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Un luogo in cui poter essere felici

Attirati dall'insolita confusione nel loro paesino, un sabato sera Emanuele e tre suoi amici si ritrovano tra decine di ragazzi di GS che festeggiano l'inizio del nuovo anno scolastico...

Un sabato di fine settembre decidiamo di proporre una serata di Gioventù Studentesca, per ricominciare insieme il cammino: troviamo un oratorio, in alta Brianza, a Cremnago, che abbia la cucina, così da poter preparare la cena per tutti, uno spazio ampio per i canti, una breve testimonianza e la Messa. Tutto è pronto, preparato quasi alla perfezione, siamo in 280 tra ragazzi e insegnanti, da tutta la Brianza. La cena è buonissima, gli amici che l’hanno cucinata, guidati da due prof e da uno studente del quinto anno dell’alberghiero, hanno dato il meglio di loro stessi e adesso, soddisfatti, tutti si danno da fare per rassettare la palestra e preparare le sedie per la serata di canti. Nel mezzo dei lavori, mi accorgo che dall’ingresso principale sono entrati tre ragazzi mai visti; certo in 280 è facile perdere il conto dei nuovi arrivati, ma di quei tre sono proprio sicura. Mi dirigo verso di loro, voglio incontrarli: «Ciao, come vi chiamate?». Mi rispondono presentandosi e uno di loro dice: «Sono Emanuele, studio all’agrario. Io e miei amici siamo di qui, ci troviamo ogni sabato in piazzetta, ma sai il paese è piccolissimo, sempre deserto, non succede mai nulla. Abbiamo sentito un po’ di confusione, il cancello dell’oratorio era aperto, abbiamo visto che c’era un sacco di gente e siamo entrati. Ma cosa state facendo? Chi siete? Tu come ti chiami?». Mi presento, provo a dire che siamo di Gioventù Studentesca, studenti e professori di molte scuole della Brianza, li invito a rimanere per la serata. Emanuele chiama un altro amico, e così, in quattro si fermano.

Li osservo seduti sugli spalti che cantano insieme ai ragazzi, ridono, guardano incuriositi, poi, verso la fine si alzano ed escono. Sgattaiolo verso la porta e li raggiungo: «Già ve ne andate?». Emanuele mi risponde: «Sì, abbiamo da fare. Però che strano vedere il sabato sera studenti e professori cantare insieme, normalmente si aspetta il fine settimana per chiudere con la scuola e stare lontano dai prof. E anche tutta questa gente felice mi impressiona… Grazie!». Lui ed i suoi amici spariscono nel buio della notte. Io rimango lì, in piedi: ho stampati in testa gli occhi di Emanuele, le sue parole, quell’incontro così strano e penso che non è scontato proprio nulla. Duecento ragazzi che il sabato sera decidono di partecipare ad una serata di GS, di lasciarsi coinvolgere nel preparare questo gesto, di cucinare, cantare, raccontare loro stessi, persino pulire il pavimento e passare lo straccio nei bagni alla fine della serata, sarebbero potuti andare da un’altra parte, finire per passare le loro serate come i loro coetanei nel resto del mondo. Che stupore, invece, che esista un luogo in cui qualcuno ti aspetta, e senza chiederti niente in cambio, ti dice che è possibile essere felici.

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Anche per Emanuele e i suoi amici, anche se non lo sapevano, anche per loro c’è questo luogo, perché in una serata qualsiasi di settembre, in una piazzetta sperduta sulle colline brianzole, potessero incontrare e vedere. Lo descrive bene don Giussani in uno dei video della mostra per il Centenario, che abbiamo visto insieme ai ragazzi, quando descrive gli sforzi, i tentativi nobili degli uomini, sulla grande pianura, per costruire ponti che permettano loro di raggiungere il Destino: «“Io sono la via, la verità e la vita”. Pensate che c’è stato un momento della storia in cui un uomo ha detto questo!». I gesti che nascono nell’alveo della nostra compagnia sono la possibilità perché questo possa riaccadere, per tutti i fratelli uomini: un dialogo profondissimo, appassionato tra il cuore di Dio e il povero cuore dell’uomo. Il cuore di Dio e il cuore di Emanuele.
Elena, Macherio (Monza e Brianza)