Esercizi. Per scoprire "chi" ci manca
La possibilità di tornare a Rimini, in presenza, per Marina. La circostanza obbligata per Barbara di seguire da casa. Ancora, la scelta di Valerio e di sua moglie rispetto ai figli piccoli. Le loro lettereCaro Davide, sono tornata dagli Esercizi della Fraternità profondamente commossa per tutto quello che è accaduto in quei giorni. Con il gruppo Gli Amici di Zaccheo ho aiutato il servizio d’ordine: accoglienza nei saloni, accompagnamento dei sacerdoti durante le messe per la Comunione, indicazioni per gli autisti nei parcheggi. Domenica mattina al suono della sveglia trovo il messaggio di uno di noi “parcheggiatore” (in piedi da molto prima di me) che dice: «Poi ricordami perché non siamo andati a Pietralba», località dove abbiamo seguito gli Esercizi in collegamento negli anni scorsi. Scimmiottando quello che avevi detto venerdì sera sul sacrificio dell’essere venuti rispondo: «Perché siamo una Fraternità e una volta l’anno facciamo un gesto tutti insieme per ricordarci che siamo una cosa sola!», probabilmente ancora con l’idea che solo dei pazzi incoscienti, con i mezzi che ci sono oggi, decidono di fare un gesto in presenza con 21mila persone, con tutti i disagi che può comportare. Avevo detto anche io «Pietralba tutta la vita» quando ne avevamo parlato tra noi se ci fosse stata la possibilità di scegliere. Ma domenica dopo pranzo, durante i saluti al momento della partenza, mi guardavo intorno e vedevo gente lieta e grata, in cui dominava solo, nonostante la stanchezza, la sovrabbondanza della grazia che ci aveva letteralmente travolto, tutti. E mi sono dovuta ricredere: «Rimini tutta la vita». Non è stato solo l’impatto emotivo di vedere tutta quella gente o l’atmosfera. Noi siamo un popolo e siamo stati educati alla bellezza, all’ordine, alla cura dei canti, della preghiera e questo modo di agire grida a Chi apparteniamo e il compito che abbiamo nella Chiesa e io non voglio dimenticarmelo. Questi Esercizi me lo hanno ricordato potentemente e di questo ti sono davvero grata.
Marina, Sesto San Giovanni (Milano)
Caro Davide, per la prima volta mia moglie e io ci siamo trovati nella condizione di decidere se partecipare ai due momenti di Esercizi proposti. Infatti abbiamo due bambini piccoli che, per diverse ragioni, non sono mai stati più di una notte senza mia moglie e quindi soli con me. Pertanto il desiderio di entrambi di partecipare agli Esercizi ha comportato questo piccolo sacrificio che non avevamo mai affrontato: mia moglie è venuta a quelli della Fraternità e io a quelli degli adulti e giovani lavoratori. È stata un’enorme grazia per entrambi: mia moglie, da tempo, non riusciva a partecipare ad alcuni importanti momenti della vita del movimento e questo iniziava a pesarle molto, come lei ha espresso più volte al gruppetto di Fraternità, perché le sembrava che il cuore della vita le stesse scivolando tra le mani. Il primo dono che abbiamo ricevuto è stata la gratitudine di mia moglie che, dopo l’iniziale agitazione, mi ha ringraziato perché avevo insistito che andasse a Rimini. Sabato si è accorta che non desiderava essere a casa, ma si sentiva chiamata lì. Tornata a casa, ci siamo ritrovati grati e felici per quanto accaduto perché ci siamo accorti che non erano le circostanze a essere andate bene – il nostro weekend a casa è stato molto bello con i bambini e gli amici – ma era Cristo che, presente in quei 21mila, l’aveva ripresa e le aveva finalmente mostrato Chi le era mancato in questi ultimi mesi. Il secondo dono ricevuto è stato per me poter andare agli Esercizi dei giovani lavoratori. Ho fatto un’esperienza che, sinteticamente, è stata profonda, piena e che mi ha aperto; cioè mi ha permesso di guardare aspetti di me che non riuscivo a vedere da tempo. Posso dire con più certezza che Cristo è vivo perché si è manifestato – sorprendendomi nuovamente – dentro quell’umanità nuova, come ci ha detto don Paolo: la Sua presenza oggi e sempre.
Valerio, Treviglio (Bergamo)
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A febbraio mi hanno diagnosticato un tumore, sono stata operata e ad aprile ho iniziato la chemioterapia. Non potendo partecipare agli Esercizi in presenza, ho chiesto il link per seguirli da casa, con un po’ di tristezza nel cuore e senza grandi aspettative. Invece, come spesso accade, il Signore mi ha sorpreso. Con un gruppetto di amici un po’ scalcinati che per vari motivi non erano potuti partire, ci siamo ritrovati a casa mia davanti allo schermo in collegamento. Con loro ho sperimentato cosa significa l’unità: eravamo lì con le nostre diversità e i nostri problemi, ma noi in salotto e i 21mila presenti a Rimini eravamo lì per la stessa cosa, con la stessa domanda nel cuore, con la stessa attesa e questa consapevolezza mi ha commosso. Poi sono iniziate le lezioni ed è stato un altro contraccolpo. Non ho potuto evitare alla fine degli Esercizi di chiedermi: ma cosa significa per me la speranza in un momento così difficile della mia vita? Certo, la prima cosa che ho pensato è stata nei termini più “tradizionali”: che vada tutto bene, che i controlli siano negativi, che la chemioterapia abbia fatto il suo dovere... Ma poi mi sono chiesta: e se così non fosse? E se il male avesse progredito? Vorrebbe dire che allora non ho più speranza? Allora ho pensato: ma se è vero che il Signore ha mandato suo Figlio che è nato, morto e risorto per me, per amore alla mia vita, se è vero che ha amato la mia anima ancora prima che fosse, allora questo significa che ci deve essere per forza un disegno buono su di me, in qualunque circostanza. Per la prima volta ho capito cosa significa la frase che in questi anni ho sentito tante volte, ma che non avevo mai sperimentato sulla mia carne: la speranza nasce dalla certezza della fede. Solo dalla certezza che Dio mi ha amato così tanto da mandare Suo figlio può nascere la sicurezza che su di me c’è un destino buono. Sempre. Allora mi sono chiesta: ma io ce l’ho questa certezza? Mi sono ritrovata fragile, riscoprendo che l’unica posizione ragionevole è quella del mendicante. Quando le forze vengono meno, le certezze vacillano e anche pregare diventa difficile e mi lascio sopraffare dalla fatica della malattia (la perdita dei capelli, la spossatezza legata alla terapia, la prospettiva di una nuova operazione), l’unico grido del mio cuore che mi ritrovo a ripetere è: «Vieni Signore Gesù! Vieni ora!».
Barbara, Genova