Cavalieri. «Siamo tutti chi-amati»
Il gesto della promessa per un gruppo di ragazzi emiliani delle medie. Una due giorni tra Pesaro e Loreto, chiedendo alla Madonna «di contagiarci con il suo "sì"»Qualche settimana fa c’è stata la “promessa” dei ragazzi della “Compagnia de l’Amistad” e dei Cavalieri provenienti da Carpi, Modena, Reggio Emilia, Parma e Fidenza, una due giorni tra Pesaro e Loreto. Il titolo scelto per il gesto era un’espressione usata da papa Francesco nel rivolgersi ai giovani della Gmg di Lisbona: «Tu sei chi-amato». Come prima cosa abbiamo ripreso insieme alcuni spezzoni delle lettere scritte dagli studenti per chiedere di poter partecipare. «È un periodo difficile della mia vita, mi sento sbagliata, penso di poter fare da sola, ma poi crollo. Mi sento una fallita, a scuola mi vergogno e ho paura», ha scritto una ragazza. «Sto iniziando a fare più fatica, litigo più spesso, sono nervoso, mi arrabbio», ha detto un altro. E ancora: «Avrei potuto rimanere a casa a deprimermi, invece ho scelto di venire». Con grande libertà, dentro le cose belle o dentro i drammi della loro vita, questi ragazzi esprimono ciò di cui hanno bisogno. E noi li sfidiamo a prendere sul serio queste domande che bruciano dentro e la giornata prende il via.
A Pesaro siamo stati accolti da due amici, Brizio e Cristina. E da un sole inaspettato. Ci siamo disposti in cerchio, in un campo, per dei canti e dei giochi insieme. Dopo il pranzo insieme abbiamo incontrato alcuni ragazzi della comunità terapeutica “L’Imprevisto”. Nel salone regnava il silenzio, perché a parlare erano giovani con problemi di dipendenze che come noi hanno una grande domanda sulla vita; le cose brutte che hanno fatto le hanno fatte per cercare di rispondere a quel desiderio di felicità. Hanno però incontrato alcuni educatori, come Dicio e Grazia, che hanno mostrato loro che la loro vita ha un valore e che sono amati.
Dicio ha raccontato che all’inizio, quando aveva intrapreso anni prima quest’avventura insieme al fondatore Silvio Cattarina, era spaventato, si sentiva inadeguato: «Un geometra che viene chiamato a fare l’educatore!». Ma, ha aggiunto, è rimasto lì per una promessa, un viaggio meraviglioso alla riscoperta della sua umanità dove ha imparato a volere bene alla sua vita e a quella dei ragazzi, «perché i giovani capiscono subito se chi hanno davanti vuol bene davvero al loro destino».
L’assembla che ne è seguita è stata piena di domande: «Ti manca la tua famiglia? Come si fa a non ricadere negli errori? Cos’è che vi aiuta ad andare avanti? Come hai fatto a fidarti? Ti sei sentito criticato dagli altri? A chi e a che cosa avete dedicato questo periodo in comunità? Per chi l’avete fatto? Cosa vi aiuta a dire questi “sì” sempre?». Un ospite della comunità ha spiegato che nei primi tempi passati all’Imprevisto era terrorizzato dalla solitudine (gli avevano tolto il telefono, poteva vedere la sua famiglia solo una volta al mese). Col tempo, ha scoperto che le regole non sono imposizioni, ma proposte per una vita più piena. E di fronte a una proposta, la risposta più bella che si può dare, piuttosto che un no a priori, è un «Sì! Vengo a vedere!1.
Dopo questo incontro commovente, siamo partiti alla volta di Loreto, dove siamo arrivati di sera. La mattina dopo, un momento di assemblea: i ragazzi erano un fiume in piena. Poi, il gesto atteso della Promessa.
Ci siamo incamminati in processione verso il Santuario della Madonna, con i nostri stendardi, in un commovente silenzio. La gente per le strade ci guardava stupita e chiedeva chi fossimo e da dove venissimo. Siamo entrati a piccoli gruppi nella casa di Maria, affidando a Lei tutto quello che avevamo nel cuore, chiedendole di “contagiarci” con il suo sì. Quindi, siamo scesi nella cappella del Crocifisso, riservata tutta per noi, per celebrare la messa e il rito della Promessa.
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Nel viaggio di ritorno è stato chiesto a tutti, adulti e ragazzi, di scrivere su un foglietto cosa li avesse colpiti di quei due giorni: «Non posso dimenticare gli sguardi dei giovani dell’Imprevisto perché, anche dopo tanti ostacoli nella vita, ci guardavano con occhi felici e grati», ha commentato uno studente. Uno degli adulti che accompagna i ragazzi si è detto stupito e grato: «A volte i nostri occhi sono annebbiati dalla negatività e da tante distrazioni - come ha detto il Santo Padre a Lisbona -. Prima di venire alla Promessa era certamente questo il punto in cui ero, perché io sono un “disgraziato”, ma stamattina, cantando la Canzone degli occhi e del cuore di Claudio Chieffo ho intuito che siamo un popolo, che ho sempre tanto da imparare da chiunque, dai più piccoli agli adulti, perché “mi dicevano i tuoi occhi che ero già stato perdonato” e che “dagli occhi si capisce quando la vita ricomincia”. Mi sono sentito amato ancora una volta e questo è certamente un punto da cui ripartire».
Chiara, Reggio Emilia