L'esibizione del Coro Internazionale San Nicola in Turchia (foto: Lucia Mazzotti)

Le due scie dietro il veliero

Il Coro Internazionale San Nicola, formato da italiani, russi e ucraini, è approdato in Turchia per un pellegrinaggio ad Antalya ed Efeso. Un'occasione di incontro e testimonianza. Attraverso il linguaggio universale della musica

Partecipo al Coro Internazionale San Nicola, formato da italiani, russi e ucraini. Posso dire che in questi anni, il coro, sia attraverso momenti di preghiera comune sia con concerti in Italia e all’estero, è stato la testimonianza dell’unità tra cattolici e ortodossi. E l’amicizia con i coristi ortodossi resiste anche agli scossoni della storia presente, perché ha radici chiare e profonde.
A giugno, in occasione del decennale abbiamo fatto un pellegrinaggio in Turchia, la terra di san Nicola. Siamo tornati a casa felici per la grande esperienza di unità, fra noi e con tutti quelli che abbiamo contattato, dalle guide turche che ci accompagnavano, ai cristiani che abbiamo potuto incontrare. L’unica parola adeguata è comunione: esperienza rara e sorprendente, che ci ricolma di gratitudine.

Il nostro amico Paolo, ex giessino che ho rivisto dopo circa quarant’anni di lontananza, e vive in Turchia, ha percorso in moto mille chilometri per partecipare ad alcuni nostri appuntamenti, in Antalya ed Efeso. Alla fine ci ha scritto questo: «Il coro è come un grande veliero che ha attraversato un mare incognito lasciando dietro di sé due scie: la commozione dell'arte del canto e la testimonianza di una comunità di fedeli». Vorrei citare solo due momenti speciali, oltre al concerto di musica sacra nell’auditorium dell’università di un Paese musulmano.

Uno è la visita nella Basilica di San Nicola a Myra. Ci siamo alzati alle 4,30 del mattino per essere certi di arrivare prima dei turisti. È stato un incanto: il luogo, nonostante le offese del tempo, è quasi intatto. Con un po’ di coraggio abbiamo cantato. Innanzitutto, un nostro inno dedicato al santo, su un testo medievale rinvenuto nella cattedrale di Rimini (città in cui è custodita una sua importante reliquia), poi la versione in italiano dell’antichissimo inno Akàthistos, che racconta la storia di san Nicola. Abbiamo deposto ai piedi della sua statua i fiori che ci erano stati donati dopo il concerto nell’università.

L’altro momento, è la visita alla Casa di Maria in Efeso. Abbiamo celebrato la messa a pochi metri di distanza, uniti come non mai e certi dell’origine della nostra unità.
Alcuni incontri molto belli hanno rafforzato la coscienza di quello che stavamo vivendo: quello con la piccola comunità cattolica di Antalya, guidata da padre Ludger, tedesco che ha avuto la bontà di celebrare e predicare anche in inglese, così che potessimo capire e ci ha fatto cantare nella piccola processione del Corpus Domini nella sua parrocchia; con il francescano rumeno padre Robert, custode della Santa Casa in Efeso; con il vescovo cattolico di Istanbul, monsignor Massimiliano Palinuro, che ci ha accolti nella sua chiesa del Sacro Cuore come figli e coinvolti nella festa per il Battesimo di tre catecumeni adulti, ai quali abbiamo dedicato il Vjeruju, il Credo, in lingua paleoslava, poderosamente declamato da padre Dmitry, che con don Gioacchino Vaccarini, francescano, e l’igumeno Siluan Tumanov venuto da San Pietroburgo, ci hanno accompagnato nel pellegrinaggio.

LEGGI ANCHE – Taiwan. Un padre, la domanda, la strada

Infine, abbiamo partecipato, anche con il canto, alla Messa del Corpus Domini nella parrocchia dedicata a Nostra Signora dell’Assunzione, frequentata dalle nostre amiche del movimento Federica e Ahinoa.
Come dice il salmo 132: «Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme».

Marina, Rimini