La serata di canti e letture dal titolo "Will you still love me tomorrow?"

Vacanze. «Un uomo felice è una proposta»

A San Martino di Castrozza con la comunità degli adulti di Bologna. Le parole di Jésus Carrascosa, la serata di letture e canti, la testimonianza di Alpha e Maurizio. E la presenza di una sorella, tornata a sorpresa... Leggi il racconto di Giuditta

Sono passati quindici anni dall’ultima volta, ma il salone di San Martino di Castrozza, il “pallone” verde, è uguale a come me lo ricordavo: gigante e col rimbombo acustico. Ultima volta ed unica, in tutti i sensi.
GS, estate tra la quarta e la quinta superiore, un incontro folgorante con Mariella Carlotti che ci introduceva alla lettura de L’annuncio a Maria di un certo Paul Claudel. Ricordo solo le lacrime incontenibili e l’intuizione di una promessa di eterno alla mia vita.
Quindici anni e quel “pallone” è ancora lì, e dall’alto della sua vittoria sul tempo mi chiede: che ne è stata, invece, di quella promessa?
Questi pensieri mi accompagnano mentre ci entro, e cerco posto per l’assemblea finale del “campo”, come chiamiamo la vacanza a Bologna, insieme ad altre trecento persone.

Di fianco a me mia sorella. «Chissà cosa avrà in cuore», penso. Non siamo di molte parole, io e lei. Quando a Pasqua avevamo parlato, quasi per caso, non accadeva da molto. «Vai agli Esercizi dei Giovani Lavoratori?», avevo chiesto, pur immaginando la risposta. «No». «Ma il movimento non lo frequenti più?», immaginando la risposta: «No». «E non ti manca?». Una piccola lacrima aveva fatto capolino dall’occhio destro. «Sì».
Questo no, non me lo ero immaginato. «Cosa ti manca?». «Che la vita scorre veloce e non riesco a fermare niente». Azzardo e le propongo di venire alla vacanza degli adulti della mia città, ma dopo due mesi, nonostante qualche insistenza da parte mia, ricevo un «no, non riesco». Poi, quando ormai chi ci pensava più, dal nulla quel WhatsApp: «Potrei venire con te al campo», così, senza punteggiatura, come quei messaggi che di solito sanno di incuria e fretta. Non questo però. Mi era scoppiato in cuore un: «Signore, ma Tu come hai a cuore ciascuno di noi?!».

Jesús Carrascosa (secondo da sinistra) con gli amici di Bologna

Tutto ciò scorre come un flash nella mia mente mentre terminano le note dell’Arpeggione di Schubert e la voce decisa di don Carlo Grillini ci introduce alle Lodi, richiamando le indicazioni di qualche giorno prima di Michele, che aveva notato una certa scompostezza tra noi: «Attenzione a non urlare, perché stiamo pregando; e le recitiamo in recto tono non appena per un’estetica, ma perché è fondamentale per l’unità». Qualcuno si era preoccupato di ridarmi le ragioni di un gesto che sarebbe potuto scivolarmi addosso con scontatezza.
Sono felice, Signore, perché tu cammini con me... centinaia di voci cantano nel salone. «Ma è vero? Gesù regge le intemperie della vita?». Dopo il canto, Giovanni Sama, detto Ciccio, entra subito nel merito: «Ci siamo sfidati alla verifica della pertinenza della fede alle esigenze della vita. Che esperienza abbiamo fatto?».
Qualcuno non mi risparmia questa domanda che mi costringe a guardare a quei giorni in montagna con amici di vecchia e nuova data, insieme anche a gente mai vista.

Ripenso al mio arrivo anticipato, un impegno di lavoro saltato all’ultimo causa maltempo, un messaggio frettoloso ad Edoardo, responsabile della segreteria: «C’è nessuno che parta nel pomeriggio?», e due amici che, pazienti, mi aspettano mentre rimedio una valigia in mezz’ora cacciandoci dentro panni a caso e poi via, di corsa in macchina con la gratitudine addosso di un giorno in più “regalato”, e la gioia di poter cominciare il gesto dall’inizio.
Intanto, Stefano va al microfono: «Sono successe tante cose belle, ma mi rimane un’ultima difficoltà, come se questa bellezza in fondo non mi cambiasse». Ciccio ribatte: «Cosa hai visto in questi giorni per te?».
Ripenso all’incontro con Jesús Carrascosa, per tutti Carras, il mercoledì sera: «Nella vita tutto fa la parabola, tutto sale e tutto scende: il lavoro, gli affetti, l’amore, gli amici… e questo accade perché è il tempo che logora. Quindi, se fosse vero che c’è uno che vince questo urto del tempo, sarebbe la risposta alla propria vita». Aveva esordito così, con quell’accento spagnolo che ormai ci è diventato caro, e subito dopo era saltato in sella al ricordo, prendendo il via dai suoi dodici anni, passando per l’educazione ricevuta ai Salesiani, e sostando più a lungo sul suo incontro con un gruppo di professori con cui aveva creato una casa editrice, e viveva i principi dell’anarchismo.

La testimonianza di Alpha e Maurizio

Ho visto un uomo con un desiderio irriducibile, perché in paragone costante col proprio cuore. Sentendolo parlare il mio desiderio si era ridestato. «Un uomo felice è una proposta», aveva detto. Com’era vero! Con l’anarchismo lui a un certo punto era entrato in crisi… qualcosa non gli tornava di quel sistema rousseauniano basato sulla lotta alla società malvagia, qualcosa che aveva osservato: il sistema era perfetto ma un compagno era pigro, il sistema era giusto ma un altro compagno era superbo. C’era qualcosa che non teneva conto di un “prima”, del peccato originale, la cui esistenza Carras ora cominciava a testare. Fino a «un incontro provvidenziale», quello con Giussani – «Con lui capimmo che quello che cercavamo si poteva trovare» – e con alcuni della comunità, poco dopo. «Questi sono più amici che noi con i nostri amici», aveva detto Jone, sua moglie. «Io ero d’accordo».
Una lealtà e semplicità che mi hanno disarmata. Chi è disposto a mettere in discussione tutto in un attimo, in virtù di qualcosa di più corrispondente? Di solito questa semplicità si trova nei bambini, più rara negli adulti, troppo spesso attaccati a quelle due tre cose su cui hanno costruito la propria vita. C’era in quell’uomo un’inversione di rotta insolita alla parabola umana, un rimpatrio nel dono che la natura fa a tutti all’inizio… Poi ho capito: la Redenzione restituisce alla natura ciò che le ha rubato il tempo.
L’accento marchigiano di Stefano mi riporta in salone, dove anche lui cerca di rispondere: «Ho visto delle persone che vivono un’intensità incredibile, voglio rubare loro il segreto». Ciccio dal palco incalza: «Dobbiamo andare fino in fondo per capire cosa ci succede».

In gita

Mi ritorna in mente la serata di venerdì dal titolo Will you still love me tomorrow?, che avevamo preparato con canzoni e testi per attraversare la domanda su “Che cosa regge l’urto del tempo?”. Penso alla bellezza del lavoro insieme, all’audacia di concedersi e giocarsi delle domande e lasciarle dialogare con poesie e canzoni. Una, Hunger dei Florence+The machine, ci aveva colpito per come coglieva il fondo del bisogno umano: «A diciassette anni ho iniziato a farmi morire di fame, pensavo che l’amore fosse una specie di vuoto; e poi almeno ho capito la fame che sentivo e non ho dovuto chiamarla solitudine. Abbiamo tutti una fame…».
Sì, la fame del cuore l’abbiamo tutti, ma ci si può lasciar morir di fame (o mantenerla a un livello accettabile), o cercare se ci sia qualcosa che ci riempia. La differenza è qui.
Mi vengono in mente Alpha e Maurizio, che sono venuti apposta da Boston per fare la vacanza con noi... lui italiano, da più di quarant’anni in America, sua moglie filippina con una storia folle. Lei sì che era divorata da quella fame, tanto da lasciare tutto, carriera, soldi, Paese d’origine, per cercare questo “qualcosa”, pur non sapendo cosa fosse. «Mamma, perché tutti vengono in America per diventare ricchi e noi siamo venuti per diventare poveri?», le aveva domandato un giorno il figlio di nove anni che si era ritrovato da un momento all’altro la vita stravolta e piena di difficoltà.

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Ma lei sapeva che questo “qualcosa” doveva arrivare, come ristoro, e capiva che aveva a che fare con Dio. Finché un giorno, dopo messa, in una parrocchia di Boston trova un volantino con un invito per andare a Scuola di Comunità; sul retro, un articolo sulla speranza firmato da un perfetto sconosciuto: Julián Carrón. Si porta l’invito a casa, poi legge. Uno schianto. «Perché ci hai messo così tanto per darmi Julián Carrón?!». Davanti a questo suo racconto ho pensato: il cuore è davvero infallibile, sa intercettare perfettamente quello che corrisponde. L’assemblea continua e intervengono altri, e ogni intervento, ogni domanda mi spinge a guardare, a giudicare, a paragonare. Penso alla gita al rifugio Segantini: mentre camminiamo mi scappa un commento sulla Scuola di comunità. Giulia si gira, mi pone una domanda, e mi accorgo che sta piangendo. Presa in contropiede, suggerisco: «Guardiamo cosa il Signore fa» e poco più. Torno al silenzio che io stessa avevo rotto. Non c’era risposta più grande per me e per lei che, anzitutto, accogliere Lui che ci stava venendo incontro con quelle montagne. Pochi giorni dopo, quelle due righe entusiaste: «Quello che mi hai detto è stato fondamentale! Grazie per avermi dato questo spunto di lavoro».
Finiamo l’assemblea, mia sorella si alza. Parte prima della messa per tornare da suo marito. Mi saluta, poi torna indietro, mi abbraccia e si mette a piangere. «Cosa c’è?», le chiedo. «Sono stata davvero felice di questi giorni». Si asciuga di fretta le lacrime e mi lascia lì, inchiodata a quella sedia.
Giuditta, Bologna