Firenze. «Un metodo nuovo che porta frutti»
Più di duemila tra studenti e docenti da tutta Italia (dal 29 febbraio al 2 marzo) al Palazzo Wanny per i Colloqui Fiorentini. Protagonista dell’edizione, Giovanni Pascoli. Una prof racconta quello che ha vistoAnche quest’anno, come mi capita da sei anni, ho partecipato con una trentina di studenti della mia scuola, l’Istituto Moreschi di Milano, ai Colloqui Fiorentini. Autore dell’edizione appena conclusa, è stato Giovanni Pascoli. L’iter del lavoro è molto concreto: gli studenti scrivono una tesina a partire da uno o più testi del poeta e poi le migliori vengono premiate alla fine dei tre giorni del convegno, quest'anno dal 29 febbraio al 2 marzo, al Palazzo Wanny di Firenze.
Come il poeta ha bisogno di un lettore perché la sua poesia si attui, così l’insegnante ha bisogno di almeno un alunno perché il suo agire abbia un senso; ma se c’è un’esperienza condivisa nel mondo degli insegnanti, questa è la stanchezza di sentirsi inascoltati, che stride con la convinzione di avere qualcosa di importante da dire e da dare. Tutto vero, ma il rischio è che in questi pensieri e discorsi ci siano troppo i professori con le loro aspirazioni e i loro progetti e poco i ragazzi.
Questi tre giorni offrono un’esperienza diversa: alunni e insegnanti si ritrovano insieme a seguire i lavori. Al mattino interventi di docenti, poeti, scrittori e giornalisti, mentre al pomeriggio ci sono i seminari, il momento sicuramente più originale dell’iniziativa perché sono gli studenti, divisi in gruppi di circa duecento, a intervenire in un dibattito in cui il docente di turno ha solo il compito di dare la parola e eventualmente chiedere o offrire qualche precisazione.
A un certo punto, mentre ero intenta ad ascoltare una lezione sulla poetica pascoliana, mi accorgo che il ragazzo vicino a me prende appunti su un grande block-notes e contemporaneamente gioca con il telefono. Al termine, ci siamo conosciuti e mi ha anche fatto parte di alcune sue riflessioni sulla poesia delle Myricae. Questi sono i ragazzi: un folto gruppo di studenti attenti, insieme ad altri completamente svagati e distratti, concentrati solo a guardare TikTok o a scattare selfie mentre i relatori parlano.
Un nota bene: i ragazzi che aderiscono non sono dei nerd della letteratura, dei campioni di grammatica o di scrittura. Piuttosto, sono i nostri ragazzi, grovigli di contraddizioni, ma con una simpatia e una curiosità di fondo che è il nocciolo buono su cui gli organizzatori dei Colloqui investono. E a cui, nella relativa semplicità della proposta, suggeriscono un metodo che nella mia esperienza dà più frutti dei rimproveri, delle prediche, delle minacce o, più sottilmente, di quel meccanismo performance/premio che informa tanto spazio e tempo della nostra scuola.
LEGGI ANCHE - La rivoluzione (e il sogno) di Franco Basaglia
Tornata nel mio istituto, in una quinta in cui otto alunni avevano partecipato al convegno, ci siamo messi a leggere Nuove Stanze di Eugenio Montale e - devo ammetterlo - ho visto nei loro occhi un’attenzione nuova: in qualche modo hanno percepito che lo studio può portare a considerare con uno sguardo più attento, intelligente, sensibile le esperienze della nostra vita.
Ho incontrato le ragazze di seconda nei corridoi, avevano ancora il braccialetto di ingresso al palazzetto e mi hanno chiesto se andiamo anche l’anno prossimo dove l’autore su cui lavorare sarà Pier Paolo Pasolini. Scrittore difficile, le mie studentesse non ne avevano mai sentito parlare e qualche mia collega ha già arricciato il naso. Quello che ne verrà fuori lo vedremo. Di sicuro so che sarà l’occasione per leggere, confrontarci, conoscere e conoscerci, insomma un bel momento di scuola.
Caterina, Milano