: quanto ricevevamo - ed era sempre più di quanto pensassimo -, tanto ci trovavamo a donare. Quel giorno mi ha stupito che a fine turno non avevamo più niente: tutto era stato di nuovo donato, scommesso. E così nei giorni successivi: le persone si fermavano a parlarci, ci conoscevano, si sedevano con noi. Loris ci portava la frutta, i napoletani le lasagne, il responsabile della ristorazione una sacca di gelati, le signore della mensa un vassoio di cornetti... In noi cresceva una commossa e visibile contentezza. I ragazzi del turno successivo, guardando le nostre facce, ci hanno detto: «Questo turno vi fa bene, sembra che siate qui solo da mezz’ora».

Ogni giorno attendevamo il lavoro come un’avventura. Io pensavo: «Signore, chissà oggi come mi vieni a trovare. Sorprendimi!». Perfino il sacrificio di perdere alcuni incontri diventava leggero. All’incontro che Vittadini ha fatto con i volontari dei "servizi", un ragazzo del turno precedente al nostro ha detto che il gabbiotto è un lavoro monotono. Sono saltata sulla sedia: proprio il giorno prima avevo incontrato don Ambrogio che, al mio “come stai?”, aveva risposto: «Inesauribilmente bene. Perché Dio è monotono, non si stanca mai di fare miracoli». Lì ho capito che qualsiasi cosa, anche la più monotona come il premere un bottone - e non credo che la vita ci risparmi la monotonia: nello studio, nel lavoro, nei rapporti... - se è fatta per Cristo, cioè in funzione di un rapporto d’amore che ci ha preso e ci prende, ci rende felici. Questo muove la storia. E in questi giorni ha toccato le persone che abbiamo incontrato.

Maria Cristina, Torino