Foto Unsplash/Fusion Medical Animation

«Qual è il mio contributo al mondo?»

Il Covid, il lavoro nelle migliori università d'Oltremanica, la scoperta della "variante inglese". Alessandro, ricercatore, racconta degli ultimi mesi di pandemia. E di qualcosa che ha a che fare con il gusto della vita...

Questi mesi di pandemia sono stati un grande periodo per riscoprire che “io sono” perché sono in dialogo con Qualcuno. Vorrei provare a descrivere questo dialogo in pochi fatti molto semplici che mi sono accaduti, legati al mio lavoro.

Mesi fa, quando la pandemia era appena iniziata, colpito dalla testimonianza di tanti amici, in prima linea e non, e dall’impressionante solidarietà di molti, ho sentito anch’io un profondo desiderio di contribuire. Dopo qualche giorno, all’Università stavano reclutando scienziati per eseguire dei test al Milton Keynes, uno dei laboratori dove vengono inviati i tamponi per il test molecolare (per la rilevazione alla positività al Covid-19) . Ho subito parlato con tutti i miei colleghi e sono riuscito a convincere la maggior parte di loro a venire con me. Mancava solo una persona, probabilmente la più importante: il mio capo. L’ho chiamato, certo che mi avrebbe lasciato andare. Quale miglior modo di usare il nostro tempo?

Le sue parole sono state chiare, indiscutibili e in un certo senso illuminanti: «No, se vuoi aiutare, devi farlo partendo da quello che sai fare, devi cercare di usare le tue capacità e quello che hai imparato finora, e lasciare i test a chi sa farli». Inizialmente ho cercato di ribellarmi dicendo qualcosa come «il nostro lavoro non è più nobile di quello tecnico». Ma non c’è stato modo di fargli cambiare idea, e onestamente ora, pensandoci bene, credo che il suo realismo alla fine sia stato giusto.

Ma ciò che mi ha colpito di più è stato il fatto che ho ricominciato a chiedermi qual sia il mio contributo al mondo. Mi sono reso conto con commozione di una cosa: «Sono passati secoli dall’ultima volta che ho affrontato questa domanda». Era una domanda vera, e non stavo proprio cercando di diventare il salvatore del pianeta. Era una evidenza, io non ero in grado di salvarmi nemmeno per un istante, mi trovavo ad affrontare circostanze difficili come tutti: l’isolamento, l’incertezza, il sacrificio di non poter vedere gli amici. Immagino come chiunque, ho sperimentato tutta la mia incapacità di cambiare la situazione. Non so se il mio capo intendesse davvero quello che ha detto. È probabile che volesse solo che io non mi “distraessi”. La realtà è che, subito dopo quella chiamata, ho iniziato un percorso, un percorso personale per riscoprire tutta la mia umanità e quella domanda sul mio contributo. A volte, urlando contro Dio, ma stranamente in pace. Un percorso legato anche al mio mestiere, cominciando a cercare un altro lavoro per studiare concretamente il Covid. E non credo che questo abbia reso felice il mio capo, soprattutto perché è stato lui il motivo per cui ho iniziato tutto questo processo.

Dopo qualche settimana, in giugno, mi sono imbattuto nell’annuncio di un’altra università che si occupava del Covid e delle sue mutazioni. Ho deciso di fare domanda, mentre tra me e me pensavo: «Dio, se vuoi che contribuisca, anche se è un piccolo contributo, sono disponibile, sia fatta la Tua volontà». Ho ottenuto il lavoro ed ero al settimo cielo, ma non era affatto come immaginavo. Questo virus è davvero qualcosa di diverso da ciò che abbiamo studiato sinora. Il lavoro è stato travolgente, tante ore “sul pezzo”, ma quello che posso dire è che ora sono dominato ancora di più dalla gioia di imparare. Ogni giorno ricordavo a me stesso che era Qualcun altro che mi voleva lì e che mi dava il gusto per quello che stavo facendo.

Dopo due mesi il mio gruppo ha scoperto la ormai nota “variante inglese”. Abbiamo capito subito che si trattava di qualcosa di molto importante, con enormi implicazioni come per esempio la cancellazione di tutti i voli per l’Italia, che mi ha costretto a rimanere da solo per Natale. Ma in quel momento il mio unico pensiero è tornato a quel «Dio, se vuoi che contribuisca, anche se è un piccolo contributo, sono disponibile, sia fatta la Tua volontà». Credo che “la Tua volontà” sia la cosa più interessante. Dio è davvero capace di tutto.

LEGGI ANCHE Usa. Father John e il "drive through"

So che la mia disponibilità non è perfetta, so che spesso sono incline a essere disponibile a qualcosa solo quando corrisponde a ciò che ho già in mente. So che la coscienza che ho raggiunto riguardo al mio contributo al mondo è su una linea molto sottile, e potrebbe facilmente diventare la punta dell’iceberg del mio egoismo. Ma quanto è diverso quando parto da Qualcun altro invece che da me. Ho riletto recentemente il dramma Brand di Ibsen. Mi ha sempre colpito il grido finale del pastore Brand: «Rispondimi, o Dio, nell’ora in cui la morte m’inghiotte: non è dunque sufficiente tutta la volontà di un uomo per conseguire una sola parte di salvezza?». Don Giussani dice che a quel grido risponde l’umile positività di santa Teresa di Gesù Bambino, che scrive: «Quando sono caritatevole è solo Gesù che agisce in me». Io sono lontano mille miglia da questo. A dire il vero, credo che si possa dire la stessa cosa per il gusto della vita. Non posso darmelo da solo. Posso cercarlo, posso desiderarlo, posso implorarlo, ma dipende da Lui, non dal mio sforzo.

Alessandro, Nottingham (Gran Bretagna)