La Promessa dei Cavalieri nella Cattedrale di Palermo

Palermo. Don Pino, il maître e i Cavalieri

Duecento ragazzi delle medie da tutta la Sicilia per la "Promessa", «per conoscere la vita, ma più in grande». Incontrando don Puglisi attraverso la sua storia per le vie di Brancaccio, per esempio, prima di inginocchiarsi in Cattedrale...

Ventitré febbraio. Più di duecento Cavalieri (la proposta cristiana per i ragazzi delle medie) affollano la hall dell’Astoria Palace, in centro a Palermo. Sono arrivati da tutta la Sicilia per il gesto della “Promessa”. Fuori, come da previsioni meteo, infuria una bufera di tramontana e pioggia. L’aria è piena di attesa rumorosa e scomposta nei veterani, impacciata e meravigliata nei piccoli che arrivano per la prima volta. Gaetano legge un breve stralcio della lettera che Simone, undici anni, ha scritto in vista della Promessa: «Per me i Cavalieri sono conoscere la vita, ma più in grande. Ho scelto di fare la Promessa per sentire ancora di più quella presenza di allegria e di tristezza che mi prende quando sono ai Cavalieri».

Il più piccolo ci ricorda cosa siamo venuti a cercare sulle orme di “3P”, padre Pino Puglisi, il sacerdote palermitano ucciso dalla mafia e beatificato nel 2013. Nel pomeriggio, nonostante l’arrivo della neve, andiamo a Brancaccio, il quartiere dove ha vissuto e portato avanti a sua opera educativa tra i giovani. Passando dal luogo del martirio, il marciapiede sotto l’abitazione dove è stato ucciso, abbiamo accesso alla sua casa e alla sua vita, che si racconta in un mobile da cui viene fuori il lettino dove padre Pino dormiva per fare compagnia, durante la notte, al papà malato. E poi, in un piccolo studio ancora affollato di libri nonostante ne avesse regalati a centinaia ai giovani che incontrava. Era sua abitudine, quando un ragazzo gli poneva una domanda, regalargli un libro che secondo lui poteva essergli di aiuto, per poi invitarlo a rincontrarsi dopo averlo letto. Di libri, alla sua morte, in quella casa ne hanno ritrovati circa seimila, stipati anche nel forno.

Il giorno dopo, Francesco Deliziosi, caporedattore de Il Giornale di Sicilia, e la moglie Maria ci raccontano della loro amicizia con padre Pino, loro insegnante di Religione al liceo. «Don Pino ci diceva sempre che poteva capitare che il suo frigorifero fosse vuoto, ma il serbatoio della sua auto doveva essere sempre pieno per poter raggiungere noi ragazzi se gli chiedevamo di essere ascoltati, a qualsiasi ora del giorno e della notte, e per questo era un ritardatario cronico». Francesco e Maria sono commossi. Diamo uno sguardo alla sala, per vedere cosa sta accadendo nei ragazzi. Qualcuno si alza ed esce, altri sembrano attenti, ma i più sembrano sonnecchiare sulle loro poltrone. Il timido applauso finale sembra confermare il nostro sospetto, ma ecco la prima domanda e poi a seguire così tante da doverle raggruppare. I ragazzi chiedono come reagiva padre Pino davanti ai loro fallimenti, ai compiti non fatti, alle delusioni che i suoi giovani gli davano e come avevano reagito alla notizia della sua morte. Insomma, chiedono a partire da fatti che investono la loro vita tutti i giorni, dagli insuccessi alla sofferenza per la morte di una persona cara. Alla ricerca di un amore che si doni in un sorriso quando tutto sembra perso.

Dopo pranzo, ci ritroviamo nella hall per avviarci in Cattedrale, dove ci aspetta don Carmelo Vicari, parroco a Palermo e caro amico. Mentre diamo le ultime indicazioni, facciamo due chiacchere con il maître, lamentandoci del fatto che qualche adulto ha dormito su una brandina. Lui ci chiede scusa e vorrebbe rimediare, ma noi stiamo per lasciare l’albergo e allora ci invita a prendere il caffè. Al tavolo, gli raccontiamo quanto sia importante per noi curare i gesti nei particolari e di come questo richieda anche la fatica e la bellezza di chiedere un coinvolgimento in chi, a vario titolo, ci ospita. A fine giornata, veniamo a sapere che il maître, incrociando al bar alcuni ragazzi, gli aveva chiesto perché erano lì, chi erano gli adulti che li accompagnavano. E poi aveva raccontato dei suoi due figli ormai grandi e di quanto avrebbe voluto che incontrassero una cosa bella così. I ragazzi ci dicono: «Il maître ora è un Cavaliere!».

Gaetano e Maria Concetta, Palermo