L'incontro con Daría e la sua famiglia.

Cile. La caritativa in un anno di... grazia

Impossibile continuare a frequentare le detenute in carcere. Come non perdere quel gesto? Il racconto di un cammino, un passo alla volta, in cui Carolina e le sue amiche hanno scoperto «di cosa abbiamo davvero bisogno»

Ormai da anni, di sabato mattina, ci incontriamo fuori dal Penitenziario femminile di San Joaquín. Leggiamo un passo de Il senso della caritativa, recitiamo l’Angelus ed entriamo. Controlli, e diversi cancelli che si richiudono alle nostre spalle fino a raggiungere il “Blocco 1” dove ci aspettano le nostre care amiche. Ognuna con la sua storia, il suo dolore e la sua speranza. E sono tanti i volti che abbiamo conosciuto “dentro”: Cony, Cecilia, Marcia, Peca, Nacho, Daría e molti altri. L’arrivo della pandemia, a metà marzo, ci ha impedito di incontrarli di nuovo.

Piene di aspettativa e con la domanda su come avremmo continuato quest’anno, è arrivato inaspettatamente, da parte dei nostri responsabili del movimento, un invito che metteva a tema la caritativa come punto centrale della nostra esperienza, la mancanza di lavoro causata dall’esplosione sociale nel nostro Paese nell’ottobre 2019 e l’arrivo della pandemia. Cosa ci ha spinto a continuare a fare questa esperienza in questi anni? Ascoltando le esperienze di ciascuno, risultava evidente che «la cosa più preziosa della caritativa è che è sempre una costante educazione alla gratuità».

Lasciandoci provocare da questo suggerimento, è nato tra noi, Elena, Claudia, Patricia, Alessandra, Paola e Sandra, il desiderio di ritrovarci insieme ogni due settimane in forma virtuale, accompagnate da don Simone Gulmini, sacerdote della Fraternità di San Carlo Borromeo e da alcuni amici di altre caritative. La sfida era evidente, le domande che Carrón poneva nella sua lettera sulla pandemia del 12 marzo 2020, diretta al movimento di CL, erano chiare: «Come accompagnarci in questa situazione tanto difficile? Di quale compagnia abbiamo veramente bisogno?». Così, abbiamo cominciato a lavorare su Il senso della caritativa di don Giussani, riprendendo in parallelo le testimonianze dei detenuti del carcere di Padova citate nella Via Crucis di papa Francesco di quest’anno. Il frutto di questi incontri è stato un vero dono e l’amicizia tra di noi è diventata sempre più radicale.

Proseguendo con il racconto di quest’anno, il primo passo della nostra libertà è stato quello di chiedere alla Cappellana della Pastorale penitenziaria, suor Nelly León, della Congregazione del Buon Pastore, quali fossero le necessità delle detenute legate alla pandemia.

Ciò di cui c'era maggiormente bisogno, ci ha detto, era di raccogliere articoli per l’igiene personale, caramelle e dolciumi, per sostenere tante detenute preoccupate e angosciate di non poter ricevere visite, di non vedere i propri figli e la famiglia. Detto ciò, abbiamo avviato una campagna attraverso i nostri amici e colleghi. Uno di loro, sorpreso da ciò che stavamo facendo, non smetteva di ringraziarci per avergli permesso di contribuire ad aiutare le nostre amiche.

Un altro fatto che è successo è che con alcune detenute che hanno scontato la loro pena, abbiamo potuto continuare a mantenere un rapporto di amicizia fuori dal carcere, come nel caso di Cecilia, cilena, e di Aurora, boliviana: nel loro tentativo di ricostruirsi una vita lontana dai traffici di droga, si sono lasciate accompagnare dall’amicizia di Sandra, che, tra le altre cose, le ha anche aiutate a ripulire la loro fedina penale e ha accompagnato Cecilia, epilettica, alle visite mediche.

Infine, un ultimo frutto della grazia di quest’anno: Daría, altra amica di nazionalità boliviana che avevamo incontrato “dentro” e che era stata rilasciata tre anni fa. Aveva deciso di restare in Cile e di mettere su famiglia, portando alla nascita di Alaia, che significa “gioia”. All’inizio di agosto ci ha chiesto aiuto con un messaggio su WhatsApp. Il suo compagno, Jaime, era rimasto senza lavoro, nel settore edile, a causa della pandemia, e il mestiere di sarta che lei aveva imparato in prigione non era sufficiente a coprire le spese che una neonata richiede. Avevano bisogno di pannolini, di latte speciale per bambini e cibo. E così, chiedendoci ancora una volta come potevamo aiutarli, in meno di due settimane siamo riuscite nuovamente, grazie alla generosità di tanti nostri amici, a procurare ciò di cui avevano bisogno. Ma l’avventura non è finita qui. Domenica 30 agosto, con Alessandra e don Simone, siamo partiti la mattina presto, con tutte le autorizzazioni sanitarie necessarie, per recarci a Viña del Mar a consegnare gli aiuti. Là, Daría, Jaime e la loro bambina ci stavano aspettando. È stato un bellissimo incontro. Siamo andati presso un belvedere: il cielo e il mare, di un blu intenso, rispecchiavano la “Bellezza” di quell’incontro che ci ha permesso di condividere con loro i bisogni, la loro vita.

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Al ritorno eravamo felici, il nostro cuore traboccava di gioia. Mentre entravo in casa è arrivato un altro WhatsApp di Daría: «Vi ringrazio con tutto il cuore per ciò che avete fatto per la nostra famiglia». Ancora una volta si facevano carne le parole di Carrón, che nella stessa lettera, citando don Giussani, diceva: «L’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere sempre intensamente il reale. Vivere la vita come vocazione significa tendere al Mistero attraverso le circostanze in cui il Signore ci fa passare, rispondendo ad esse». Questo è ciò che ci fa interessare veramente agli altri, ciò che ci strappa dal nulla e ci fa capire che la pandemia non è stata un impedimento per continuare a vivere la caritativa, facendoci comprendere ciò che dice Il senso della caritativa: «A noi non interessa tanto la molteplicità di attività che dedichiamo alla caritativa… Ci interessa la crescita nella nostra vita della capacità di condividere, la maturazione nella nostra coscienza del valore di condividere il nostro essere con gli altri. Quanto più noi viviamo questa esigenza, tanto più realizziamo noi stessi»

Carolina, Santiago del Cile