Vacanze GS. Il cuore riconosce la sua casa

La settimana in montagna alle porte e, tra scuse, impegni e stanchezza, la decisione di partecipare in "formula ridotta". Ma subito accade qualcosa «che esplode, come un vulcano». Che cambia tutto e che «ho sempre bisogno di sperimentare»

Ciao amici! Nell’attesa di rivederci, visto che in questi giorni ho pensato tanto alla vacanza di GS, oggi nel silenzio ho scritto queste righe e le condivido con voi.

Le vacanze di GS quest’anno per me sono state speciali. Prima di tutto perché non volevo neanche andarci, anche se poi ho pensato di esserci almeno qualche giorno. Ci sono stata i primi tre e pensavo fossero abbastanza. Ma non è stato vero neanche un po’. Fra noi ci si dice sempre che dobbiamo partecipare ai gesti tutti interi, e io l’ho sempre fatto, tranne quest’anno. Così, proprio questa volta che non l’ho fatto, ne ho davvero riscoperto il perché.

Ricomincio con ordine. Come in parte vi ho detto, e voi avete amabilmente compreso, avevo deciso di non venire non tanto per problemi organizzativi, ma proprio per senso di inadeguatezza. Mi sembrava di non avere forze da dedicare a preparare la vacanza, o per stare coi ragazzi e con gli adulti. Dopo un anno di scuola davvero faticoso e, per tanti motivi, così “svuotante”, avevo desiderio di fermarmi e di fermare tutto: la routine, le cose ovvie (“vado alla vacanza perché ci sono sempre andata…”). E poi ero già stata alla “maturandi” e dovevo organizzare il viaggio in Giappone…

Sono venuta, così, in “formula ridotta”: solo qualche giorno, senza particolari attese... Invece ho scoperto che il cuore attende sempre, e che la compagnia fra noi è davvero un vulcano che sempre cova, ed esplode più veloce di quanto uno immagini.

Mi ha colpito tutto fin dall’inizio, come i ragazzi che hanno partecipato con entusiasmo al primo, disorganizzato e pesante “bandierone”. Poi, per caso, sono stata alla prima prova del coro e ne sono uscita sbalordita: sentivo tutto per me, anche senza avere un ruolo, ma solo per il fatto di vedere la serietà dei ragazzi, la loro voglia di imparare e affidarsi, il desiderio di tenere insieme parole e modi... L’esperienza del canto per me è davvero potente per tutti questi motivi.

Tra gli adulti, mi ha colpito il desiderio di costruire insieme con verità, ciascuno con la propria sensibilità e le proprie doti. Nonostante conosca bene - e li abbia rivisti anche in questi giorni... - il carattere e i difetti di tanti, mi ha colpito che tutto questo sia davvero irrisorio rispetto a ciò che è emerso. E poi, soprattutto, la bellezza di quello che è stato proposto: la presentazione del libro su Andrea Mandelli, con i suoi video e le parole di don Giussani; il lavoro serio sulle parole profondissime e lancinanti dell’ Annuncio a Maria di Claudel; i panorami mozzafiato delle gite…

Sono tornata a casa con la malinconia per tutto quello che avrei perso nei giorni successivi. Però sono rimasta colpita da tantissimi aspetti di cui avevo bisogno. Il primo, come ho detto ad un’amica la prima sera, è che il cuore riconosce subito casa sua, anche se pensa di essere inadatto, debole, fuori gioco. Il movimento è casa mia: dove c’è la bellezza, la pazienza, il gusto del cammino insieme; la misura alta della vita e del destino, la serietà dell’implicazione, ma anche la tenerezza e l’ironia. Questo il cuore lo riconosce subito, accanto ai limiti miei e degli altri. Eppure, è una bellezza che sta benissimo con tutto questo, e tiene nel tempo. Avevo paura di essere troppo debole per riconoscerlo, invece il Signore mi ha dato ancora amici e occasioni. Questa è per me la familiarità con Cristo che desidero, e che ho sempre bisogno di sperimentare.

E poi ho rifatto esperienza che quello che uno crede di “dare” è imparagonabile a quello che riceve, gratis e con sovrabbondanza. Zaccheo mi è sempre stato simpatico perché si è arrampicato su quell’albero. E io sono lui. Meno male che ho voluto salire sull’albero e guardare dalla Sua parte, un po’ nascosta tra il fogliame, ai lati della strada, ma dalla Sua parte.

Grazie di tutto questo anno di amicizia, pazienza, sostegno. Se Lui ha voluto chiamarmi mentre ero “inalberata”, sono convinta di averlo riconosciuto perché aveva la vostra voce familiare.

Lettera firmata