Foto Unsplash/Nick Hillier

«Che Natale è senza Sergio?»

Il bar chiuso, con le casse vuote. L'aiuto della parrocchia e degli amici, per la spesa e le bollette. E l'accoglienza in casa propria di chi sta peggio. Così Marco racconta un incontro che cambia lo sguardo

Io ho un bar. Il lavoro non va come dovrebbe andare, come per tanti. Ma io sto benissimo, rispetto a quello che è successo in questi mesi. Da marzo a maggio siamo stati chiusi. Un giorno mi telefona il mio parroco e mi dice: «So che non stai lavorando. So che non ti mancano i soldi per fare la spesa, ma quelli tienili da parte per pagare le bollette o altro. Vieni da noi in parrocchia, senza vergognarti, e ti diamo dei pacchi alimentari». Ogni settimana mi chiamava e andavo a prendere la spesa. È una cosa che loro fanno tutto l’anno per le persone bisognose. Nello stesso periodo, alcuni amici mi hanno aiutato per pagare le spese condominiali, perché se i soldi non arrivano dalla cassa del bar non abbiamo altre entrate. Quando abbiamo riaperto, anche solo per l’asporto, sono andato dal parroco e gli ho detto quello che desideravo: «Quando le famiglie vengono a prendere il cibo, dopo falle passare al bar e gli offro qualcosa di caldo, perché inizia a fare freddo». Hanno iniziato a venire.

Sergio è un cliente del bar che ho conosciuto chiacchierando ogni tanto. Si è trovato in difficoltà all’improvviso perché non è più stato in grado di pagare l’affitto: da un giorno all’altro, ha dovuto lasciare il suo monolocale senza sapere dove andare. Quel giorno l’ho invitato a cena, ma gli ho spiegato che non potevo ospitarlo per la notte, perché ho due figli in casa e non abbiamo il posto. Quando abbiamo finito di mangiare, i miei figli mi hanno chiamato in disparte per dirmi che avrebbero dormito insieme, così Sergio poteva dormire da noi. Poi, con altri amici, lo abbiamo aiutato a trovare una sistemazione, anche se molto precaria. Però ha una brandina.

Da due mesi viene sempre a cena da noi e sta nascendo un’amicizia molto bella. La cosa commovente è che i miei amici della Scuola di comunità mi danno un contributo per aiutarmi nelle spese e così possiamo prendere la carne rossa per Sergio, perché noi prendiamo sempre tacchino o pollo. L’altra sera, a tavola, mia figlia mi ha chiesto se l’altra nostra figlia, che vive fuori casa, sarebbe venuta per Natale. Le ho detto di sì. E lei: «Allora manca una sedia». Sergio subito ha detto: «No, no, io non vengo. È la festa della vostra famiglia». E mia figlia: «No, tu vieni». Poi mi ha guardato: «Papà, che Natale è senza Sergio?». Io ho pensato: che Natale è senza affermare un incontro?

Ma ho imparato anche che il “problema” non è Sergio. Sono io, come vivo tutto. Non ho mai capito quando sentivo dire che «occorre stare di fronte alla realtà». Ora inizio a capire, perché al posto di guardare l’incertezza del futuro guardo la certezza del presente, che Dio ci ama.

LEGGI ANCHE Il centuplo, tra Filosofia e trattori

Ieri sono venuti al bar alcuni amici inaspettati e gli ho chiesto come mai passavano di lì. Erano venuti a trovare me. Mi hanno riempito il cuore. Dopo, ne sono venuti altri due che portano un grande dolore, eppure hanno trovato il tempo per venire a trovare me. Quando sono andati via dal bar avrei voluto abbracciarli. Non si può, ma le cose più belle basta guardarle.

Marco, Milano