Sant'Agata in Santerno (foto Giacomo Bellavista)

Alluvione. «Tutto ci è stato come ridonato»

Due giovani che si sposano nel mezzo del disastro, gli amici che accorrono da lontano per spalare e un'amicizia riscoperta tra le macerie. Tre lettere che invitano a guardare «quello che c'è»

La famiglia di una mia carissima amica, che vive all’estero, è di Riccione. Appena ho saputo dell’alluvione le ho scritto chiedendole se i suoi genitori stessero bene e proponendomi di andare ad aiutarli. Mi ha subito risposto che i danni erano stati abbastanza contenuti e mi ha suggerito, se volevo dare una mano, di sentire chi viveva attorno a Cesena dove l’alluvione era stata più violenta.
Non ho neanche fatto in tempo, perché un amico mi ha scritto dicendomi che si era messo in contatto con alcuni di Forlì per andare ad aiutare e mi ha proposto di accompagnarlo. In dieci siamo partiti da Milano.
Sono rimasto nella cittadina romagnola per un week end durante il quale ho visto una situazione tragica: una casa devastata dall’acqua dove abbiamo lavorato per recuperare quello che c’era nel garage allagato, passandoci frammenti di una vita rinvenuti nel fango e finiti nel giro di un attimo in un mucchio di rifiuti.
Spettacolo analogo si è presentato nell’azienda di famiglia di un nostro amico: l’acqua e la melma avevano raggiunto ogni angolo del capannone e ben poco si era salvato.
Mentre spalavo coi miei amici e con chi si univa, mi stupiva non vedere la disperazione: il dolore di chi aveva visto la propria casa e il proprio posto di lavoro spazzati via traspariva in modo evidente, ma allo stesso tempo abbiamo intercettato tantissimi segni di un’umanità che iniziava a rispondere alla ferita aperta. Nella casa dove abbiamo lavorato chiunque arrivava veniva a chiederci chi fossimo; in diversi momenti si scherzava insieme e ci si conosceva. È nato un clima allegro, portando fuori i secchi pieni d’acqua. La famiglia da cui eravamo a pulire ci ha infine proposto di rivederci la mattina dopo alla messa per i volontari e di tornare a trovarli.
Verso sera, un uomo vedendoci sporchi, ci ha proposto di andare a casa sua per lavarci; un altro signore, in piedi fuori dalla sua azienda, ci ha invitati a entrare per un caffè. «Ma per lei non abbiamo fatto nulla!», gli abbiamo detto. «Già che passate di qui qualcosa devo darvela» è stata la sua risposta.
Stare davanti a persone liete, anche dopo aver perso tutto, rende tragicamente evidente che non sono i nostri schemi o i nostri calcoli a renderci felici.
Mi è tornato in mente quello che diceva Rosetta Brambilla intervistata da Tracce nel 2021 dopo che l’alluvione aveva distrutto l’asilo Etelvina, una delle opere educative a cui si dedica da anni in Brasile: «Davanti a un fatto così, rimani scosso. Ma se ci stai, fai l’esperienza che le cose ti sono date. L’impatto magari non è bello, vorresti tirarti via: ma un po’ alla volta dal fango viene a galla Lui. Si fa presente. E ti commuovi. Ti vergogni persino, per la grandezza che stai provando».
Desidero poter vivere sempre più questa intensità, questa pienezza che spinge a impegnarsi con quello che accade. Nella lettera inviata al Corriere della Sera, Prosperi ha scritto: «Occorre restare attenti ai segni concreti che la realtà ci mette davanti, a partire da ogni gesto gentile ricevuto e non scontato». Dopo queste parole e ciò che ho visto in Emilia-Romagna, desidero ancora di più rimanere attaccato a un luogo come il movimento che mi educa e mi invita a guardare quello che c’è.
Alberto, Milano

Caro Davide, nei giorni dell’alluvione mi ha colpito un passaggio dell’assemblea che hai fatto a Lugo ; che la nostra è una compagnia guidata al destino. Quella del movimento e quella della Chiesa. In quei giorni di angoscia, ho percepito veramente la vicinanza di una compagnia che rimanda a Lui. Ero preoccupato per i miei genitori chiusi in casa con due metri di acqua nel palazzo e uno in strada, e per i miei amici che avevano subito lo stesso disagio. La mia fidanzata continuava a farmi compagnia, nonostante i duecento chilometri di distanza fisica. Mi ripeteva che nonostante la disgrazia, i miei genitori non erano soli, erano assieme. Assieme come marito e moglie, ma anche come amicizie, abitando in un palazzo dove fortunatamente fra condomini si vogliono bene.
A questo particolare non ci avevo pensato; e nei giorni successivi, pensandoli chiusi in casa, mi tornavano in mente queste parole, e mi tornava la pace. Rimanevo turbato, ma in cuor mio riconoscevo che non erano abbandonati. Questa pace si è alimentata da alcuni fatti. Una famiglia della mia comunità che abita vicino a me, che per due giorni è stata la mia famiglia, invitandomi a cena la sera; persone che non sento da anni, che solo sentendo il nome “Castel Bolognese” (il paese dove vivevo prima, uno dei primi colpiti dall’alluvione) al telegiornale mi hanno scritto chiedendomi come stavo; gli amici dell’oratorio di Cremona, e la famiglia della mia fidanzata. Ecco il messaggio del suo babbo: «Anche questa notte io e Raffaella andremo a dormire con quel senso di inadeguatezza, mista ad un sentimento di disagio, per la consapevolezza di non aver fatto nulla di meglio o di più per meritarci di dormire nei nostri letti. Quello che possiamo fare per voi, noi che siamo così distanti dalla tragedia che state vivendo, è di ricordarvi nella preghiera affidandovi a Maria. Ti siamo particolarmente vicini, e siamo in ansia per te come per un figlio».
Dopo averlo letto, non ho potuto fare a meno di piangere, perché era chiaro che pur nella difficoltà del momento, io non ero solo, e neanche i miei genitori o i miei amici, perché c’era qualcuno che ci accompagnava.
Credo che queste cose dicano, come scrivevi nella lettera che hai mandato subito dopo l’alluvione, di una educazione che genera amicizie senza riserve, come quella che abbiamo visto nei giorni successivi tra noi giovani lavoratori. Ho in mente la grigliata del sabato sera, dove eravamo sfiniti per aver spalato fango tutto il giorno, ma eravamo lieti.
Marco, Imola


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Caro Davide, ci siamo sposati a Cervia nei giorni “clou” dell’alluvione. Sono stati momenti molto difficili, dove la rottura improvvisa degli argini ci ha costretti a spostamenti dell’ultimo minuto e dove ogni ora le circostanze cambiavano. È stato un imprevisto che ha decisamente sconvolto tutto ciò che avevamo pianificato per oltre un anno: per due giorni la situazione è stata in divenire, senza la possibilità di fare previsioni. Eppure per noi non è mai stato in dubbio lo sposarci perché avevamo chiaro che l’essenziale era celebrare il sacramento. Senza grandi discorsi ci siamo solo detti che è bello sapere di essere talmente certi del nostro sì e della storia che ci ha presi, che il matrimonio lo avremmo celebrato davanti a Dio anche facendo una semplice messa con solo i testimoni e le nostre famiglie.
Certo, eravamo tristi perché desideravamo avere con noi tutti i nostri amici e parenti: avevamo impiegato tanto tempo e tante energie per organizzare una giornata bella, e l’alluvione aveva scombinato i piani. Ci siamo ritrovati metà degli invitati previsti, niente è andato secondo i nostri programmi, ma ancora di più ci è stato chiaro che la vita non la possiamo far andare come vogliamo noi. Però tanti invitati hanno sfidato le incertezze del viaggio (rischio di strade interrotte, fango, difficoltà a trovare posti dove dormire eccetera) per essere con noi. Noi li avevamo comunque invitati tutti quel giorno e per chi non ha potuto esserci abbiamo fatto la diretta Facebook del nostro matrimonio (e chi ci conosce sa che non siamo persone molto “social”). Siamo riusciti a fare festa con gli intrepidi amici che si sono messi in viaggio nonostante tutto e anche se non è stata la festa che avevamo previsto e preparato siamo comunque felici e grati. Tutto ci è stato come ridonato.
Chiara e Alessandro, Cervia