Un presepe tra le macerie dell'alluvione. Seminario di Forlì (Foto Davide Testa)

Alluvione. «Piccoli segni per abbracciare quel che c'è»

A distanza di settimane, continua l'emergenza in Emilia-Romagna. E continuano ad accadere fatti che raccontano di «tanto bene» anche nel fango. Come testimoniano queste lettere

L'ennesima conferma
È già mezzanotte, ma c’è qualcosa che mi tiene incollato alla tastiera del mio cellulare: la voglia di condividere ciò che ho vissuto oggi con i miei amici di GS di Como in Romagna.
Sin da quando siamo arrivati, ho iniziato a pensare, guardandomi intorno, che quella sarebbe stata una giornata molto faticosa, perché c’era tanto, tanto da fare. In parte avevo ragione. Ovviamente fisicamente è stata tosta, specialmente all’inizio. Ma più andavamo avanti più mi rendevo conto che non ero lì per farmi notare, ero lì al servizio di altri.
Ogni volta che un passante ci ringraziava per il contributo e la fatica che stavamo facendo, realizzavo che ero dentro a una cosa molto più grande di me, e questo mi aiutava ad andare avanti.

In particolare mi hanno colpito i ragazzi e le ragazze che da poco frequentano GS, che per quanto fossero spossati non cedevano un attimo, continuavano a lavorare e, senza saperlo, a riportami con la testa a ciò che stavo facendo. Un momento molto bello per me è stato quando abbiamo aiutato Sergio, un signore anziano, a svuotare il garage dall’acqua. Mi sono trovato a lavorare con altri ragazzi di GS che non conoscevo. E lì mi è venuto in mente un tema che esce spesso alle serate e ai Raggi: “dietro” alla nostra compagnia c’è molto di più che lo stare insieme per degli interessi in comune. È stata per me l’ennesima conferma che ciò che viene detto non sono stupidate, ma evidentemente cose vere.
La giornata è andata avanti abbastanza bene, ma il bello è stato quando sono tornato. Appena ho notato mio papà mi sono subito fiondato da lui per raccontargli tutto e non è una cosa che faccio sempre. Quando sono arrivato a casa ero distrutto, con le energie praticamente esaurite, ma con una felicità che al momento non mi sapevo spiegare.

Sotto la doccia, continuavano a venirmi in mente i momenti più belli della giornata che si collegavano a cose dette ai Raggi. E ad un tratto ho capito: ero felice perché avevo preso sul serio la proposta che mi era stata fatta. Cioè scendere dal mio piedistallo e mettermi al servizio degli altri. In questo avevo messo tutte le mie energie.
Subito dopo, ho realizzato che tutto ciò che stavo provando e pensando si riassumeva in queste righe de Il senso della caritativa e che mi colpiscono ogni volta che le leggo: «Cristo ci ha fatto capire il perché profondo di tutto ciò svelandoci la legge ultima dell’essere e della vita: la carità. La legge suprema, cioè, del nostro essere è condividere l’essere degli altri, è mettere in comune se stessi».
Da adesso la sfida più grande per me è avere questo sguardo e questa disponibilità nella vita di tutti i giorni, dove le necessità altrui sono meno evidenti. È ormai l’una di notte…ma io che fosse già mattina in modo da raccontare ciò che ho fatto ai miei amici.
Pietro, Como

Un gruppo di amici di Cremona è andato a dare una mano al Seminario di Forlì (Foto Davide Testa)

«Spaliamo noi per te»
Caro Davide, nell’assemblea che hai fatto a Lugo mi ha toccato un passaggio, quando hai detto che leggendo la lettera della ragazza di Forlì che ha perso la casa, sei stato colpito dal suo non fare sconti alla realtà. Abito in centro a Castel Bolognese, e siamo rimasti chiusi in casa due giorni senza luce e acqua. Garage e cantine del palazzo dove abitiamo sono stati invasi da 1.200 metri cubi di acqua. Siamo stati graziati perché, abitando al secondo piano, l’appartamento è salvo. Il giorno in cui hai fatto l’assemblea mi ero svegliata con una grande tristezza e preoccupazione, perché man mano che ci liberavano dal fango si rendeva evidente che i danni erano ingenti, e anche la stanchezza dopo aver spalato per tanti giorni era un’obiezione.
Quando hai detto che l’energia la mette Dio, ma ha bisogno di noi così come siamo, con i nostri limiti e le nostre obiezioni, ho respirato nuovamente. Non è la mia performance che mi salva, il mio sforzo di sistemare, ma abbracciare quello che Dio sta chiedendo a me e mio marito in questi giorni. E in questi giorni abbiamo visto tanto bene. Due piccoli esempi fra i tanti accaduti.

Seminario di Forlì (Foto Davide Testa)

Un’impiegata del commercialista che segue l’azienda in cui lavoro, con cui c’è un rapporto cordiale, ma legato solo all’ambito lavorativo, mi chiama e chiede se ho bisogno. Alla mia risposta affermativa dice: «Domani ti mando dieci persone!». Sono arrivate, munite di pale, badili, del fondamentale tira acqua e ci hanno aiutato a liberare la cantina dal fango e da tutto quello che conteneva. Poi sono arrivati tre giovani sconosciuti. Hanno spalato un pomeriggio con noi e quando ho detto loro che andavo in casa a prendere da mangiare, mi hanno detto: «Siamo venuti ad aiutare chi ha bisogno, non dovete preoccuparvi di noi, abbiamo panini e bibite».
Poi l’aiuto dei nostri figli, di nostra nuora, degli amici che hanno lavato, stirato, fatto la spesa per noi, prestato carriole, messo a disposizione il bagno per una doccia e tanto altro. I rapporti già buoni con i nostri condomini, sono diventati famiglia per noi in quei giorni di forzata permanenza in casa, e quando la domenica ho detto che avrei spalato più tardi, perché andavo a Messa a ringraziare, mi sono sentita rispondere: «Spaliamo noi per te, tu prega anche per noi».
Adesso la primissima emergenza è passata, i danni rimangono e rimangono le preoccupazioni. Ma il tentativo è di cercare tutti i giorni il Suo volto, a volte attraverso piccoli segni che mi aiutano ad abbracciare quel che c’è.
Laura, Castel Bolognese



«Che bello è stato oggi!»
L’alluvione che ci ha colpito nella notte tra il 16 e il 17 maggio ha messo interi quartieri di Forlì sott’acqua. Quando nei giorni seguenti l’acqua ha iniziato a ritirarsi e ha lasciato al suo posto una quantità indescrivibile di fango, noi che eravamo scampati all’esondazione ci siamo rimboccati le maniche e siamo andati ad aiutare chi era sommerso nella melma.
Si è mossa una catena umana di persone, di tutte le età, che ha iniziato ad aiutare. Noi dei Cavalieri del Graal (l’esperienza di amicizia cristiana per i ragazzi delle medie, ndr) non siamo stati con le mani in mano: c’è chi è andato insieme agli adulti ad aiutare le famiglie di alcuni Cavalieri che avevano avuto le abitazioni allagate e chi, per esempio, ha scelto di aiutare la propria professoressa di Italiano formando una squadra per spazzare via il fango da casa. Le telefonate e i messaggi sono passati da cavaliere a cavaliere e così ci siamo trovati a spalare insieme.
Un giorno, uno di noi viene a sapere che il nostro amico "Prando" è in difficoltà perché il primo piano della sua casa è completamente allagato e un gruppetto di terza media corre ad aiutare. La commozione dei genitori quando ci hanno visti arrivare è stata indescrivibile, non finivano più di ringraziarci, mentre il Prando ci salutava dalla finestra, perché dopo due giorni interi a spalare aveva la febbre alta. Francesco, un cavaliere di terza media, mi ha detto mentre si infilava gli stivali: «Che mi importa del cellulare, lo lascio nel pullmino tanto non mi serve». Al ritorno, tutti sporchi e bagnati, la frase più ricorrente tra i ragazzi era: «Che bello che è stato oggi!». Ascoltandoli mi sono chiesto: «Caspita, come si fa a dire che una situazione del genere porta del bello?». La mia era domanda sincera, perché quando entri nei quartieri alluvionati vieni catapultato in una città devastata: montagne intere di mobili ed elettrodomestici si alternano a quelle di fango e detriti. «Bello», dicevano, «perché abbiamo aiutato il Prando, bello perché abbiamo aiutato la prof. È bello perché eravamo lì per aiutarli!». Maria ha scritto: «Sono contenta di essere andata perché forse, per la prima volta, mi sono sentita davvero utile a qualcuno». Quella sera mentre ripensavo alle loro risposte mi sono detto: «Signore, è bello che tu li abbia chiamati a questo compito e che loro abbiano risposto, perché lì dov’erano sono stati le Tue braccia e le Tue mani!».
Massimo, Forlì