«Il passo che mi serve e il cammino per la pace»
La quotidianità fatta di mille impegni che, però, lascia insoddisfatti: "Che cosa permette di rimanere vivi?". Una domanda che per Hassina ha a che fare anche con la Veglia per la pace della Diocesi di MilanoSta per iniziare un nuovo anno accademico, un nuovo inizio con tutti i suoi propositi. Proprio in questi giorni stavo riorganizzando la mia agenda con gli impegni. Mentre annotavo le attività della settimana, mi è venuta un po' di malinconia perché mi sembra che tutto ruoti attorno a me: arrampicata il mercoledì, fine settimana in montagna, cene con amici e così via. Naturalmente, ho bisogno di trascorrere del tempo con gli amici e di godermi la montagna, ma mi chiedo se posso rendere le mie giornate meno egocentriche. Forse questa sensazione è accentuata dal fatto che, svolgendo un lavoro d'ufficio ho l'impressione di non contribuire abbastanza alla vita degli altri.
Recentemente ho condiviso con gli amici la mia preoccupazione di starmi "imborghesendo", cioè che mi sto accomodando, senza dare credito ai miei ideali. Ma allora cosa permette di rimanere vivi e andare oltre il nostro piccolo orticello? Questo interrogativo mi scuote e credo che non sia legato al tipo di lavoro che uno fa: è qualcosa di più profondo. E neppure l'attività di volontariato più altruista sembra rispondere.
Fino a un anno fa, andavo con alcuni amici in una stazione di Milano a condividere pasti con persone senzatetto o disoccupate. Mi sono affezionata ad alcuni di loro, abbiamo scambiato numeri di telefono e condiviso un po' delle nostre vite. Tuttavia, a volte, mi sentivo come impotente di fronte al fatto che non risolvevo i loro problemi. Ricordo ancora un signore che, con le lacrime agli occhi, mi aveva detto: «Anch'io vorrei fare qualcosa per voi». Era addolorato non solo per la sua situazione precaria, ma anche per l'incapacità di restituire il sostegno ricevuto. Può sembrare banale, ma anche il poter esprimere la propria umanità "facendo qualcosa" è un privilegio. Mi fa pensare a un altro amico senzatetto. Lo chiamo amico perché nel tempo è diventato tale. Ogni volta che mi vede cerca di offrirmi un caffè o talvolta persino un pranzo. Non accetta obiezioni. Lo fa per equilibrare il nostro rapporto, anche se per me è già equo, perché non è la questione economica a renderlo bilanciato.
Tornando alla mia settimana, forse ciò che mi salva dall'imborghesimento è l'intensità con cui affronto tutto, l'ideale con cui vivo le giornate. Continuare a credere in qualcosa che non mi fa chiudere in me stessa. Questo mi è possibile solo grazie a dei rapporti. Per questo mi ha colpita la proposta dell’arcivescovo di Milano Delpini di una camminata in preghiera per la pace tra Ucraina e Russia: "Dona nobis pacem. Insieme in cammino per la pace". È un'iniziativa semplice, ma il fatto che sia proposta un'occasione per non dimenticare ciò che accade intorno a noi è già un passo per uscire dal proprio orticello.
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Non so ancora come organizzare le mie giornate, ma vorrei mantenere viva la mia inclinazione verso qualcosa di diverso, soprattutto guardando a chi, come l'Arcivescovo, desidera iniziare l'anno facendo memoria di chi vive senza dare nulla per scontato.
Miriam Hassina, Milano