Monsignor Mario Delpini sul sagrato del Duomo di Milano

Milano. La gioia che vince lo scetticismo

Mille giovani, sabato scorso, in Duomo per la veglia Redditio Symboli con l'arcivescovo Delpini. «Chi accetta di seguire il Signore Risorto si sorprenderà della novità di vita che inizia ad accadere in lui»

Piazza Duomo, Milano. Sabato 3 ottobre, ore 21. Nonostante le temperature inizino ad abbassarsi, la vita ferve. Bar e ristoranti sono pieni, i soliti musicisti di strada suonando formano attorno a sé dei capannelli di persone, qualcuno balla. Un po' più su, alcune persone vestite elegantemente festeggiano sulla terrazza del museo del Novecento.
Ma, a un certo momento, magari distrattamente, molti volgono lo sguardo sulla piazza. Uno spettacolo strano si presenta ai loro occhi: ci sono 300 giovani (più altri 700 diciannovenni nella cattedrale) con le mascherine, disposti ordinatamente, distanziati. Che cosa aspettano? Che cosa aspettiamo? Io e un altro centinaio di ragazzi del Clu siamo lì con gli amici di altri movimenti, associazioni ed oratori su invito dell’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, alla Redditio Symboli, cioè la restituzione di una loro Regola di Vita con scritti desideri, aspirazioni, impegni per i mesi a venire.

«Il Signore è davvero risorto». Questo all’inizio della veglia l’annuncio che mi colpisce. La frase viene pronunciata da una decina di persone provenienti dalle varie realtà presenti in piazza e accompagnata da una breve testimonianza di ciascuno sul proprio incontro col Risorto, incontro vivo (e possibile) ancora oggi. È questo il centro del messaggio che stasera l’Arcivescovo vuole che arrivi a noi e alla città: «Non ci aspettiamo gli applausi della città, ma sentiamo la responsabilità di dire alla città che davvero il Signore è risorto».
La veglia prosegue. Il tema è “Senza indugio”, ripreso dal passo del Vangelo di Luca che racconta dell’incontro col Risorto dei discepoli di Emmaus. Tutti, si chiede l’Arcivescovo, avranno reagito allo stesso modo di Cleopa e del suo amico vedendo Gesù spezzare il pane? No di certo: ci saranno stati, continua, gli esitanti, i timidi, gli indaffarati, che avranno anteposto altro al partire senza indugio. Si rivolge certamente alla città, ma si rivolge anche a me, descrivendo lo stesso nichilismo che descrive Carrón, che antepone la propria interpretazione al fatto che ha davanti.
«Guarire i timidi, gli indaffarati, gli esitanti», ecco l’unico compito che l’Arcivescovo ci affida. Ma come guarire i timidi? «L’amicizia affidabile, la fraternità incoraggiante, la comunità che si raduna nel nome del Signore guarisce […] il timido e quelli come lui». E come guarire gli indaffarati? «Praticate e proponete una sosta, programmate il silenzio, invitate all’adorazione». L’omelia si conclude sui più difficili da guarire, gli esitanti, che non si lasciano convincere: come guarirli? «Io non conosco altra terapia che l’irradiazione della gioia, quell’intima esultanza che vince lo scetticismo non perché lo mette in discussione, ma raggiungendolo con il desiderio di rendere contenti gli altri».

La veglia si conclude con l’adorazione eucaristica e la consegna della regola di vita all’Arcivescovo, accompagnata dalla lettura di alcuni pensieri di Carlo Acutis (il giovane morto a 15 anni e che il 10 ottobre sarà proclamato beato). Una settimana dopo la Giornata d’inizio anno del movimento, anche in piazza Duomo l’invito che mi viene rivolto è uno solo: disponibilità a guardare e seguire il Signore Risorto. «Chi accetta di seguirLo, divenendo figlio, si sorprenderà della novità di vita che inizia ad accadere nella sua vita».

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Tale novità di vita è già visibile nel gesto semplice di chi, dopo la Veglia, si inginocchia a raccogliere tutti i segnaposti di carta per lasciare la piazza più pulita, gesto che lascia sbalorditi i passanti. Poi a gruppetti ci si allontana, chi torna a casa, chi a bere una birra. Negli occhi quell’annuncio, «Il Signore è davvero risorto» e il desiderio solo di seguirLo.

Giacomo, Milano