La chiesa di Eastleigh

La punta di un iceberg di domande

Una ventenne conosciuta a Messa in una parrocchia della campagna inglese. L'invito a un incontro. Poi un coinvolgimento sulle cose semplici della vita. Il racconto di don Luca della Fraternità San Carlo

Ho incontrato Chiara la prima volta poco più di tre anni fa. Il vescovo Philip Egan ci aveva appena affidato la cura di una parrocchia della campagna inglese dove tutt’ora abitiamo, tre preti della Fraternità san Carlo (Raffaele, Marco ed io) e un seminarista (Andrew).
I primi mesi ci limitavamo a salutarci dopo Messa, con quel fare caratteristico di chi ha fretta di andare a fare altro, ma al tempo stesso non vuol essere sgarbato. Poi il Covid. Per qualche mese siamo costretti a tenere le nostre chiese chiuse e quindi io e Chiara ci perdiamo di vista. Qualche mese fa la rivedo a Messa. È seduta in un angolo, con i suoi nonni. I suoi genitori e i suoi fratelli non vengono più oramai da tanti anni. Dentro di me mi domando: cosa ci fa qui? cosa starà cercando? Chiara ha vent’anni ed è la sola della sua età che frequenta quella chiesa. Mi avvicino prima di andare in sacrestia e la saluto. Scambiamo due parole attraverso le mascherine. Non mi ricordo cosa ci siamo detti, ma una cosa me la ricordo: i suoi occhi. Belli, tondi e aperti, quasi un punto interrogativo che ho sentito mi interpellava. Ma è tardi e la Messa deve cominciare.

Dopo la celebrazione vado a cercarla, non voglio far finta di non aver visto quello spiraglio di domanda in lei. La invito agli incontri di GS che facciamo in parrocchia il venerdì sera con una decina di ragazzi delle superiori. A rischiare un invito non si sbaglia mai. D’altronde Dio non fa così con noi, noncurante di tutti i nostri “no”? Il venerdì seguente – con mia grande sorpresa – eccola lì. I nostri incontri cominciano sempre con una cena e terminano con una conversazione intorno a un testo significativo con l’aiuto di alcune domande. Qui in Inghilterra i ragazzi parlano durante gli incontri se si tratta di un “dibattito”. Sono educati così a scuola. Ma quando si tratta di parlare di sé – come tutti, anche me – non è facile.

Durante la cena Chiara si mette in disparte e non mangia. Dopo un po’ mi avvicino e le chiedo cosa c’è che non va. Mi guarda e mi dice con una voce sottile, senza troppa convinzione: «In realtà ho già mangiato». «Qual è la cosa che ti piace mangiare più di tutte?», le chiedo. «Impazzisco per il gelato». «Aspetta qui». Corro in casa nostra, apro il frigorifero e per fortuna avevamo ancora una coppetta di gelato avanzata dalla sera prima. Torno da Chiara e gliela metto davanti. In meno di un minuto è finita!
Dopo qualche istante cominciamo l’incontro. Chiara non parla, mi sembra a disagio. Infatti tempo dieci minuti e si alza da tavola, fa un cenno con la mano ed esce dalla sala. «Ragazzi, andate avanti voi». Mi alzo e la seguo. Per fortuna sono ancora in tempo per raggiungerla. Non le chiedo nulla, faccio solo il suo nome. Lei si gira e mi dice: «Come si fa a perdonare?». Un fulmine a ciel sereno. Non me l’aspettavo. Comincio a raccontarle quanto sia importante per me la confessione, che l’unico modo per imparare a perdonare è anzitutto lasciarsi perdonare.. Lei mi dice: «Non credo di essere mai andata a confessarmi». Continuo a raccontarle di me, dicendole della gioia che provo ogni volta che vado a confessarmi.

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Passano alcuni mesi. Chiara ha cominciato a venire regolarmente ai nostri incontri. A cena è sempre più disinvolta, anche se parla solo con me e un’altra ragazza che è diventata la sua migliore amica. Agli incontri è sempre in imbarazzo e non parla, ma ora sta fino alla fine. Tre mesi fa mi dice: «Posso venire a trovarvi anche altre volte oltre al venerdì sera?». Le dico che basta che ci avvisi prima… Così a volte il giovedì a volte il mercoledì Chiara suona il campanello di casa nostra e ci prendiamo un te insieme agli altri preti della casa. Lei racconta della sua giornata, si fa qualche battuta…
Due settimane fa mi manda un messaggio: «Hai tempo mercoledì prossimo? Ma solo io e te». Fissiamo un appuntamento. Suona il campanello, apro la porta e mi dice: «Sono qui per confessarmi».
Spesso oggi si sente dire che i giovani non attendono più Cristo. La storia di Chiara mi insegna che non così. Non è che oggi la gente non attenda Cristo, ma esprime questa attesa attraverso linguaggi diversi da quelli a cui eravamo abituati, parole e gesti che possono sembrare banali, ma che in realtà sono solo la punta di un iceberg di domande che covano dentro il cuore. Le stesse che ho io. Ed è nella condivisione di questa apparente banalità che già una strada si apre, sulla quale attendere insieme Colui che è venuto e viene per perdonarci.

don Luca, Eastleigh (Regno Unito)