La Via Crucis durante il Triduo di GS (Foto Marco Previdi)

Il contraccolpo di qualcosa di grande

Dal 6 all'8 aprile oltre 3.500 ragazzi di Gioventù Studentesca hanno vissuto a Rimini il Triduo Pasquale predicato da don Fabio Colombo. Qui, le lettere di alcuni di loro

Con la meraviglia nel cuore
Questo è stato il mio primo Triduo di Gioventù Studentesca in presenza, visto che ho iniziato l’avventura di questa compagnia in seconda superiore con la pandemia e ho vissuto questi anni con i racconti dei miei amici più grandi o dei miei cugini su questa esperienza che tanto li aveva cambiati. Sabato, quando mi sono messo a letto per riposare un po’ dopo il Triduo, non sono riuscito a trattenere le lacrime. Non sono uno che piange facilmente, ma il contraccolpo con quello che ho vissuto in quei tre giorni è stato troppo grande per farmi rimanere indifferente. Ho in mente una frase che ha detto don Fabio durante la sintesi finale: «Ho visto qualcosa di grande». È ciò che è successo a me. Ho assistito a qualcosa che mi ha scosso dentro. I miei occhi hanno brillato dal viaggio di andata fino a quello di ritorno e in essi sono impressi tutti in momenti di quei tre giorni.
Il saluto di Davide Prosperi, l’Angelus guardando il mare con una professoressa e altri tre ragazzi, la lezione di don Fabio, la Via Crucis, il momento in cui ci siamo inginocchiati davanti al crocifisso in silenzio, l’assemblea in hotel, la cantata di notte in riva al mare, la corsa con un mio amico per non perderci l’alba insieme agli altri e le parole finali di Seve sono stati un segno tangibile di una meraviglia indescrivibile. Le parole della canzone di Mina: «Mi sei scoppiato dentro al cuore all’improvviso» descrivono questa meraviglia nel mio cuore.
Sono sempre un po’ titubante a dire di aver visto Dio, ma forse questa è la prima vera volta dove posso dire di averLo percepito. L’ho sentito vicino a me, ricordandomi che sono privilegiato, ho un amore infinito, di fare parte di una storia.
Andrea, Bergamo

Il salone a Rimini

Non è una favoletta
Sono sempre stata cristiana perché i miei genitori lo sono e mi hanno educato alla fede. A un certo punto della vita, però viene da chiederti se tutto questo è vero e, se non lo verifichi con la tua esperienza, è difficile continuare a credere. Ecco, al Triduo ho capito davvero che la fede cristiana non è una favoletta, ma qualcosa di reale, che cambia la vita. Ho come riscoperto la mia fede. Dio non è qualcuno che sta in alto, ma è presente, vicino a me. Prima di partire, ero presa da mille cose: la patente, il Tolc per l’università, l’esame di inglese e la scuola che ad aprile-maggio non scherza. Ero davvero agitata e non vedevo l’ora di staccare, ma ora so che il Triduo per me non è stato un periodo di stacco. È stato un momento di riflessione importante che mi ha fatta stare con gli occhi e le orecchie aperti. Don Fabio ha detto cose che corrispondevano al mio cuore in un modo così totale che non potevo fare a meno di ascoltare.
Mi ha colpito molto la canzone Leaning on the Everlasting Arms perché so che posso abbandonarmi al Suo abbraccio quando sono in difficoltà e che non sono mai sola. Di questo ne sono sempre più certa perché ho visto cose che non si spiegano con la ragione: quelli che hanno organizzato il Triduo perché fosse una cosa bella e soprattutto 3.500 persone riunite ad ascoltare. Questo non perché tutti credano in Dio, ma perché hanno la stessa domanda nel cuore: un desiderio infinito di felicità. Felicità che io posso cercare guardando la realtà, accorgendomi ogni giorno del bello, ma anche delle cose brutte, perché anche da quelle impari. La morte di una ragazza di Imola che cambia il cuore di medici, dei suoi genitori e per ultimo il mio, lo scuote e mi fa nascere una domanda: com’è possibile tutto questo? E penso che la risposta più ragionevole sia proprio Lui. Perché la realtà è un dono e anche se non passo l’esame della patente, anche se prendo un brutto voto a scuola, io so di essere voluta bene da Lui che è morto per me. Per il Suo amore io sono nata e ho una vita da scoprire, la quale non diventa più piena in base alla performance, ai miei risultati, ma che già di per sé è meravigliosa.
Ora voglio portare tutto questo nella quotidianità, voglio scoprire la realtà che mi circonda a partire anche dalle difficoltà che mi si presentano e dall’impegno per raggiungere i miei obiettivi. Voglio soprattutto scoprire le persone che mi stanno davanti perché dentro ciascuno c’è un qualcosa di immenso. Voglio cercare di smettere di avere pregiudizi sugli altri. Anche la persona che mi sembra più lontana da me, anche quel compagno di classe che mi sta antipatico, anche una persona da cui mi sento giudicata può darmi qualcosa. Voglio vivere così con un cuore aperto e con l’amore che riesco a dare solo perché l’ho ricevuto e lo ricevo tutti i giorni da Lui attraverso chi mi circonda, anche nelle piccole cose, anche attraverso un semplice sorriso.
Chiara

La Via Crucis (Foto Marco Previdi)

Per una compagnia di amici
Ho sedici anni e frequento il gruppo di Gioventù Studentesca di Imola. Il 6 aprile siamo partiti verso Rimini, per il Triduo, non avendo idea di cosa aspettarci e ci siamo ritrovati in mezzo a 3.600 ragazzi, provenienti da tutta Italia, che come noi avevano detto “sì!” alla proposta che c’era stata fatta. Una mattina, mi è capitato di parlare con alcune ragazze di Catania che mi hanno raccontato come era stato lungo il viaggio: 18 ore di pullman. Di fronte a ciò è scaturita in me una domanda: «Ma cosa vi porta qui? Per quale motivo avete deciso di intraprendere un viaggio così lungo per partecipare alla Via Crucis e ascoltare qualcuno parlare di Cristo e del dialogo Dio-uomo?».
Il motivo principale era la fede: ognuno di noi era venuto perché si era fidato di una compagnia di amici, di una persona che gli aveva mostrato un modo di vivere nuovo, più vivo, più libero, più umano e ne era rimasto attratto.
In questi tre giorni, ho avuto la possibilità di approfondire cosa c’entrano la verità, la libertà e la conoscenza nel dialogo con Dio. Di come questa realtà si mostri nelle esperienze che faccio e nella quotidianità.
Federica, Imola