Il Meeting di Rimini

Una battaglia lunga cinquant'anni

Un'amicizia nata negli anni Sessanta, tra i banchi di scuola, e mai interrotta. Visioni diverse sulla vita, che cambiano nel tempo incrociandosi, fino a ritrovarsi al Meeting, tra stand e incontri. «È l'inizio di un lavoro». Ecco perché

Compagni di liceo a Roma negli anni Sessanta. Io di famiglia marxista, lui cattolicissima. Diventammo amici. Poi, io passai per la rovente delusione della sinistra; lui per quella di un cattolicesimo povero di esperienza. Per grazia incappai nel movimento e iniziò una vita nuova. E sono ancora qua.

Lui si spese senza risparmiarsi nella professione di medico e nella costruzione di una splendida famiglia. La sua passione: i viaggi, mai banalmente turistici, sempre alla ricerca di bellezza e umanità.

In oltre cinquant'anni, il filo tra noi non si è mai rotto, lui a Roma, io approdato a Forlì. Ci raccontavamo, del lavoro, della famiglia, ma anche di CL. Invitato più volte, non volle mai conoscere da vicino il movimento. Fino a quest'anno, quando, inaspettatamente, ha accettato di venire due giorni a casa mia per andare insieme al Meeting. Conosceva alcuni relatori romani, medici o politici, e questo lo stuzzicava.

Due giorni per me bellissimi, contento di girare, ascoltare, incontrare... Come si fa al Meeting, ma con lui. Curioso, all'inizio. Poi, sempre più intraprendente, tanto da guidare il gruppetto - c'erano anche le nostre mogli - per scovare mostre e conferenze, fino a presentarci alcuni personaggi presenti al Meeting che conosceva.

Pranzo di saluto in trattoria. Si mangia, si parla di ciò che si è visto e sentito. Ci si guarda, increduli, commossi. Un'ora dopo, su WhatsApp: «La partecipazione al Meeting e l'incontro con voi mi ha scosso dall'abulia in cui stavo vivendo. Non so bene perché, ma mi ha ridato voglia di vivere e scoprire. Non so ancora bene cosa. Ma capisco che non sarà un fatto né automatico né semplice, e che mi richiederà soprattutto disponibilità a dedicarci tempo e confronto con altri. Non so se ne sarò capace. Comunque vi ringrazio davvero di avermi permesso di vivere questo momento. Comunque andrà».

Gli rispondo: «Carissimo, quanto ti devo? Di quanto ti sono debitore? Della vita! La tua amicizia, 53 anni fa, aprì una crepa nel mio modo di concepire la vita. La tua gratuità contraddiceva le mie idee, non era riconducibile alle mie categorie. Ed ebbe inizio la battaglia: sottoporre la ragione all'esperienza (ho imparato questa frase 40 anni dopo), cioè usare la ragione per comprendere ciò che l'esperienza ti mostra. Dieci anni dopo, nel 1976, in quella crepa aperta da te si è infilata un'altra realtà incomprensibile, lontanissima dalla mia mentalità. Un gruppo di ragazzi all'Università di Bologna che si trattavano tra loro, e presto cominciarono a trattare così anche me, in un modo che mi corrispondeva totalmente, che rispondeva ad un desiderio sempre più bruciante nel mio cuore. La battaglia riprese, con ancor più vigore, e dura ancora oggi. E sempre questi cattolici che scombinano le carte! Che portano un fattore di novità, un elemento irriducibile alla mentalità del mondo. Sarà un caso? È quello che è successo a te al Meeting. Sei stato toccato e ti sei lasciato toccare: due protagonisti sono in scena. Se ne escludi uno i conti non tornano. L'unica cosa che è possibile dire è: buon lavoro! Ma con un enorme abbraccio: non sei solo!».

Alberto, Forlì