L'accoglienza di UniON al Castello del Valentino, a Torino

Torino. Quando l'università è "accesa"

Il Castello del Valentino ha ospitato UniON, una iniziativa degli studenti del Clu della città. "Stanze" da vivere, sport e dibattiti per «comunicare ciò che viviamo»

“UniON, un’università che accende”. A inizio ottobre abbiamo organizzato due giorni al Castello del Valentino, storica sede della Facoltà di Architettura, aperti a tutti gli universitari della città.
L’anno trascorso ha fatto emergere in noi il desiderio di comunicare a tutti i nostri amici e compagni di corso ciò che viviamo in università: per questo abbiamo costruito un evento per il 6 e 7 ottobre con incontri, una mostra, un’area sportiva (calcio e basket) e una di ristoro con la partecipazione dei giovani della scuola professionale Piazza dei Mestieri.

In particolare, la mostra dal titolo “Incompleti. Qualcosa in cui credere” è stata visitata da molti e non ha lasciato nessuno indifferente. «Volevamo portare a Torino una mostra che gli universitari di Firenze avevano creato, ma la loro provocazione è stata: “Fatene una voi con ciò che avete vissuto in questi mesi”. E lì è iniziato un gran lavoro», racconta Elena. Ad agosto, intorno a un tavolino del Meeting di Rimini, abbiamo messo in piedi i quattro punti fondamentali di ciò che volevamo esprimere: “Sei felice in questo mondo?”, “Smarrimento e disintegrazione”, “Camminare nella mancanza”, “La crepa e la luce”. Tre i linguaggi: testi (canzoni, articoli, libri...), audiovisivi (film, interviste) e spazi che ricreassero la esperienza di cui si parlava. Un esempio: «La terza stanza ha le fattezze della sala di un bar. Sui menù, immagini e frasi del tema in questione - “Camminare nella mancanza” -, perché è prendendo una birra con un amico che si tirano fuori sofferenze e ferite della vita». In tanti hanno camminato nelle “stanze” in quei due giorni: «Persone di tutti i tipi, molte si sono commosse o sono rimaste sbalordite, come avessero visto qualcosa di surreale che però aveva attinenza con le loro vite».

«Il pomeriggio del venerdì, cercando di risolvere problemi organizzativi, vado a parlare con una professoressa prima della sua lezione», racconta Chiara: «In quell’aula c’era un’amica che non vedevo da tempo. Mi viene subito da invitarla alla mostra. Lei mi liquida velocemente: “Con queste cose cattoliche non voglio avere niente a che fare”. Alla fine della lezione, però, mi chiama: “Vengo a vederla con alcuni compagni di corso”. Appena usciti dalla mostra, un’altra mi dice: “Chi l’avrebbe mai detto che camminando in queste “stanze” avrei messo in dubbio la mia esistenza”. Un ragazzo del gruppo, entrato bello scettico, alla fine mi chiede: “La mostra c’è anche domani? Voglio portare i miei amici”. E ancora un’altra: “Questa mostra è bellissima: dovete farla conoscere a tutti”». La sera, durante il concerto finale, la chiama un amico del liceo che aveva appena finito il percorso. Le dice: «Avete fatto una cosa gigante! Quando in un video, Rose [Busingye, ndr] parla dell’appartenenza a un luogo, ho pensato subito agli anni del liceo, dopo i quali mi sono un po’ perso… Ma con questa mostra mi sembra che, insieme a voi, io possa ripartire».

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Nei mesi di preparazione è stata fondamentale la collaborazione tra noi universitari e gli adulti della comunità di CL di Torino. «La nostra inesperienza nell’organizzare un evento così articolato, ci ha spinto a chiedere una mano ad alcune famiglie e Memores Domini: ci ha commosso la loro totale disponibilità», racconta Alessandro: «Un giorno durante la sessione, nel mezzo degli esami, mi sono trovato a fare diverse telefonate con alcuni ingegneri per sviluppare i piani di sicurezza dell’evento. Alla fine di una di queste videochiamate ero sconfortato: non solo venivo preso in giro da professionisti che vedevano in me solo uno studente inesperto, ma sembrava che nessuno fosse disposto ad aiutarci». Alessandro lascia l’aula studio e va nella scuola dove lavora un amico della comunità, Vincenzo: «Erano le 19 passate. In quell’ora in cui lui ha ascoltato le mie lamentele tutto è ripartito. Senza troppi giri di parole mi ha riportato al motivo iniziale per cui mi ero mosso: “Perché ti sbatti per l’UniON? Approfondisci il tuo rapporto con Cristo, cerca con fiducia e obbedienza la strada che Lui ha preparato per te e non le tue idee di come vuoi sia la realtà”».

La sera del concerto, Marcelo Cesena, il pianista invitato per una testimonianza, ci raccontava di una pasticcera portoghese che ha ispirato una sua composizione. Per quarant’anni, il lavoro di questa donna è stato quello di creare il buco delle ciambelle, eppure lei dice: «Sono felice perché con il mio lavoro cambio il mondo. Ogni giorno, preparando questi dolci, dono un piccolo sorriso a tantissime persone». Ecco, come un’amica che ci ha detto: «Grazie per quello che avete fatto, grazie per avermi coinvolta, e per avermi inseguito e ripreso, non permettendo che me ne andassi». Abbiamo pensato in molti che la bellezza di quei giorni non può essere stata generata solo dalle nostre capacità. I nostri sguardi lieti hanno cambiato, in piccolo, il mondo.

Resta ora la sfida più grande, quella che alla fine dello spettacolo musicale - con la band Stepbrothers della Cattolica di Milano - abbiamo lanciato a tutti gli studenti: UniON non è finito quella sera. È stato solo il punto di inizio. Ciò che abbiamo vissuto è solo un riverbero di ciò che quotidianamente viviamo in università, nella nostra amicizia, e che desideriamo continui ad accadere.
Alessandro e Chiara, Torino