Il primissimo incontro con il movimento lo ebbi al Politecnico di Napoli quando fui avvicinato dai ragazzi di CL che accoglievano le matricole per l’orientamento. Allora ero molto ideologizzato e li liquidai con lo slogan allora in voga: «Siete integralisti!».
Capita poi che la vita ti mette davanti a delle scelte da fare per le persone a te più care: il figlio tanto desiderato, nato dopo circa nove anni di matrimonio. Arriva il tempo della scelta della scuola primaria per Gianluca. A Rescaldina ci sono due scuole primarie pubbliche, una tradizionale e un’altra che mi dicevano essere all’avanguardia, che adottava un progetto sperimentale. Naturalmente il capo d’opinioni tra favorevoli e contrari si divideva equamente.

Un pomeriggio, a casa mia, prendiamo un the con la mamma di un amichetto di Gianluca della scuola materna. Alla mia domanda dove pensa di iscrivere suo figlio alla scuola primaria, mi parla dell’Arca, già frequentata da un altro figliolo di poco più grande, del metodo educativo proposto. Per come sono fatto, mi precipito in libreria a comprare Il rischio educativo di don Giussani e dalla lettura mi si apre un mondo. Ma tutto ciò ancora non era sufficiente, tutto rimaneva ancora sul piano intellettuale, ci voleva qualcosa che mi com-muovesse. Al Tg3 regionale trasmettono il servizio sui funerali di don Giussani: la messa in Duomo, la piazza transennata e gremita da una marea di giovani tristi, sotto la pioggia, a porgergli l’ultimo saluto.

Davanti a quelle immagini tutto mi torna: mio figlio avrebbe dovuto conoscere e vivere quell’esperienza. Fisso un colloquio con la coordinatrice durante il quale mi presenta la scuola. Confesso che non mi importava nulla di quello che diceva; io avevo le idee già molto chiare, e guardando la foto di Giovanni Paolo II alle sue spalle, mi aspettavo che mi dicesse solo: «Sì, suo figlio lo possiamo prendere. C’è ancora posto». E così è stato.
Nell’esperienza scolastica di Gianluca mi sono sentito pienamente confermato dell’incontro della realtà educativa. Questa breve e doverosa premessa mi consente ora di dire quello che ho visto, vissuto e provato a Corvara, quest'anno, alla mia prima vacanza.

Sono grato a Luciano e Daniela, nella loro amicizia ho sempre percepito l’immagine concreta di testimoni autentici di una fede vissuta con coerenza, tra annuncio, parola e testimonianza di vita cristiana, e a tutti i presenti alla vacanzina con i quali ci siamo presentati e con quanti ci siamo salutati con uno ciao, uno sguardo, un sorriso.

È stata un’esperienza di senso molto intensa che mi ha lasciato una gioia nel cuore che non ho esitato a raccontare ad amici e parenti. Mai mi era capitato di svegliarmi alle cinque/sei del mattino e andare a letto a mezzanotte, senza essere stanco o annoiato. Ho partecipato a tutte le attività proposte, sentivo la “presuntuosa” esigenza di capire e ho com-preso.

Durante il rientro a casa, mi sono chiesto se meritassi tutto quel desiderio di bellezza che avevo sperimentato. Ho riflettuto che la bellezza è un’imperfezione: i disegni naturali di un tramonto, le forme di una catena montuosa, le onde del mare che si infrangono su una scogliera.
Ebbene, anche nelle incomprensioni che si sono verificate in quei giorni, ho visto la bellezza, il desiderio nascosto di volere per sé e per gli altri qualcosa di più bello o di recuperare qualcosa che un tempo era stato bello. Insomma, se fosse stato tutto perfetto, avrei potuto pensare che ci potesse essere della finzione, del mero ragionamento.

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Ho constatato la presenza di una comunità appassionata alla persona umana nella sua integralità e a tutta la realtà, desiderosa di bellezza, di persone in cammino, guidate da quel Testimone credibile che si è concretizzato nella storia e che ci conduce all’abbraccio con Lui. E ora tocca a me.
Rosario, Rescaldina (Milano)