«Prof, non perda la speranza con me»
Una classe di fronte alla discussione sul femminicidio e un alunno che arriva a scuola impreparato. Attraverso due episodi, un'insegnante racconta cosa sta scoprendo di più di sé e di ciò che ha incontratoSono una giovane insegnante di Filosofia, ultimamente sta emergendo con sorprendente evidenza la risposta a come l’impatto di don Giussani ha cambiato la mia vita. Lavorando, impegnandomi con i ragazzi, mi accorgo che se non mi fossi imbattuta nella paternità di Dio che ha preso forma nel carisma del movimento non sarei la docente che sono. Vorrei raccontare due esempi.
Il primo è legato all’omicidio di Giulia Cecchettin. A seguito della sua morte a scuola abbiamo osservato un minuto di silenzio. Lo stesso giorno entro in una quinta e mi accoglie una classe a dir poco agitata. Mi chiedono subito di poter usare la mia ora come momento di discussione sull’episodio perché ci stavano provando da tutta la mattina ma non ne avevano avuto modo. Inizialmente ero un po’ innervosita perché il programma, le scadenze, il trimestre, le interrogazioni… Ma poi ho accettato. Hanno iniziato a scannarsi tra loro ripetendo cose sentite evidentemente altrove e sventolando principi, spesso anche giusti. Dopo un po’, li ho interrotti sottolineando che non mi sembrava una discussione costruttiva e che non si stesse andando da nessuna parte. Uno di loro mi ha provocata chiedendomi cosa significasse “andare da qualche parte” e cosa pensassi di quell’episodio. Mi sono resa conto che potevo raccontare loro quanto vivo negli ultimi mesi, da quando con mio marito abbiamo iniziato ad andare in carcere a fare caritativa il sabato mattina. La prima volta che sono andata ho incontrato un uomo autore di un femminicidio. Dopo diversi mesi, mi accorgo che stare con lui, ascoltare la sua storia e vedere come nella vita abbia potuto ricominciare - mettendo a disposizione in carcere la sua professione, incontrando le scolaresche, studiando e divorando i libri di cui gli parliamo - e che io stia pregando per l’autore di questo terribile omicidio perché possa essere raggiunto dalla stessa vita.
Il mio insegnamento è volto a valorizzare le domande, per questo dicevo ai ragazzi che questa esperienza in carcere non cancella le questioni e non toglie il male commesso, ma dà speranza e traccia una strada buona. Raccontavo che nella vita è interessante imparare a ragionare consapevoli che il male esiste, ma che, una volta commesso, questo non rimane come ultima parola sulla vita. Per me stare con i carcerati significa lottare e tenere insieme il male commesso, ma anche il desiderio di bene, le domande, il bisogno di amici, di cose belle che vedo in tanti di loro. Gli amici con cui vado in caritativa mi introducono a questo sguardo capace di accompagnare. L’effetto del mio racconto è stato sorprendente: si è creato un gran silenzio che si è rotto solo quando una di loro mi ha chiesto se potevano venire con me il sabato. Mi aspettavo discussione, confronto, ma sicuramente non quel silenzio. È una classe con cui ho fatto molta fatica all’inizio, perché molto distaccata e poco incline al dialogo. Mi stupisce perché rispetto a tante obiezioni che sento - fuori e dentro la scuola - il cuore di ciascuno funziona a qualunque età e di fronte a un’esperienza reale non si può non riconoscere la corrispondenza.
Il secondo episodio riguarda un alunno che, nonostante le interrogazioni programmate, è arrivato a scuola impreparato e senza aver studiato. Mettendogli l’insufficienza l’ho rimproverato, sempre con solide e valide ragioni. Lui ha incassato il colpo, consapevole dello sbaglio, ma prima di tornare al suo posto mi ha detto: «Prof, ho sbagliato, ma per favore, lei non perda la speranza con me». Sono rimasta pietrificata, perché è la preghiera che ho io verso Chi più mi ama. Raccontandolo ad alcuni colleghi ho visto un forte cinismo e sono iniziate le riletture dell’episodio alla luce di diversi criteri. Mi sono accorta, in questo caso su di me, che queste reazioni non corrispondono al mio cuore e desidero sperare per sempre nel cuore dei miei ragazzi senza aver bisogno di ricostruzioni secondarie e retro pensieri. Questo sguardo, questa preghiera che il mio alunno mi ha rivolto, è la preghiera che più volte ho rivolto a tanti padri, amici, a mio marito che di fronte agli errori mi hanno sempre permesso di ricominciare.
Annamaria, Milano