Matteo a Chicago.

Chicago. «L'occasione per giocare tutto me stesso»

Un programma di studi porta Matteo in America qualche mese con alcuni compagni di corso. Gli incontri con la comunità di CL locale, la vita quotidiana. E un'amicizia che giorno per giorno si fa sempre più interessante. Il suo racconto

Lo scorso agosto, per un programma di doppia laurea sono partito insieme a una cinquantina di studenti del Politecnico di Milano e di Torino per Chicago. Non avendo subito una casa, i primi giorni sono stato ospite di amici del movimento e così da subito ho avuto modo di conoscere gran parte della comunità, che conta una quarantina di persone.

Le prime settimane, stavo tutto il giorno con i miei compagni di studio italiani e, una volta alla settimana, vedevo gli amici del movimento a Scuola di comunità. Abituato alla vita a Milano, mi sembrava strano non vivere l’esperienza del movimento con i compagni di tutti i giorni, e questo all’inizio mi ha portato a essere un po’ superficiale nei rapporti in università. Una discrepanza che però non quadrava.

A metà settembre, ho partecipato all’incontro degli universitari del movimento del Nord America, ed è stata l’occasione per conoscere tanti ragazzi che fanno parte di comunità di due o tre persone e che hanno un orizzonte di vita aperto a tutti quelli che incontrano. Loro sono stati una sfida al mio modo di vivere al punto da voler affrontare con serietà e desiderio il rapporto con i ragazzi del Politecnico, fino a quel momento trattati come fossero di “serie B”.
Da quel momento è iniziato un periodo molto ricco. Ho proposto di studiare insieme - cosa anormale per loro che solitamente stanno da soli - e a organizzare pranzi e cene molto semplici dove il focus era trascorrere del tempo assieme mangiando qualcosa di “italiano” (risotto, orecchiette, lasagne…). Col passare delle settimane l’amicizia con questi ragazzi si è fatta sempre più interessante.

Il momento più bello è stato poco prima di tornare in Italia, durante la settimana degli esami finali. Ci fermavamo a mangiare in Università tutte le sere e poi studiavamo. Una sera, abbiamo casualmente incontrato un ragazzo che fa Scuola di comunità con me e l’ho invitato a cena. Alla domanda di uno di questi amici: «Come vi conoscete?», all’inizio ho sviato rispondendo: «È una lunga storia». Poi, quando siamo rimasti soli, ho raccontato “questa lunga storia”. Gi ho detto che faccio parte di Comunione e Liberazione e lui, non conoscendo e incuriosito, mi ha fatto un sacco di domande. Dopo un’oretta di conversazione, lui, non credente, mi ha detto: «Comunque è assurdo che tu, qui a Chicago, non vivi solo per te stesso, ma per una comunità di persone e per qualcosa di più grande di te».

Qualche giorno dopo, un altro amico viene a sapere “che sono un ciellino”. Decido di chiacchierare un po’ anche con lui, che subito mi intavola un discorso sul fatto che è sbagliato l’impegno dei cattolici in politica e altri argomenti di questo tipo. Gli spiego che l’esperienza che faccio del movimento non c’entra nulla con tutto ciò che lui ha in mente e gli racconto cosa vuol dire per me “essere un ciellino”. Alla fine mi dice: «Se lo avessi saputo prima di conoscerti, non saremmo stati amici in questo modo. Ma adesso che lo siamo non mi cambia niente».

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Invece queste due chiacchierate hanno cambiato me. Ho avuto l’occasione di giocare tutto me stesso con questi amici, e oggi ho la certezza che questi rapporti fioriranno e sono per la mia vita come quelli con le persone della comunità di Chicago.
Matteo, Chicago