Serata di festa al Campus By Night di Bologna

Bologna. Da una storia, un metodo

Tre giorni di mostre, spettacoli, incontri. Di maltempo e sorprese. Il Campus By Night, costruito dagli universitari, per condividere con tutti una domanda: «Vale la pena dare spazio al grido di felicità che abbiamo dentro?»

Essendo la preparazione del Campus By Night molto lunga, i tre giorni erano carichi di attesa. Nella nostra immagine, in particolare, pensavamo che dovesse esserci bel tempo. Ci dicevamo: «Tutto dovrebbe andare bene, abbiamo pregato, abbiamo affidato alla Madonna di San Luca, c’è addirittura chi ha fatto dei voti…». Invece, ad eccezione dell’ultima sera, ha sempre piovuto, anche peggio di come prevedeva il meteo. Spesso, durante la giornata, era tanta la afflizione che ci ritrovavamo addosso. Tanta fatica per niente. Addirittura, alcuni dei nostri compagni di corso tentennavano a venire all’evento causa pioggia. Questo fatto, guardato con lealtà, è stata la continua possibilità di una conversione. Quando eravamo affranti, accadeva puntualmente un fatto. Poteva essere lo sguardo contento di un volontario, oppure un compagno di corso che, a partire dalla mostra che raccontava il rapporto tra successo e compimento al giorno d’oggi, esclamava: «Pensavo di farmele solo io certe domande», o ancora l’ospite Fabio Cantelli (scrittore e vicepresidente del Gruppo Abele) che, al termine di un incontro, ha ripreso il microfono dicendo: «Guardando voi vedo la speranza».

Campus By Night 2022, un incontro.

Questi fatti ci restituivano la coscienza che ciò che avevamo davanti agli occhi, ovvero presenze trasformate da un incontro, erano di gran lunga più affascinanti e vere dei nostri progetti, bel tempo incluso. Questo ha convertito il nostro sguardo quotidianamente e ci ha permesso di non affossarci sul pensiero che, nonostante i nostri sforzi, pioveva. Finiti questi tre giorni, quello che rimane è un metodo: imbattersi in presenze vive che mi tolgono dalla mia misura. È per questo che possiamo dire che il Campus continua, perché quello che abbiamo scoperto è un metodo. Il metodo è una strada, e che piova o ci sia il sole, la strada rimane. Al tempo stesso, si è reso evidente che il Campus non è nostro, il campus è di una storia. O meglio è di una storia la novità che noi siamo e portiamo, il modo in cui guardiamo.
Matteo e Pietro, Bologna


Qui alcuni brani di quello che ha detto Matteo, studente di Economia, all’inaugurazione del Campus

«Sei felice in questo mondo?». È possibile essere felici adesso? O meglio, è possibile essere veramente felici adesso senza spostare la questione a un domani incognito? Questa provocazione ha preso spessore durante i mesi di preparazione. Da una parte gli strascichi della pandemia, sia psicologici che economici, dall’altra il nuovo scenario europeo ci hanno messo alla prova. Vedere le immagini trasmesse dai telegiornali da due mesi a questa parte sulla situazione Ucraina fa crescere un senso di ingiustizia e di paura. Che felicità può esserci in un mondo minacciato dalla guerra? Cos’è che rende l’uomo felice? Ma ha senso farsi tutte queste domande?
Vale la pena dare spazio al grido di felicità che abbiamo dentro? Si potrebbe dire che è la cosa più sensata. E d’altronde non esiste risposta a una domanda che non si pone. Solo chi si pone la domanda può intercettare un barlume di risposta se e quando si presenta. Probabilmente sarebbe più comodo evitare di porsi certe questioni. Si possono cercare continue distrazioni, ma rimane sempre l’amaro di una vita vissuta per qualcosa di meno di quel che in fondo si desidera. Questa situazione riguarda tutti, perché tutti vogliamo essere felici, in fondo. D’altronde se non si è mai vissuto qualcosa di più attrattivo come biasimare le tante scene forsennate di cui vediamo i risultati nelle nostre strade di Bologna? Quando vince la fatica e non si ha nessuno con cui condividere le domande più intime e vere è facile cercare un rimedio nella vuota distrazione.
Il Campus è un’iniziativa, un luogo in cui le domande sono benvenute e attraverso cui vorremmo dire, alla comunità accademica, ai professori, ai compagni di corso e alla città, che vale la pena guardarle. Abbiamo provato a farlo anzitutto noi volontari in questi lunghi e intensi mesi di preparazione. Un amico, parlando con noi, ci ha detto: «Per voi il Campus è già iniziato». Perciò ogni proposta culturale si è sviluppata assecondando l’interesse di uno, poi raccolto da altri. Così è stato per la mostra sul successo: che cosa accade dopo aver raggiunto il sogno più grande della tua vita? O che cosa ci rimane della felicità di un esame andato bene? Questo è quello che si sono chiesti i curatori della mostra “E con questo?” La sfida del successo. Allo stesso modo, altre domande sono sorte di fronte al tema della guerra e ad ogni offesa alla libertà: che cosa rende l’uomo libero? Può un uomo essere felice senza sapere quando potrà rivedere casa sua o i suoi familiari? Infine, di fronte alle provocazioni della pandemia che ci ha tolto la quotidianità di tanti rapporti: chi è l’altro? Quale è il valore del rapporto conl’altro?
Qualcuno potrebbe credere che non esista risposta a queste domande e che non valga la pena porsele. La vita sembra fatta solo di sofferenze e fatica. Ma di fronte a certi volti, al modo in cui vivono ogni istante, si vede che c’è qualcosa per cui vale la pena spendersi. Allora alla domanda del titolo non possiamo rispondere con un secco “no”. È un insieme di persone vive, e che desiderano essere vive, ad aver sostenuto la costruzione del Campus. Quello che abbiamo scoperto, e che racconteremo in questi giorni, vogliamo condividerlo con tutti, come espressione della simpatia e dell’interesse per il destino di ciascuno.