La ministra Cartabia all'incontro. Milano, 20 maggio 2022 (©Portofranco)

Portofranco. Un'idea di giustizia

L'incontro tra la ministra Marta Cartabia e alcuni studenti delle superiori, raccontato da una di loro. È accaduto qualche giorno fa al Centro di aiuto allo studio milanese

Che cos’è la giustizia? Che cosa vi immaginate al sentire questa parola? Vi viene in mente almeno un episodio in cui vi è sorta dal profondo l’affermazione «non è giusto»? Queste sono alcune delle domande con cui la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha interpellato noi ragazzi all’inizio del suo incontro a Portofranco riguardo al tema “Un’idea di giustizia”.

Fin da queste prime battute si è percepito un aspetto che è emerso poi nello sviluppo del tema specifico della giustizia riparativa: l’umanità. Questa umanità non solo è stata dimostrata nell’atteggiamento della ministra verso di noi, ma è stata da lei stessa proposta come via percorribile per affrontare al meglio qualsiasi tipo di ingiustizia, piccola o grande che sia.

La giustizia riparativa, su cui tra l’altro sta lavorando, trova la sua forza, come ha spiegato, nel saper rispondere ad un bisogno proprio dell’uomo. Infatti, il senso di ingiustizia è qualcosa con cui chiunque deve misurarsi continuamente e che spesso provoca istintivamente sentimenti oscuri di reazione, che si cercano di sanare con la vendetta prima e con l’istituzione di un giudice imparziale poi. Tuttavia, le esigenze di una vittima non sono riducibili solo alla necessità di stabilire le colpe e quindi la punizione, per quanto esse siano indispensabili, perché le sue domande non possono essere messe a tacere nemmeno con una sentenza. Ed è proprio a questo che si tenta di rispondere, dando la possibilità di ottenere una riconciliazione, che è la condizione necessaria per poter superare l’accaduto e guardare oltre. In questo modo può avvenire la ricostruzione del rapporto che si è rotto nel momento dell’ingiustizia, dato che, come ha detto la Cartabia, «un’ingiustizia è una bomba lanciata sul tessuto sociale», e può spalancarsi una prospettiva nuova.

Mi ha molto colpita la sottolineatura sull’imprevedibilità di un percorso di giustizia riparativa. Infatti, non esiste un protocollo da seguire, perché dipende tutto dalla libertà di chi è coinvolto e dalle sue reazioni personali. In particolare, è fondamentale la presa di coscienza del colpevole, che può decidere o meno di riconoscere il male perpetrato. Questo dimostra quanto tutto il processo abbia al centro la persona, che viene guardata senza la volontà di rinchiuderla in uno schema.

LEGGI ANCHE Silvia Avallone. Nelle vite degli altri

Mi ha stupito come la Cartabia abbia raccontato di esperienze reali, di persone che lei ha conosciuto, che testimoniano quanto questa modalità di fare giustizia sia la più completa. Altro fatto che mi ha stupito sono state le risposte alla fila di domande di noi ragazzi che si sono susseguite. Chi ha chiesto se il metodo della giustizia riparativa è valido anche per i reati di mafia; chi ha raccontato di una propria vicenda personale; chi ha domandato il rapporto tra fede e giustizia. Infine come mai lei ha scelto Giurisprudenza. La Cartabia ha sempre risposto portando esperienze anche della sua vita personale. Come quando ha raccontato che alle superiori aveva ingaggiato una “battaglia” con il preside della sua scuola per un’ingiustizia che a suo avviso era stata fatta a un suo compagno di classe. «Dopo ho capito che non era andata come io pensavo, ma sentivo forte il sentimento della giustizia», ha detto. «Poi, iniziando l’università mi sono imbattuta nell’aridità dei codici da studiare». Lo studio le ha fatto comprendere la complessità e anche la grandiosità delle leggi, che sono sempre soggette a revisione, perché è un continuo cammino di avvicinamento alla Giustizia. Quella con la maiuscola.
Silvia, Milano