Gli Esercizi della Fraternità a Rimini (Foto: Roberto Masi/Fraternità di CL)

Esercizi. «Solo Cristo riempie il mio vuoto»

Due genitori che si scoprono "guardati" dal figlio; una giornata in reparto mentre gli amici seguono le lezioni di padre Lepori; la morte di un paziente; la decisione di iscriversi alla Fraternità... Altre lettere post-Rimini

I nostri figli ci guardano
Avevamo deciso di seguire gli Esercizi della Fraternità in presenza e c’eravamo iscritti per andare a Rimini. Purtroppo venerdì non sono stato bene e così li abbiamo seguiti in streaming. Personalmente e anche nel confronto con mia moglie, abbiamo condiviso una profonda gratitudine per la corrispondenza delle lezioni di padre Lepori con l’urgenza di entrambi, pur nella diversa sensibilità, di riscoprire il valore e l’essenzialità della nostra fede e di “riattizzarla”. Fede che ha segnato e sostenuto il nostro rapporto, la famiglia e i nostri sette figli in oltre trent’anni di matrimonio. Domenica sera, siamo andati a messa in parrocchia. Il sacerdote per spiegare la fede ha fatto due esempi. Ha raccontato un episodio che lo aveva molto colpito quando gli era stato riferito: don Giussani, insegnante al liceo Berchet, aveva “sfidato” il professore di Filosofia sulla certezza dell’esistenza dell’America pur senza esservi mai andato. L’episodio a noi è noto, ma è stato proposto ad una comunità parrocchiale che non partecipa della vita di CL.
Ha poi parlato di un giovane ragazzo con cui aveva preso un aperitivo qualche giorno prima. Questo ragazzo gli aveva detto che, nella sua scuola, la maggior parte dei suoi compagni non crede, ma lui invece ha una fede certa, perché - semplicemente - vedendo i suoi genitori come vivono e come sono “felici”, non ha dubbi sulla verità della loro esperienza e della sua. Abbiamo scoperto che quel ragazzo è il nostro sesto figlio, Marco, che aveva preso di sua iniziativa un aperitivo con don Martino.
Questa particolare “coincidenza” ci rende ancor più coscienti della grazia e della responsabilità che abbiamo tra di noi, nella Chiesa e nel mondo.
Ci fa, altresì, comprendere che è sufficiente vivere con semplice, ma fedele appartenenza al carisma che ci ha presi per essere testimoni del Mistero che fa tutte le cose, senza grandi gesti, proclami e nonostante i nostri limiti. Gli amici, i colleghi, ma soprattutto i giovani e i nostri figli ci guardano… E capiscono.
Paolo e Poti, Milano

Come la samaritana, sul ciglio del pozzo
Domenica 16 aprile. Sono di turno 8-20 in reparto di psichiatria. I miei amici stanno seguendo gli Esercizi della Fraternità insieme. Periodo faticoso, niente di cui lamentarsi, anzi, molto di cui essere grata compreso un avanzamento di carriera. Ma il concorso, qualche visita ed esame in più per una questione di salute, un po’ di preoccupazione per il babbo anziano e per il figlio che va male a scuola, qualche nottata di sonno interrotto insomma sono parecchio “cotta”… Quindi oggi non ce la posso fare a sopportare Fiorella (nome di fantasia, ndr) in pieno eccitamento maniacale che mi prende a male parole ogni volta che passo. Ho già un paio di consulenze urgenti in Pronto Soccorso ed è solo mattina. Entro in reparto e Fiorella mi offende. Ripasso in reparto e augura il male ai miei familiari. Ripasso e mi augura il cancro (cavoli sto pure facendo degli accertamenti), cerco di evitarla, oggi non ce la faccio ad ingaggiarmi con lei. Le voglio bene, lei vorrebbe anche che fossi la sua dottoressa, ma non è di mia “competenza territoriale”. Intelligentissima, non si vuole curare, passa di fase acuta in fase acuta ed ormai sta perdendo smalto andando incontro ad una psicosi cronica. Ho un momento di calma, vado nella stanza del briefing per fare un po’ di lavoro al pc.
Guardo gli “stati” su WhatsApp, e vedo più volte il link per ascoltare Se tu sapessi, la canzone di don Antonio Anastasio. «Devono averla fatta stamani agli Esercizi», penso. Bellissima. E poi la Samaritana è in assoluto il mio personaggio preferito del Vangelo. Sono io. Sempre sul ciglio di quel pozzo a domandarmi quanto è profondo. Credo di aver fatto la psichiatra apposta, nell’ingenuo tentativo di poter scoprire quanto è profondo. Come mi ci vedo lì accanto a Gesù affascinata, ma concentrata sulla mia misura a dirgli: «Signore, il pozzo è profondo». «Più fondo del fondo degli occhi della notte e del pianto», per dirla con De Andrè. Bene, vuol dire che mentre compilo le dimissioni me la ascolto a ripetizione. Si apre la porta. Entra Fiorella. Come cavolo ha fatto a passare... Sono pronta ad arrabbiarmi e a chiamare gli infermieri. Ma lei non dice niente, rimane in silenzio in piedi, capisco che sta ascoltando la canzone. Si siede di fronte a me. Incredibilmente e miracolosamente rimane in silenzio. Io zitta, continuo a lavorare al computer e la guardo con la coda dell’occhio. Sta davvero ascoltando. Finisce il brano, e lei in modo del tutto adeguato mi dice: «Bella, me la manda dottoressa?». E io: «Certamente!».
Aspetta qualche secondo, e poi ricomincia ad urlarmi. Ma a quel punto sono cambiata io. Mi scopro addosso una tenerezza ed una dolcezza infinita nel guardarla. Lo stesso mio identico cuore. Lo stesso bisogno di acqua viva.
Debora

Iscriversi alla Fraternità
Le settimane prima di Pasqua, ho vissuto con molta attesa la Via Crucis a Caravaggio. Avevo bisogno di ritrovare me stesso ed ero curioso di rivivere un momento di cui ormai non riesco a fare meno, tanto è vero che sono riuscito a convincere i miei genitori a rimandare la partenza per il mare a sabato mattina. In tutto questo, ho chiesto a mia mamma di venire con me.
Mi hanno colpito molto il silenzio e la pace. È stato un momento per dire: «Gesù, prendimi così come sono».
Il giorno dopo, al mare durante il pranzo con i parenti, è intervenuta mia mamma dicendo: «Sono andata alla Via Crucis di CL» e ha mostrato le foto. I miei parenti sono rimasti sorpresi dalla quantità di persone. Come lo era stata mia mamma, che mentre seguivamo mi aveva detto: «Ma siete così tanti, caspita, poi tutti in silenzio o a pregare e con metodo, che bello!».
Poi sono stato agli Esercizi della Fraternità, un altro momento molto intenso, dove mi hanno colpito queste parole di padre Lepori: «Senza la fede, nulla è dono, nulla è grazia, e allora nulla ci stupisce, tutto è scontato, tutto diventa uggioso, ci stanca, anche le cose più belle e grandi dell’umana esperienza, come la persona amata, i figli, la famiglia, i confratelli, il lavoro, la festa».
Ecco, mi ha fatto pensare a quante volte durante l’anno mi succede di dare le cose per scontato. «Questa identificazione del credere col domandare […] non svuota la fede di tutti i suoi contenuti teologici e morali: la svuota però da tutte le pretese di produrli noi, di capirli da soli, di saperli noi. Tutto nella fede è domanda, tutto è domandato. E quindi tutto nella fede è donato, è grazia». Mi ha colpito anche quando diceva andare in Galilea significa ricominciare dall’inizio. Sono tornato dagli Esercizi con la voglia di iscrivermi alla vacanza estiva. Mi ha colpito questa mia coscienza immediata. Ho ripensato a questa cosa e ho capito che se oggi io sono così nel rapporto con la fede, lo devo in gran parte anche a CL.
Il movimento, per me, è entrato in una giornata qualsiasi al Liceo Carducci nel 2009, attraverso un paio di ragazzi che erano interessati a capire chi fossi e cosa facessi. È continuato e si è ripetuto con uno sguardo pieno di bellezza negli occhi di chi mi cercava e di chi ho incontrato negli anni a venire; nella bellezza dei canti nelle vacanze estive a Dublino, nelle parole “cuore” e “corrispondenza” sentite al Triduo di Gioventù Studentesca che per me erano così estranee; nella bellezza dello studio trasmessa dai prof del liceo; nello sguardo dei miei amici della Cattolica che in tutti i miei up and down sono stati sempre fedeli e all’avermi fatto capire che studiare è bello, ma in compagnia di più e che la vacanza d’estate è un modo per trovare se stessi e non per perdersi; nello sguardo di Giorgio Vittadini che con la sua semplicità e chiarezza ti prende e ti ribalta; in quello dei miei amici con cui l’anno scorso ho fatto il Cammino di Santiago e che erano tutti tesi a pregare alle 6 di mattina mentre pioveva a dirotto; fino allo sguardo dei miei amici della Bocconi che con estrema semplicità mi hanno invitato a fare insieme questi Esercizi.
Uno sguardo che si è ripetuto nel tempo e ora mi rendo conto di quanto è importante il movimento per me e nel rapporto tra me e Gesù.
Per queste ragioni e per la mia storia, ho deciso di iscrivermi alla Fraternità. In questi anni dopo l’università, avevo sempre rimandato la questione, non l’avevo mai affrontata seriamente o meglio non l’avevo mai guardata, forse perché pensavo che dovesse succedere chissà cosa per decidere. In realtà, nel mio caso, è bastato guardare la mia storia.
Ludovico

Un fiume di sovrabbondanza
Ciao Davide, sono un medico di famiglia e da quattro anni lavoro in un paesino in una valle dell’Alto Adige. I miei pazienti sono praticamente tutti di madre lingua tedesca. Venerdì, prima di iniziare gli Esercizi della Fraternità, ho cantato al funerale di Heinrich, mio paziente di 83 anni. Negli ultimi quattro anni veniva mensilmente in ambulatorio per gli esami di controllo e il monitoraggio della terapia, ma negli ultimi due mesi la sua patologia si era aggravata, e quindi lo vedevo quasi settimanalmente a domicilio insieme al team delle cure palliative. Il martedì della settimana di Pasqua sono andato per cambiare il catetere che portava dall’ultimo ricovero. Pensavo di sbrigarmela velocemente - ne avevo già cambiati tanti! -, ma, dopo aver provato 3-4 volte, mi sono accorto che avrei avuto bisogno di aiuto. Mentre aspettavamo l’infermiera a un certo punto gli dico: «Posso cantare qualcosa?» e gli ho intonato Se tu sapessi di Anastasio. Mentre sto finendo, arriva l’infermiera, lo saluto e vado a casa.
Martedì dopo Pasqua, mi chiamano dicendomi che Heinrich era morto il giorno prima. Durante la mattina in ambulatorio, una paziente mi dice: «Ha sentito di Heinrich? La moglie mi ha detto che ha cantato per lui e che ha una bella voce». Nel pomeriggio chiamo mia moglie e le racconto che vorrei proporre ai familiari di cantare quella canzone al funerale. Avevo qualche dubbio se fosse una cosa giusta. Ne parlo con un amico il giorno dopo alla Scuola di comunità, e dopo chiedo ad Antonio, un amico molto bravo a suonare, se può accompagnare il canto con la chitarra. Con grandissima disponibilità mi dice “sì”. La sera contatto Max, un amico di madre lingua tedesca, chiedendogli se mi può aiutare con la traduzione per poterla distribuire in chiesa, così che potessero seguire meglio il canto. La mattina dopo mi aveva già mandato tutto il testo tradotto. Chiamo il figlio di Heinrich, lui si confronta con la sorella e mi dicono che sarebbero stati molto contenti.
Al di là di come abbia cantato (tanta emozione), molte persone del coro (tanti miei pazienti!) mi hanno espresso gratitudine. Poi, commosso, sono sceso per la benedizione della bara e per salutare la famiglia. La figlia, appena mi ha visto, ha sgranato gli occhi e ringraziato tanto. Il figlio mi ha detto: «Non ho parole». C’erano molti miei pazienti in chiesa. Mi sono accorto come è cambiata in me la posizione nei loro confronti: ora li penso come dei fratelli e delle sorelle.
Mi ha colpito agli Esercizi quando padre Lepori alla fine della lezione del sabato pomeriggio diceva: «La fede permette a Cristo di diventare il vero soggetto della nostra vita, […] di vivere in noi la Parola che Egli è come verbo di Dio. La fede permette a Cristo di incarnarsi nella nostra vita, come nella Vergine Maria, e di vivere in noi la sua vocazione, missione e opera, cioè la sua venuta nel mondo per compiere l’opera del Padre. (…) La fede è la posizione giusta che permette a Dio di abbracciare il mondo, di salvarlo, di cambiarlo, di trasformarlo, di rinnovarlo. (…) La fede è la nostra mendicante apertura all’avvenimento di Cristo, è il permesso assetato che diamo a Cristo di far avvenire nella nostra vita la Sua salvezza».
Io non desidero che questo: dare la mia vita per questo. Chiedo tutti i giorni il dono dello Spirito perché possa venire Lui a “fare” in me, riempiendo il vuoto della mia inadeguatezza. E Lui non solo lo riempie, ma ne fa sgorgare un fiume di sovrabbondanza.
Michele, Merano (Bolzano)