L'incontro dedicato alla pace all'Abbazia di Mirasole

Scoprirsi uomini che cercano la pace

All'Abbazia di Mirasole, hinterland milanese, una giornata dedicata all'incontro con tre amici per parlare della libertà e della possibilità di convivenza «con chiunque abiti la nostra terra»

Nessuno a parole disprezza la pace. Nessuno negherebbe di desiderarla. Tuttavia, la guerra in Ucraina - da più di un anno divenuta un conflitto su larga scala - sembra aver reso questa parola priva di significato, vacua; “pace” non è qualcosa che si può dare per scontato, non è un bene che si è conquistato una volta per tutte. Lo stesso papa Francesco, parlando alle autorità civili a Budapest durante il recente viaggio in Ungheria, ha detto, riferendosi al contesto europeo: «Pare di assistere al triste tramonto del sogno corale di pace mentre si fanno spazio i solisti di guerra». Come si può tornare a credere nella convivenza tra popoli e singoli individui in un mondo in cui attualmente si contano più di 50 guerre in corso? Come si costruisce realmente un contesto di pace?

Da queste domande è nato “Il coraggio di sostenere la speranza della pace”: un momento organizzato da alcuni ragazzi di CL di Milano per parlare di pace e poterla “vivere” insieme, trascorrendo una giornata all’abbazia di Mirasole, a sud del capoluogo lombardo. Dopo aver seguito l’Angelus del Papa, pranzato, giocato e fatto merenda nel chiostro dell’Abbazia, alle 17 inizia l’incontro con tre amici: padre Oleksandr Chornei, originario della città ucraina di Kherson; Donjete Berisha Matoshi, collegata da Pristina, capitale del Kosovo, città dove lei è nata e ha vissuto, e Hassina Houari, che al Papa, durante l’udienza concessa a CL il 15 ottobre scorso, ha raccontato la sua esperienza a Portofranco.



Padre Chornei ha citato le parole del Pontefice sulla guerra tra Russia e Ucraina: «Non è normale che i figli di Adamo si uccidano tra loro». Un’assurdità che ha vissuto sulla propria pelle quando è stato costretto ad abbandonare Kherson, tra le prime città occupate dai russi, e a rifugiarsi in Italia. «Da dove si parte per costruire la pace davanti a una tragedia di tali dimensioni?», si è chiesto padre Oleksandr raccontando di una donna ucraina scoppiata a piangere davanti alla semplice domanda: “Come stai?”. «Questa signora», ha spiegato il religioso, «aveva ricevuto aiuto da tante persone, era stata assistita per ogni cosa, ma in quel momento le è stato posto un interrogativo che le chiedeva di esporsi e le ha fatto guardare interamente alla propria umanità».

La stessa umanità ha spinto il padre di Donjete - futuro primo presidente del Parlamento kosovaro - a combattere in difesa della propria patria. Da piccola spesso si era chiesta cosa avesse spinto lui a rischiare così tanto, a mettere a repentaglio non solo la propria vita ma anche quella dei propri cari. Nel 1998, durante la guerra, lei e i suoi fratelli erano stati sfollati, con altri 90mila profughi kosovari, lungo il confine con la Macedonia: «Ricordo bene l’immagine dei volontari che distribuivano i viveri indossando mascherine per paura che potesse scoppiare un’epidemia. Quella è stata la volta in cui mi sono sentita un numero; ancora oggi, quando sento le cifre degli ucraini che hanno lasciato il proprio Paese, ripenso alla mia storia e riconosco che dietro ognuno di loro c’è una vita, una persona. In quel momento capisco che mio padre ha combattuto per garantire alla propria famiglia la libertà». Per questa ragione, «desidero comunicare ai miei figli che si può essere liberi e vivere con chiunque altro abiti la nostra terra».



È lo stesso tipo di educazione che Hassina ha raccontato di aver ricevuto a Portofranco, il centro di aiuto allo studio che ha frequentato a Milano negli anni del liceo. In quel periodo in Egitto si erano verificati scontri e soprusi dei musulmani contro le comunità copte; com’era possibile che, nello stesso momento in cui si compivano tali crimini, lei si trovasse in un luogo dove era facile trovare un ragazzo musulmano studiare accanto a un egiziano copto? «Un tale sguardo di misericordia lo si impara solo stando con persone che ti guardano così, che amano la tua umanità».

Quell’attenzione che don Edoardo Canetta - prete con un’esperienza ventennale in Kazakistan e presente sul palco come interprete - ha rivolto a padre Chornei quando l’ha ospitato in Italia. Padre Oleksandr ha raccontato che, nelle prime settimane in cui era suo ospite, non voleva uscire dalla propria stanza. Ogni giorno, però, don Canetta bussava per chiedere come stesse, si preoccupava di lui. Un’attenzione che ha portato il religioso ad accettare la proposta che don Edo gli fece qualche settimana dopo, quando gli chiese di intervenire a un incontro per raccontare la sua esperienza nei primi mesi di guerra.

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Come scoprirsi così tanto uomini da poter guardare e condividere con altri un dolore che si vorrebbe dimenticare? «Quando don Giussani parlava della Bellezza, diceva che non se ne possono selezionare alcune parti. Per conoscerla, occorre prenderla tutta, in qualunque luogo si trovi», ha concluso Donjete. Questo il punto di partenza per camminare e, in questo cammino, scoprirsi uomini che sperano, desiderano e cercano la pace in ogni circostanza.
Alberto e Francesca